cos'è architettura & co.

architettura & co. è stato pensato da paolo giardiello per mettere a disposizione di tutti, in particolare dei suoi studenti, i propri scritti, ricerche e riflessioni sull'architettura. il blog contiene testi pubblicati, versioni integrali di saggi poi ridotti per motivi editoriali, scritti inediti o anche solo riflessioni e spunti di ricerche. per questo non ha un ordine determinato, non segue un filo logico, ma rappresenta solo la sequenza temporale di occasioni in cui parlare di architettura, prima di farla "parlare", come invece dovrebbe, normalmente, essere.

23 maggio 2018

Destini che si incrociano. I luoghi del vino.



«Provai, al guardarmi intorno, una sensazione strana, o meglio: erano due sensazioni distinte, che si confondevano nella mia mente un po' fluttuante per la stanchezza e turbata. Mi pareva di trovarmi in una ricca corte, quale non ci si poteva attendere in un castello così rustico e fuori mano; e ciò non solo per gli arredi preziosi e i ceselli del vasellame, ma per la calma e l'agio che regnava tra i commensali, tutti belli di persona e vestiti con agghindata eleganza. E nello stesso tempo avvertivo un senso di casualità e di disordine, se non addirittura di licenza, come se non d'una magione signorile si trattasse, ma d'una locanda di passo, dove persone tra loro sconosciute, di diversa condizione e paese, si trovano a convivere per una notte e nella cui promiscuità forzata ognuno sente allentarsi le regole a cui s'attiene nel proprio ambiente, e - come si rassegna a modi di vita meno confortevoli - così pure indulge a costumanze più libere e diverse. Di fatto, le due impressioni contrastanti potevano ben riferirsi a un unico oggetto: sia che il castello, da molti anni visitato solo come luogo di tappa, si fosse a poco a poco degradato a locanda, e i castellani si fossero visti relegare al rango d'oste e di ostessa, pur sempre reiterando i gesti della loro ospitalità gentilizia; sia che una taverna, come spesso se ne vedono nei pressi dei castelli per dar da bere a soldati e cavallanti, avesse invaso - essendo il castello da tempo abbandonato - le antiche sale signorili per installarvi le sue panche e i suoi barili, e il fasto di quegli ambienti - e insieme il va e vieni d'illustri avventori - le avesse conferito un'imprevista dignità, tale da riempire di grilli la testa dell'oste e dell'ostessa, che avevano finito per credersi i sovrani d'una corte sfarzosa».1
L'incipit del romanzo di Italo Calvino “Il castello dei destini incrociati” descrive il luogo dove si svolgeranno le diverse storie narrate nei successivi capitoli; luogo invero ambiguo, non immediatamente riconoscibile che, proprio per tale indeterminazione di significato, predispone all'ascolto di storie, talvolta inverosimili, comunque di difficile interpretazione, ovvero soggette a infinite modalità di comprensione.
L'ambiguità voluta e predisposta da Calvino si fonda sul diverso senso comune attributo normalmente alle funzioni citate: una locanda non può che essere rumorosa, sporca, con avventori chiassosi, dotata di stoviglie semplici e robuste; il salone di un castello, invece, è elegante e raffinato, animato da invitati ben educati, con specchi e tende a decorare le parenti, la vista di barili e bottiglie è esclusa, i bicchieri e i piatti sono di fine manifattura.
Il racconto pertanto introduce il lettore in un luogo non immediatamente decodificabile che non vuole essere banalmente catalogabile, proprio per esprimere il significato di un ambiente non ordinario in cui succederanno cose straordinarie, che supereranno le ovvietà del quotidiano, giungendo a sensi propri della profondità dell'animo dei personaggi coinvolti.
Ciò che Calvino evidenzia è la relazione che sussiste tra il luogo e i contenuti di cui il luogo stesso si fa portatore, e quindi quanto l'assenza di tale rapporto diretto possa creare imbarazzo o confusione. Un luogo è deputato ad esprimere i sensi predisposti da chi lo ha progettato o voluto, questi condizionano le azioni e le relazioni dei fruitori e offrono la chiave per comprendere le ragioni delle funzioni da svolgere, tanto che finanche oggetti e suppellettili partecipano a corroborare i significati eletti, assumendo un ruolo e un contenuto che trascende quello primario.
Le azioni funzionali, il cui svolgimento è previsto, nel caso in questione, tanto nella semplice locanda quanto nelle preziose sale di un castello, sono quelle legate alla consumazione dei cibi, alla degustazione di bevande, al ristoro e al nutrimento, che assumono nelle diverse declinazioni valori differenti che modificano persino il sapore dei prodotti consumati, o comunque trascendono le mere necessità costruendo riti carichi di nuovi contenuti.
Tra i protagonisti di questi ambienti2il vino è sempre indicato come primo attore della convivialità, come legante, nonché come ragione stessa dello stare insieme. 
Immaginare oggi un luogo dove consumare il vino significa partire proprio dalla accurata analisi dei valori contemporanei che risiedono nell'atto della degustazione di tale bevanda; valori, contenuti o significati che poco hanno a che vedere con la ridotta grammatica e il convenzionale linguaggio che domina le attuali proposte alla moda.
Non è difficile estrapolare un essenziale ventaglio di termini e di segni, di accessori e di oggetti, di materiali e di finiture ricorrenti nella tipologia dei wine bar,delle cantine contemporanee, al di là dello stile o del linguaggio adottato, moderno o tradizionale, rustico o minimale che sia: bottiglie (o addirittura botti) di vino largamente a vista; legno naturale (lasciato rustico o grezzo) usato diffusamente per arredi e rivestimenti; pareti nude con mattoni o pietra a facciavista (con il loro corredo di archi e volte); luci basse e puntuali. 
