24 gennaio 2015

Filippo Alison l’ultimo addio a un maestro delle forme

STELLA CERVASIO

«Filippo si è messo un meraviglioso kimono da cerimonia funebre color crema a ramage verdi che acquistò quarant’anni fa in Giappone». La moglie Maura - che nel 2013 gli ha dedicato la monografia “Filippo Alison. Un viaggio tra le forme” edito da Skira - lo racconta come se ci fosse ancora. «Mi aveva detto che l’avrebbe indossato quando sarebbe morto e io da brava napoletana per scaramanzia l’avevo fatto sparire. Gliel’ho messo per rispettare la sua volontà». Un ultimo segno di eleganza per l’architetto che però, Maura tiene a sottolineare, «era una persona, non un personaggio».
Nella casa affacciata sul mare di Posillipo il professore è pianto anche dai suoi cani, molto amati. Un dandy nato sul mare di Torre Annunziata, dove imparò a misurarsi con le tre dimensioni ricostruendo il lavoro del trisavolo scozzese Michael Alison, sbarcato in penisola sorrentina e diventato carpentiere navale per amore della bella moglie campana. Un lavoro filologico, quello sulla materia che si trasforma in oggetto, che un secolo dopo Filippo condusse a ritroso, a partire proprio dalla Scozia, le sue radici. Diventato professore universitario negli anni Sessanta, non ha abbandonato lo studio e la ricerca fino alla fine. Un dolore gliel’aveva dato l’ex ministro Gelmini, cancellando la laurea triennale che Alison aveva creato in Architettura d’interni. Era un maestro che studiava e divulgava i maestri: aveva lavorato per una delle “case” del design mondiale, Cassina, recuperando e attualizzando i progetti di tanti grandi come la Chaise longue di Le Corbusier, dopo l’incontro con Charlotte Perriand. Ma Alison aveva creato anche di suo, collaborando con Lino Sabattini: la caffettiera “Filumena” e il samovar “Vesevo”. E continuando l’amore di famiglia per la Costiera, con il dono a Ravello una nuova illuminazione stradale nel 2001. L’inaugurazione fu un po' alla Marconi,dopounfinto black-out a effetto, la rete venne accesa dal chirurgo plastico brasiliano Pitanguy, ospite a quel tempo di uno dei convegni dell’S3 Studium di Domenico De Masi. Con il sociologo e François Burckhardt, che è stato direttore del Beauburg e del Centre de Création Industrielle, Alison ha viaggiato sulle tracce di manufatti nei musei delle arti applicate di mezza Europa, soprattutto quelli con meno visibilità e penalizzati perché in zone di conflitti. Un lavoro imponente che ora bisognerà far venire alla luce. La famiglia vuole ricordarlo con un centro studi che raccolga e renda operativo il suo ingente archivio di studioso. Una sede possibile, la villa di Nerano che Alison progettò per sé, Maura e Aurosa e per i loro innumerevoli cani e gatti. Da quei luoghi arriva la memoria di un aneddoto scherzoso: ospiti sull’isola di Eduardo e Luca De Filippo, di fronte a Nerano, gli Alison furono raggiunti dallo yacht Gitane del barone Rotschild. Impeccabile distributore di baciamani per nulla imbarazzato dalla propria “mise” balneare, il barone disse al designer: «Ora che l’ho vista, capisco di aver conosciuto Hemingway due volte». Creativo e generosissimo, Filippo Alison, come l’autore di Per chi suona la campana, al quale assomigliava come una goccia d’acqua, era un gigante innamorato del suo lavoro e della vita.