cos'è architettura & co.

architettura & co. è stato pensato da paolo giardiello per mettere a disposizione di tutti, in particolare dei suoi studenti, i propri scritti, ricerche e riflessioni sull'architettura. il blog contiene testi pubblicati, versioni integrali di saggi poi ridotti per motivi editoriali, scritti inediti o anche solo riflessioni e spunti di ricerche. per questo non ha un ordine determinato, non segue un filo logico, ma rappresenta solo la sequenza temporale di occasioni in cui parlare di architettura, prima di farla "parlare", come invece dovrebbe, normalmente, essere.

17 gennaio 2012

Il macro-oggetto come strumento didattico


Quest’anno, nell’introdurre il tema al secondo semestre del Laboratorio di Arredamento II, centrato sul concetto di macro-oggetto, ad un certo punto della spiegazione, non ho potuto fare a meno di ricordare di quando, ancora nel ruolo di chi ascolta le parole del docente, a mia volta sentii parlare per la prima volta di queste tematiche. Mentre chiarivo agli studenti cosa implicasse pensare ad uno spazio attrezzato con un unico oggetto atto a soddisfare molteplici necessità e funzioni ho dovuto interrompere la spiegazione e, distratto ormai dai ricordi, nello stupore dei miei giovani interlocutori, ho cominciato a raccontare loro di quanto mi sorpresi anche io nel sentire parlare in quei termini dell’arredamento.
Come la gran parte degli studenti di quel lontano III anno, e forse proprio come loro che erano lì ad ascoltarmi, allora ero pienamente convinto di avere già inteso molto dell’architettura, ero pienamente appagato dai buoni risultati degli esami di progettazione architettonica, e non immaginavo certo che un esame come quello di Arredamento avesse potuto mettere in discussione le mie, apparentemente ferme, convinzioni.
Decisamente sono passati molti anni da allora, e di molte, molte cose mi sono dovuto ricredere, fino al punto di ritrovarmi oggi, a distanza di tanto tempo, ad usare metodi e stratagemmi didattici simili a quelli che, allora, minarono lentamente le mie ottuse certezze portandomi, un poco alla volta, su una via più critica e di ricerca.
Al di là dei contenuti storico-critici desumibili dalle esperienze e dalle ricerche sul concetto di macro-oggetto cos’è realmente in grado di comunicare tale tema agli studenti in via di formazione?
Per rispondere a tale quesito forse è il caso di ricordare quanto le discipline dell’arredamento e dell’architettura degli interni, sia in ambito accademico che in quello professionale, non siano ancora del tutto comprese. Arredare risulta nell’immaginario collettivo un’attività minore, successiva, a quella del progettare (architettura). L’arredamento è in fondo ancora considerato qualcosa che interviene in un secondo momento ad attrezzare lo spazio architettonico.
Arredare, invece, significa rendere possibile l’uso dello spazio architettonico che altrimenti risulterebbe un vuoto inutile, e l’azione di dotarlo di attrezzature e strumenti, di cose e utensili necessari allo svolgimento delle attività umane implica la definizione del significato stesso degli ambienti destinati ad accogliere le attività umane. Provvedere al soddisfacimento dei bisogni dell’uomo non significa esaudire esclusivamente istinti primari e fisici, quelli legati all’uso e alla risposta funzionale dei luoghi, ma significa dare una risposta, o meglio dare forma e sostanza, anche alle necessità psicologiche, di rappresentazione e di identificazione con l’ambiente costruito. L’arredamento, in definitiva, determina una dimensione estetica attraverso la forma stessa dell’abitare e può essere considerato il punto da cui guardare, a tutte le scale, il progetto di architettura nel suo complesso rispetto al vivere quotidiano in quanto supporto essenziale agli interessi culturali e alle aspettative sociali.
Da questo punto di vista quindi si può comprendere quanto sia utile – e difficile da assimilare – un esercizio che prova a suggerire un’attività progettuale tesa ad affermare la possibilità che un solo oggetto di arredo sia capace, oltre che di soddisfare i bisogni per cui è pensato, anche di “generare spazio”, e di determinare una modificazione funzionale, percettiva e di senso, dell’ambiente in cui è inserito.