L'atmosfera da cantina prevale e il luogo del vino non appare scandagliato nei rapporti che si instaurano tra i fruitori, né tantomeno nel rapporto tra il bevitore e la bevanda, tra il gusto e le emozioni da esso provocate, ma solo nel linguaggio capace di evocare un luogo tipico associato a tale funzione, a sua volta intesa in modo univoco.
Non si tratta di ricostituire l'ambiente enoteca, lo spazio contenente i vini, ma di definire il luogo dove “bere insieme” che significa rafforzare e sottolineare una condizione di confidenza e di condivisione di idee e emozioni, rappresentare la ragione di un festeggiamento condiviso ovvero il discreto filo conduttore che unisce trame e racconti personali.
Il vino inoltre, il piacere che si prova a berlo, concentra l'attenzione su quanto è più vicino, sulle persone o su ciò che desiderano esprimere, esclude il mondo esterno, la realtà circostante, in quanto l'atto stesso di bere in compagnia delimita uno spazio ideale e fisico nel contempo che racchiude, unisce, stringe e tiene insieme le persone che discorrono, che le astrae dalla realtà contingente e le porta nella dimensione del racconto. Così come degustare non è bere, non segue un istinto primario di bisogno, ma realizza un piacere sensoriale e psicologico che è dato dall'entrare in sintonia con i propri sensi che diventano evocatori di ricordi e di pensieri. Non è il vino ad accompagnare il cibo ma, al contrario, le pietanze spesso servono esclusivamente a supportare e a dare un tempo e un ritmo all'apprendimento dei sapori di tale bevanda.
Se sinteticamente questi sono alcuni aspetti del rapporto tra l'uomo e il vino è evidente che i luoghi che devono fare da scena a tale relazione non debbano necessariamente evocare ambienti della tradizione, di una tradizione propria di società e stili di vita totalmente diversi, ma debbano rafforzare i principi relazionali ed emozionali propri dell'attualità.
Un criterio è certamente quello della delimitazione fisica dello spazio conviviale percepito. Come detto il degustare tiene insieme le persone che condividono tale momento in una unità di intenti che ha la misura del gruppo di persone coinvolte; gli spazi pertanto devono essere variabili e flessibili per essere commisurati al numero di utenti, così come devono unire gli astanti così li possono separare opportunamente dal resto dello spazio. Lo spazio indifferenziato con un forte carattere proprio deve essere sostituito da un luogo permeabile e modulabile, mutevole ed adattabile, condiviso ma delimitabile.
Ulteriore criterio è quello della forma stessa dell'accoglienza; il momento conviviale può avere tempi e numero di partecipanti molto diversi, può avere un fine preciso o essere genericamente un momento di svago, per cui il livello di comodità degli arredi, la loro forma e dimensione, il tipo di postura e la posizione degli utenti, devono necessariamente assecondare situazioni differenti, comunque tutte legate all'atto del bere. La distanza tra colui che beve e il bicchiere deve essere tale che i sensi, dall'olfatto alla vista prima ancora del sapore, possano accompagnare l'esperienza degustativa, ma nel contempo la posizione e la comodità degli arredi possano essere tali da realizzare una condizione fisica coerente con le relazioni che si intendono instaurare con gli altri. Insomma il semplice tavolo da osteria appare come una struttura fissa e rigida mentre sono da favorire condizioni che lasciano la libertà di individuare la postura preferita da quella in piedi fino alla più comoda distesa, attraverso oggetti ibridi multifunzionali da interpretare e di cui inventarne l'uso, da declinare a seconda delle esigenze degli utenti.
L'illuminazione poi non può essere né omogeneamente distribuita né puntale in modo fisso, una luce modulata e modulabile è necessaria per delimitare ambiti, caratterizzarli, separarli o unirli ad altri, è indispensabile per percepire le bevande come il cibo ma anche per osservare i commensali con cui si condivide il rito e isolarsi dal resto dei fruitori del locale. La percezione delle forme e dei colori di ciò che si porta alla bocca deve essere chiara e non deve creare dubbi o equivoci.
Infine ai criteri spaziali e relazionali esposti vanno aggiunte delle suggestioni che derivano direttamente dalla natura della bevanda “vino”: il colore e la trasparenza delle materie, la fluidità e la sinuosità delle forme, la morbidezza al tatto ed il calore delle superfici sono temi da sviluppare ad ogni scala del progetto, dalla forma dello spazio a quella degli arredi, dalle suppellettili al tipo di decorazioni, dai margini separatori tra l'interno e l'esterno ai filtri per delimitare gli ambiti di fruizione.
Progettare lo spazio dove degustare il vino non significa quindi costruire lo spazio “del vino” ma il luogo delle emozioni e delle memorie storiche, culturali e fantastiche che questa bevanda evoca ancora oggi in chi la prova, significa perpetuare riti sociali e individuali che possono diventare la forma stessa di nuove relazioni tra gli individui.

PG



1I. Calvino, Il castello dei destini incrociati, Giulio Einaudi editore, Torino 1973, pp. 3-4. 

2«Quando uno degli ospiti voleva chiedere al vicino che gli passasse il sale o lo zenzero, lo faceva con un gesto, e ugualmente con gesti si rivolgeva ai servi perché gli trinciassero una fetta del timballo di fagiano o gli versassero mezza pinta di vino». I. Calvino, Il castello … cit., p. 4.