cos'è architettura & co.

architettura & co. è stato pensato da paolo giardiello per mettere a disposizione di tutti, in particolare dei suoi studenti, i propri scritti, ricerche e riflessioni sull'architettura. il blog contiene testi pubblicati, versioni integrali di saggi poi ridotti per motivi editoriali, scritti inediti o anche solo riflessioni e spunti di ricerche. per questo non ha un ordine determinato, non segue un filo logico, ma rappresenta solo la sequenza temporale di occasioni in cui parlare di architettura, prima di farla "parlare", come invece dovrebbe, normalmente, essere.

24 giugno 2009

Lettera ad uno studente di Architettura

Amate l'architettura, la antica, la moderna, amate l'architettura per quel che di fantastico, avventuroso e solenne ha creato - ha inventato - con le sue forme astratte, allusive e figurative che incantano il nostro spirito e rapiscono il nostro pensiero, scenario e soccorso della nostra vita, amatela per le illusioni di grazia, di leggerezza, di forza, di serenità, di movimento che ha tratto dalla grave pietra, dalle dure strutture, amatela per il suo silenzio, dove sta la sua voce, il suo canto, segreto e potente, amatela per l'immensa gloriosa millenaria fatica umana che essa testimonia con le sue cattedrali, i suoi palazzi e le sue città, le sue case, le sue rovine.
Gio Ponti, 1957


Caro studente di architettura,
non ho la presunzione di invitarti, come ha fatto Gio Ponti ad amare l'architettura con il trasporto e la partecipazione di cui solo lui è stato capace. Non pretendo che tu faccia risuonare in te parole ormai lontane il cui eco, invece, non si è mai spento in me.
Molto più modestamente cercherò di invitarti a riflettere sui due termini che ti identificano: “studente” e “architettura”.
Chi è lo studente? Chi sei tu, caro studente di architettura?
Secondo quanto ci dice wikipedia (si, wikipedia e non un vocabolario, visto che sei più pratico del web che dei libri) uno “studente” è colui che sta imparando qualcosa. La parola “studente” deriva dal latino (non ne posso fare a meno) "studere" che significa “applicarsi per apprendere qualche cosa”.
Quindi, in pratica, visto che tu, nel tuo ruolo di studente, devi “imparare qualcosa” il solo modo per farlo è quello di “applicarsi per apprendere”.
Qui la cosa si fa complessa, da un lato già imparare è faticoso, significa aggiungere cognizioni e saperi a quelli che già hai, in fondo significa fare spazio tra cose che non ti serviranno più e ordinare con cura ciò che di nuovo apprendi ogni giorno. Ma la cosa più dura, mi rendo conto, è quel fatto di doversi “applicare” per capire ciò che stai immettendo di nuovo dentro di te.
Passiamo al secondo termine.
Tu non studi una disciplina qualsiasi, sei uno “studente di architettura”, immagino consapevolmente.
Per cui andiamo a vedere cos'è l'architettura (sempre wikipedia, altrimenti sarebbe davvero complicato): l'architettura è la disciplina che ha come scopo l'organizzazione dello spazio in cui vive l'essere umano; essa attiene principalmente alla progettazione e costruzione dell'ambiente costruito e nasce per soddisfare le necessità biologiche dell'uomo. Con la comparsa di caratteri estetici l'architettura si pone quale arte visiva dotata di proprie caratteristiche peculiari. Nell'architettura concorrono quindi aspetti tecnici e artistici.
Devo dire che trovo tale definizione abbastanza banale, ma mi basta per lasciarti capire la complessità del problema.
Tu non studi una scienza esatta, non studi norme e codici inamovibili, non studi neanche aspetti ignoti dell'universo che necessitano di una formula scientifica in cui essere racchiusi, tu studi una disciplina il cui fine è quello di costruire il benessere fisico e psicologico dell'uomo secondo modalità che sono, evidentemente, a cavallo tra la tecnica e l'arte.
Ecco quindi che il tuo “applicarsi” diventa ben più complicato, non basta svolgere un esercizio con diligenza, non basta studiare le pagine assegnate, non basta eseguire il disegno come richiesto, si tratta di applicarsi così tanto affinché la conoscenza di materie apprese separatamente – discipline tecniche, scientifiche, matematiche, grafiche, storiche, psicologiche, sociali, etc. - possano in te fondersi in una capacità espressiva e propositiva, e tu possa diventare lo strumento per costruire, un giorno, l'ambiente dove l'uomo - cioè tu stesso - possa vivere adeguatamente con gli altri, tra le sue cose, svolgendo le proprie attività.
Vedi, se nell'imparare generico c'è una grossa fetta di responsabilità di chi insegna, nell'imparare l'architettura prevale certamente la tua volontà, passione, capacità di apprendere sentendoti davvero responsabile di quello che vai a fare nei confronti dei tuoi simili.
Ecco, in parte, lo stato di impotenza - e a volte la rabbia - che pervade chi insegna architettura.
Metterti nella condizione di imparare alcune cose è, come si dice in matematica, “necessario ma non sufficiente”, ciò che completa l'apprendimento di quanto dato dal docente è la tua volontà: applicarti per capire, capire per fare, fare per saper fare sempre meglio.
Chi insegna comprende che tale grande sforzo può essere compensato solo dalla passione e dall'amore per quello che si fa. Ed eccoci tornare a Gio Ponti. Ad un architetto/docente che invita ad amare il proprio mestiere e sentirsi parte di un gruppo di “poche persone” responsabili della qualità di vita della “maggioranza delle altre persone”.
E quindi che fare? Insegnare ad amare?
Caro studente di architettura ti confesso che mi piacerebbe moltissimo fare solo questo: “insegnare ad amare l'architettura”, contribuire a costruire la passione di un architetto in formazione.
Ma l'amore o la passione non si possono insegnare, tuttalpiù si possono “contagiare”. Si può cioè provare ad insegnare trasmettendo non solo il proprio - limitato - sapere ma anche la propria irrefrenabile passione, l'ineluttabile amore per ciò che si fa.
Caro studente di architettura a maggior ragione, capirai che, a chi per gli altri mette in gioco sé stessi nell'insegnamento, non si può che rispondere allo stesso modo, dando tutto quello che si è in grado di dare come impegno, volontà e partecipazione. Altrimenti il rapporto non è bilanciato, anzi diciamo la verità, non c'è proprio alcun rapporto.
Se non saremo d'accordo su questo, non solo non riusciremo nello scopo di insegnare e apprendere, ma verrà meno la ragione stessa di stare insieme, docenti e studenti, e se ci stancheremo di questo, se non avremo più la voglia di condividere le nostre passioni – malgrado la fatica che ci costano – a quel punto, sono certo, non ci sarà più architettura.
Per questo ti invito a riflettere su ciò che sei e a pretendere sempre di più da noi docenti.


Con infinito affetto
un tuo professore di architettura
Paolo Giardiello

Napoli, 24 giugno 2009