cos'è architettura & co.

architettura & co. è stato pensato da paolo giardiello per mettere a disposizione di tutti, in particolare dei suoi studenti, i propri scritti, ricerche e riflessioni sull'architettura. il blog contiene testi pubblicati, versioni integrali di saggi poi ridotti per motivi editoriali, scritti inediti o anche solo riflessioni e spunti di ricerche. per questo non ha un ordine determinato, non segue un filo logico, ma rappresenta solo la sequenza temporale di occasioni in cui parlare di architettura, prima di farla "parlare", come invece dovrebbe, normalmente, essere.

05 marzo 2009

Addio Sverre Fehn di Gennaro Postiglione

Caro professore,
che strano destino è quello che mi lega a lei: dal nostro primo incontro al giorno della sua scomparsa.
Il primo, assurdo, in una libreria di Karl Johan a Oslo, nel 1986, quando cercando l’unica pubblicazione che raccoglieva il suo lavoro e il suo pensiero, The thought of Construction, una commessa mi disse che il libro era esaurito ma che se avessi aspettato un attimo lei mi avrebbe portato lì, in quel momento, il suo autore: annuii senza capire veramente. Pochi secondi dopo ebbi il piacere di stringere la mano a lei e sua moglie Ingrid. Così, senza alcuna programmazione, furono messe le basi per una collaborazione ventennale che portò alla redazione di due monografie e di una mostra compilativa che ha girato il mondo per molti anni.
Il secondo, non meno paradossale, la scorsa settimana. Una giornalista italiana dell’Agenzia del Demanio-ANSA mi ha chiesto 8-10 immagini di suoi lavori: ero riluttante, con lei malato mi sembrava di cattivo auspicio, allora sono andato a vedere che non si trattasse di “coccodrilli” prematuri. Così non era e dunque ho fatto una selezione di lavori, ma a malincuore: mi sembrava comunque chiudere la sua carriera, metterla da parte. Allora ho inventato una scusa banale e lunedì 23 febbraio di buon’ora ho scritto alla giornalista che le immagini che cercava potevano essere prese dalla monografia dell’Electa che avevamo pubblicato anni prima: a stretto giro mi ha
risposto che non era quello che cercava e che si sarebbe dunque rivolta al Museo di Architettura.
Pensavo di aver aggirato il destino e invece lei ci avrebbe lasciato proprio la sera di quello stesso giorno.
A vremmo dovuto incontrarci lo scorso marzo, dopo l’inaugurazione della nuove sede del Museo di Architettura di Oslo, la sua ultima opera realizzata ma anche la prima importante commessa pubblica del suo Paese: una commessa negli anni tanto anelata per vedere legittimata e riconosciuta la qualità di una lunga e tenace attività, capace di portare la piccola Norvegia al centro del dibattito culturale architettonico sin dagli anni Cinquanta. Un rigore e una qualità che le erano valse, nel 1997, il più ambito dei premi del mondo dell’architettura: il Pritzeker Prize. Lo stesso anno in cui la celebre Basilica Palladiana a Vicenza le dedicava una mostra monografia e la casa editrice italiana Electa ospitava la raccolta delle opere nella collana dedicata ai maestri
(curata da me insieme a Christian Norberg-Schulz).
L’avevo cercata perché durante la cerimonia inaugurale del Museo di Architettura, incrociando il suo sguardo, un inaspettato sorriso aveva squarciato l’assenza nella quale era immerso e nella quale viveva già da alcuni anni. Solo Per Olav e Emy Fjeld avevano il privilegio di un rapporto con lei e a loro mi ero rivolto per chiedere di incontrarla. Purtroppo le cose non sono andate bene e non ha acconsentito a vedermi, forse per quell’innato e forte senso del pudore che aveva caratterizzato tutta la sua vita, come quella di sua moglie Ingrid. Farsi vedere in condizioni non perfette, doveva essere una cosa per lei insostenibile.
