cos'è architettura & co.

architettura & co. è stato pensato da paolo giardiello per mettere a disposizione di tutti, in particolare dei suoi studenti, i propri scritti, ricerche e riflessioni sull'architettura. il blog contiene testi pubblicati, versioni integrali di saggi poi ridotti per motivi editoriali, scritti inediti o anche solo riflessioni e spunti di ricerche. per questo non ha un ordine determinato, non segue un filo logico, ma rappresenta solo la sequenza temporale di occasioni in cui parlare di architettura, prima di farla "parlare", come invece dovrebbe, normalmente, essere.

23 ottobre 2013

T18 intervista



¿-Qué lleva a un arquitecto a dedicarse a la edición de arquitectura, a publicar la obra de los otros?

Non si può fare il mestiere dell'architetto senza osservare, analizzare, visitare, insomma studiare l'architettura. L'architettura di ogni tempo, di ogni regione, di ogni cultura è fonte di comprensione dei fenomeni della costruzione e del rapporto tra uomo e spazio. Tra le architetture studiate, tra gli autori incontrati alcuni lasciano il segno, lasciano, quello che si può chiamare, un insegnamento indelebile. Per questo nasce la voglia di divulgarlo, di comunicare agli altri le riflessioni scaturite dal confronto con le opere di chi ha saputo emozionarci. L'architetto che pubblica, che cura libri e monografie, può essere uno storico o un critico, allora divulgare è il suo mestiere. Se è invece un architetto operante, o anche un docente di una materia progettuale, allora egli pubblica per trasmettere a chi è come lui un progettista, un sapere appreso dall'analisi paziente e puntuale dal lavoro di altri architetti. E' un lavoro di condivisione, di messa in comune di ciò che è servito per capire il mestiere.

¿Cómo empezasteis, en cada uno de vuestros respectivos casos, las aventuras de AREA? ¿En qué momento estáis ahora? ¿Hacia dónde se dirige el sector?

Ho cominciato a collaborare con la rivista AREA nel 1997. La rivista era stata da poco affidata ad un giovanissimo direttore, Marco Casamonti, che si circondò di una redazione di giovani architetti e ricercatori impegnati all'università. Fu una avventura emozionante, AREA era una piccola rivista poco nota, e fare parte di quel gruppo ha significato confrontarsi con le grandi riviste del settore – Casabella, Domus, Abitare – che detenevano praticamente il monopolio dell'informazione di architettura. Piano piano la rivista si è affermata, sempre con lo stesso direttore alla guida, e cambiando vari editori, è oggi in reale competizione con le testate più note, è una rivista internazionale affermata. Certamente crescere ha significato perdere un poco della carica irriverente e a volte provocatoria degli inizi, oggi si è adeguata al mercato internazionale, è una rivista pubblicata e venduta in tutto il mondo, e deve rientrare in un modello, per così dire, divulgativo. Ora le riunioni non sono più fisiche, ma solo telematiche, e confesso di rimpiangere quelle giornate fiorentine passate tra l'architettura e una bistecca. La programmazione annuale avviene direttamente con l'editore e poi è demandata ai redattori la proposta di articoli e saggi all'interno del piano editoriale stilato. E' tutto meno improvvisato, più professionale. Il confronto infatti da un lato è con le grandi riviste internazionali, dall'altro è proprio con ciò che è troppo spontaneo, troppo improvvisato, e cioè con l'informazione sul web con il quale un prodotto cartaceo non può combattere ad armi pari. Diversi sono i costi, diversi i tempi di produzione, certamente diversi i prodotti finali. L'importante è che resti lo spirito originario di usare gli strumenti di comunicazione, l'editoria, per fare non solo informazione ma anche critica, ricerca, sperimentazione, insomma cultura.

¿En qué ha cambiado el mundo desde entonces y en qué habéis cambiado vosotros? ¿Cómo os ha cambiado editar?

Scrivere significa prima di tutto chiarire a sé stessi cosa si pensa. Poi implica capire cosa può interessare agli altri e come, eventualmente, indirizzare le aspettative di chi opera e vive il mondo dell'architettura. Insomma scrivere è un'operazione che va oltre le proprie idee, che pone, chi sceglie di impegnarsi in tal senso, in una condizione di interessarsi, preoccuparsi, del pensiero degli altri e di agire nella direzione di ampliare i possibili confronti, il dibattito critico e l'approccio culturale al problema.
Personalmente ho sempre avuto qualcuno con cui confrontarmi, ho lavorato sempre in società con altri colleghi e poi ho cominciato ad insegnare. Gli studenti sono un uditorio meraviglioso, critico e attento, sempre pronti a metterti di fronte le tue responsabilità. Scrivere è stata una conseguenza, è stato volere tentare di rivolgersi anche ad altri, esponendosi a critiche e ulteriori confronti.
Oggi scrivo di quello che maggiormente mi interessa, ma confesso che mi è servito molto anche scrivere “a tema”, ricevere cioè un tema dalla rivista o dall'editore e ricercare, in quell'argomento, qualcosa da dire che fosse, comunque, affine e all'interno delle mie convinzioni. E' stato un esercizio utile che mi ha fatto incontrare mondi che non avrei ricercato, conoscere autori che istintivamente non avrei approfondito. Rimanere ancora “stupiti” significa riconoscere di dovere studiare ancora molto, sempre.