In generale tutti i sistemi di arredo sono parte integrante della definizione qualitativa, oltre che morfologica, dello spazio abitato, al pari dei suoi margini che, in una visione progettuale più attenta, non rappresentano solo i limiti fisici dell’interno - della scatola muraria - bensì un confine fisico tra interno ed esterno conformato intorno all’uomo e alle sue esigenze fisiche e psicologiche. In più il macro-oggetto diviene un momento “estremo” di tale visione dove la concentrazione delle strutture arredative in pochi elementi fa si che queste, perdendo il loro ruolo canonico di dotazioni significanti dell’interno, si arricchiscono a loro volta di una internità fruibile, dialogano sullo stesso piano con i margini delimitanti lo spazio che, di conseguenza, assumono un ruolo e un senso proprio nel rapporto e nel confronto con il macro-oggetto.
Per cui, tornando al quesito sopra espresso, un esercizio basato sul concetto di macro-oggetto abbassa le difese, o meglio i pregiudizi, degli studenti spostando l’attenzione progettuale dalla scatola muraria  (margini interni dell’involucro), e dalla sua forma e dimensione, al sistema integrato di strutture arredative (macro-oggetto), non più complementari ma indispensabili a completare la morfologia dell’interno abitato. Tutte le opportunità dello spazio – i percorsi, i divisori, i sistemi di collegamento verticali e orizzontali – passano dall’essere componenti dell’architettura a fondersi in un unico sistema, sintesi integrata e omogenea di arredo, struttura e spazio. Scale, pareti, pannelli scorrevoli, finestre e soppalchi non sono più visti come parti di completamento del manufatto architettonico ma vengono declinati, organicamente e sinteticamente, alla scala dell’oggetto. In questo passaggio non solo si abbandonano i materiali tipici della costruzione architettonica sperimentando tecniche e soluzioni proprie dei sistemi arredativi, ma si innescano possibilità di dialogo con il fruitore, dimostrando che ogni elemento dello spazio è in grado di generare sensazioni e emozioni in chi lo percorre o usa.
Per essere chiari – e didascalici – si passa da una visione  dove normali e anonimi componenti costruttivi, come soppalchi, ringhiere, pannelli, porte e scale, realizzati secondo il fare tradizionale, vengono poi in seguito completati e arricchiti con finiture ovvero accostati a oggetti d’arredo convenzionali pensati e dimensionati per altre condizioni, ad una nuova prospettiva dove il progetto prevede direttamente che un mobile si integri con una libreria, con una scala e con un piano su cui poggiare il letto, fondendosi in un’unica nuova e inedita entità, priva di una forma precostituita ma certamente misurata e proporzionata all’uomo e ai suoi movimenti.
Certo questo esercizio va valutato in una precisa ottica didattica e di sperimentazione. Il tema del macro-oggetto non direttamente implica una fattibilità riproponibile nella prassi professionale corrente. La complessità e, a volte, l’esagerata articolazione attraverso la quale gli studenti giungono alla soluzione del problema non possono trovare un riscontro plausibile nelle richieste reali del mercato.
E’ necessario però ribadire la fondatezza del criterio sperimentale, capace di costruire una logica metodologica con la quale invece potere affrontare, e rinnovare i temi dell’abitare nel quotidiano. La ricerca e la sperimentazione offrono suggestioni capaci di influenzare e adeguare, anche parzialmente o solo in determinati settori, i criteri con i quali affrontare il progetto di interni.
In questi ultimi anni campi operativi che hanno certamente beneficiato di tali ricerche, che stiamo definendo inerenti il macro-oggetto ma che naturalmente lasciano intuire maglie metodologiche più ampie, sono il disegno per gli arredi della cultura del nuovo nomadismo, di quell’attitudine cioè a cambiare spesso abitazione che comporta un radicamento minore negli spazi domestici, il disegno per il commercio e il lavoro che comportano continui adeguamenti e modificazioni, oltre che la ricerca sulle strutture di prima emergenza o di architetture sostenibili per i paesi in via di sviluppo.
Tornando alla lezione con i miei studenti, alla fine del racconto personale li ho trovati, da un lato, confortati dal fatto che già altre generazioni di studenti si fossero dovute confrontare con tali problematiche ma, in fondo, anche sinceramente stupiti del fatto che teorie e sperimentazioni iniziate negli anni ’60 e ’70 non abbiano ancora trovato una risposta adeguata nella società attuale e quindi di come, in fondo, lo sviluppo e i cambiamenti di gusto e di vita siano estremamente lenti.
Tutto questo avrà turbato le loro giovani coscienze volte ad un fare capace di incidere e di rivoluzionare il presente in maniera significativa e avrà aperto loro la prospettiva, più matura forse, di un mestiere ostinato e continuo capace di guardare anche oltre i limiti dell’immediato quotidiano.