Non sono sicuramente l’unico che avrebbe voluto incontrarla, come sono sicuramente innumerevoli quelli che, come me, hanno con lei un debito di riconoscenza non solo culturale essendo stato il pilastro centrale, insieme a Christian Norberg-Schulz, della Scuola di Architettura di Oslo. Di quella scuola siete stati, senza alcun dubbio, la più forte e colta anima propulsiva dal dopoguerra alla anni Novanta, quando una nuova generazione vi si è insediata prendendo in carico la vostra impegnativa eredità. Una scuola oggi polifonica per linguaggi e poetiche, che non ha ridotto l’insegnamento dei suoi maestri a stile ma, cogliendone in profondo il senso, ha favorito stimolato e assecondato i caratteri dei propri talenti nazionali: gli Jensen&Skodvin, gli Hoelmebak, gli Hjeltness, ecc. che oggi sono in grado di far sentire la propria voce, loro che appartengono ad un modo che non supera i cinque milioni di abitanti, nella
sterminata galassia globale.
L’avevo cercata per ripercorrere insieme le tappe di una singolare storia professionale e per gioire del successo incassato, anche se davvero in ritardo, a carriera conclusa: la nuova sede del Museo di Nazionale di Architettura di Oslo (2008). Ma anche per ricordare gli anni che avevo trascorso a Oslo tra il ’94 e il ’96, lavorando insieme a lei e a Norberg-Schulz alla sua monografia per l’Electa, quando trascorrevo le giornate nel suo archivio di casa e le sere nello studio di Schulz presso la scuola di Architettura. Ricordo ancora il primo giorno, quando insieme a Ingrid mi spiegò come ricordare le password nel caso avessi sbagliato a comporre le cifre
dell’antifurto, 1515 (ripetendo due volte il numero del civico di casa: un edificio di Arne Korsmo suo indimenticabile maestro). Le parole erano “arkitektur” e “musik”.
Due parole, disse, che sarebbe stato impossibile per ognuno di voi due dimenticare, anche nella più catastrofica situazione mentale: perché lei era immerso profondamente nell’architettura e Ingrid nella musica. Due discipline totalizzanti ma anche piene di intersezioni: ricordo la lezione che tenne all’Associazione degli Architetti di Oslo (1998) quando invitarono lei e il compositore norvegese Arne Nordheim a dissertare ognuno sulla disciplina dell’altro. Lei concluse ricorrendo al tipico pensiero poetico col quale non solo aveva formato generazioni e generazioni di
studenti ma sul quale aveva costruito la sua stessa idea di architettura: tracciò una linea lunga quanto la lavagna, aggiunse una piccola figura umana, come quelle che animavano sempre i suoi schizzi, e un sole che faceva proiettare al solitario uomo un’ombra sottile; poi disse, col suo solito timbro di voce apparentemente incerto e flebile, che l’orizzonte era il suo pentagramma, le persone le “note” e i suoi edifici gli strumenti per “suonare”: quella era l’unica musica che era in grado di realizzare. Era la musica della sua architettura.
Che indimenticabile lezione. Ma sono tanti i ricordi che avrei da riproporle e non posso, per brevità e per riservatezza, storie vissute da solo o insieme ai miei inseparabili soci di studio e amici di una vita Nicola Flora e Paolo Giardiello coi quali formavo quell’incredibile terzetto a cui tante volte ha riconosciuto la sana ingenuità di averla inseguita fino in neppure chiederle.
Siamo stati fortunati, molto fortunati, di una fortuna che abbiamo imparato ad apprezzare solo col tempo, crescendo. E non siamo mai riusciti a ringraziarla abbastanza.
Questo è il vero motivo per cui, lo scorso marzo, volevo incontrarla un’ultima volta: dirle, da uomo adulto, grazie!
Non ci sono riuscito, e ne porterò il rammarico dentro per sempre.

Gennaro Postiglione