cos'è architettura & co.

architettura & co. è stato pensato da paolo giardiello per mettere a disposizione di tutti, in particolare dei suoi studenti, i propri scritti, ricerche e riflessioni sull'architettura. il blog contiene testi pubblicati, versioni integrali di saggi poi ridotti per motivi editoriali, scritti inediti o anche solo riflessioni e spunti di ricerche. per questo non ha un ordine determinato, non segue un filo logico, ma rappresenta solo la sequenza temporale di occasioni in cui parlare di architettura, prima di farla "parlare", come invece dovrebbe, normalmente, essere.

24 gennaio 2015

Un altro genio napoletano se ne va

Domenico De Masi

La morte di Filippo Alison, a pochi giorni di distanza da quella di Francesco Rosi e di Pino Daniele, priva Napoli di tre geni diversi tra loro, ma ugualmente grandi: Franco nel cinema, Pino nella musica, Filippo nel design. Del quale Alison è stato protagonista assoluto lungo tutta la stagione felice che ha contraddistinto questa arte italianissima dal dopoguerra a oggi. Fu un modernista impenitente, Alison.
Ha fatto conoscere in tutto il mondo i mobili più belli concepiti da Mackintosh, Wright, Le Corbusier, Rietveld e Asplund. A sua volta ha disegnato case, sedie, divani, lampade, vasellame, arredi urbani, posate, tavoli e l’insuperabile caffettiera Filumena, usando legno, ferro, creta, argento, stoffe. «Tutto ciò che è sulla terra è design», amava dire. E una parte notevole di ciò che ha a che fare con il design è passato per la sua testa e per le sue mani. Quando Alison rieditava un pezzo, compiva un’operazione analoga a quella di un direttore d’orchestra filologicamente impeccabile, che sceglie severamente uno spartito tra mille altri, lo studia attentamente, ne scova le più intime particolarità geniali, lo colloca sapientemente nel tempo e lo restituisce al pubblico contemporaneo, attraverso un’orchestra dotata di strumenti moderni, ottenendo risultati sorprendenti, che neppure il compositore avrebbe immaginato. In altri casi Alison è riuscito a cogliere, dal disegno incompiuto di un maestro, gli elementi sufficienti per completare l’oggetto stesso così come avrebbe fatto l’autore e così come è avvenuto nel campo musicale con l’Incompiuta di Schubert o con il Requiem di Mozart. Tutto questo, senza nessuna spocchia accademica perché le sue azioni hanno avuto il dono della lievità, così come ogni oggetto fiorito dalla sua matita è soavemente lieve e saggiamente delicato.
Filippo Alison era nato nel 1930 a Torre Annunziata, tra il Vesuvio, il mare, Napoli, Pompei, Ercolano ed Oplonti. Ha avuto la sua Itaca a Posillipo ma per tutta la vita ha girato il mondo inseguendo oggetti, colori, forme, persone ed emozioni. Come in una canzone di Lucio Dalla, a metà Ottocento il suo bisnonno Michael venne dall’Irlanda a Meta di Sorrento dove rimase a costruire barche. Del bisnonno, Filippo ha conservato l’azzurro degli occhi, la statura possente, il volto che evoca la saggia bellezza avventurosa che Ernest Hemingway ha attribuito a Santiago, protagonista di “Il vecchio e il mare” o che Herman Melville ha donato ad Achab in “Moby Dick”.
Alison è stato un creatore di punti fermi nella preziosa marea del design italiano. Cosa hanno di napoletano questi punti fermi? Cosa di napoletano ha lo stesso Alison, pur con un cognome anglosassone e un bisnonno irlandese? Come ho detto, in comune tra Filippo e i suoi capolavori vi è la leggerezza, alla quale vanno aggiunte saggezza e sapienza. Ogni suo oggetto è il prodotto intellettuale di una mente intellettualissima, nutrita di una cultura stratificata in cui si sovrappongono la Grecia e Roma, il Gotico e il Barocco.
Ma Filippo è stato anche un “primitivo” che avvertiva a pelle ogni minimo mutamento della natura, ogni minima sfumatura nei fiori e nelle foglie, ogni minima variazione di luce. Questo gli veniva, io credo, dalla sua nascita e dalla sua infanzia nella periferia napoletana tra il Vesuvio e il mare. È qui, infatti, che gli artigiani producono i loro manufatti in corallo, in pasta, in panno. Qui permane una corale propensione alla densità della vita, una rete di scambi con l’oltremare, una tensione crescente tra identità e universalismo. Qui, dove si è formato lo strato più profondo della sua personalità di artista, la mente e le mani di Alison sono diventate costituzionalmente e definitivamente artigiane. «Chiedersi continuamente il perché dei fenomeni dà forza all’esistenza », dichiarò Alison quando compì 75 anni. «Se misuro queste riflessioni con il tempo concreto della mia vita, posso dire di essere contento. Nel microcosmo che mi appartiene, credo di aver fatto abbastanza. Eppure ho ancora voglia di approfondire. Lavoro sempre con l’idea di fare un’altra scoperta».

Napoli, città sciagurata, cela nel suo corpo in eterna decomposizione queste gemme di cui la nostra anima si adorna. Nella selvaggia, precipitosa vita di oggi, nel guazzabuglio torrenziale di infiniti oggetti effimeri, Alison ha messo punti fermi ai quali possiamo aggrapparci. Se — come diceva Keats — «l’opera d’arte è una gioia creata per sempre», Filippo Alison ha sparso gioia a piene mani. E noi, anche per questo, lo ameremo per sempre.