¿Cómo ha influido, si es que ha influidlo en vuestra manera de proyectar o construir, el dirigir la revista o son actividades independientes?

Tutto ciò che si conosce, sia se lo si apprezza sia se lo si considera di scarso valore, influenza il progetto. Il progetto è la stratificazione delle nostre memorie e del nostro sapere, è la risposta alle esigenze oggettive della società filtrate tuttavia dal nostro personalismo essere. Pertanto sia la ricerca di opere emblematiche, di maestri, che la semplice conoscenza di quello che quotidianamente si fa intorno a noi, è servito per corroborare le convinzioni personali, ovvero per mettere in dubbio le più ferme certezze, cioè per rinnovarsi mettendosi di volta in volta in discussione. Questo non solo nel fare il mestiere, ma soprattutto nell'insegnare. Non si può insegnare ad avere principi irremovibili, sarebbe impedire la crescita personale di ognuno, si può solo insegnare il valore del dubbio. E' dai dubbi che si traggono le convinzioni, anche se temporanee, per affrontare ogni sfida. Che poi alcuni di tali principi restino stabili e fermi dentro di noi non è un punto di partenza, ma una valutazione da fare a cose fatte, alla fine, che speriamo sia il più lontano possibile.




14 ottobre 2013

arredare gli interni urbani




Prima di descrivere l'interno urbano è opportuno concordare su alcune definizioni. L’interno architettonico non è meramente ciò che è dentro l'involucro murario, non è cioè uno spazio chiuso, contenuto e delimitato, esso è piuttosto un luogo capace di accogliere i principi di difesa e intimità, l'affermazione dell'istinto primario di conservazione e protezione dell'uomo, è quindi un’estensione dell’essere, la dimensione materiale dei suoi desideri.
L’interno più che percepibile sensorialmente è un ambito culturalmente riconoscibile, spazio significante attraverso il quale capire il mondo e mostrarsi ad esso.
Uno spazio può pertanto definirsi “interno architettonico” non perché chiuso o perimetrato, quanto piuttosto se portatore dei sensi di riparo, privatizzazione e protezione, accoglienza e condivisione.
Comparativo e superlativo dell'aggettivo “interno” sono infatti “interiore” e “intimo”, il che fa comprendere, anche da un punto di vista lessicale, che progettare l'interno significa definire gli aspetti psicologici, personali, emozionali e culturali dell'abitare.
Coerentemente, l'interno urbano non ha bisogno di particolari definizioni capaci di assolvere l'apparente contraddizione tra ciò che è “dentro” o “fuori” l'involucro architettonico: interni nel tessuto urbano sono quegli ambiti capaci di ispirare principi di intimità, valori di appartenenza al luogo, culturalmente condivisi.
L'interno urbano è uno spazio relazionale, luogo di scambio, comunicazione ed espressione, dove riconoscersi e farsi conoscere; è quindi uno spazio sociale portatore di valori individuali, ovvero uno spazio intimo espressione dell'idea di collettività.
Ciò che permette di usare gli spazi dell'architettura sono i sistemi arredativi. Arredare significa infatti rendere agevole l’uso dello spazio, dotarlo spazio di attrezzature, strumenti, utensili necessari allo svolgimento delle attività umane e al soddisfacimento dei bisogni, bisogni non solo primari, ma anche psicologici, rappresentativi e di identificazione con l’ambiente costruito.
Per analogia “arredo urbano” non è solo l'insieme delle strutture che permettono di svolgere, negli spazi della città, determinate funzioni, quanto piuttosto tutto ciò che è in grado di corroborare i valori ed i sensi propri degli interni urbani, che permette cioè di dare forma alle relazioni tra uomo e spazio, tra uomo ed uomo, tra spazio e spazio.
Ciò che tali definizioni vogliono affermare è che gli elementi tipici dell'arredo urbano non sono pensati solo per assolvere i bisogni espressi dagli utenti quanto per materializzare i principi e i comportamenti a tali bisogni sottintesi: una panchina non è solo uno strumento dove sedersi ma uno spazio minimo dove raccogliersi singolarmente ovvero dove costruire una fugace intimità con altri fruitori del luogo.
Non solo, così come l'arredamento non è una prassi progettuale distinta o autonoma rispetto al progetto di architettura, anzi ne è l'aspetto più intimo e dettagliato - la forma dell'abitare - di cui tenere in conto già nella fase primitiva di ideazione, così l'arredo urbano non può essere considerato altro dall'idea di impianto della città e di uso e senso dei luoghi collettivi.
La posizione, la dimensione, il materiale, così come le logiche compositive, morfologiche, linguistiche, devono discendere, per continuità o discontinuità, dalla trama del tessuto viario, dalle texture dei materiali, dall'ordine dei volumi e delle strutture di cui sono parte integrante.
Secondo tale impostazione è evidente che progettare gli interventi necessari all'uso degli spazi dei centri storici significa, da un lato, capirne la storia, la stratificazione, le modificazioni, dall'altro, valutarne l'uso odierno e i sensi di cui esso è portatore nella contemporaneità.
Solo così è possibile rifuggire da ogni deriva stilistica del passato, dalla sovrapposizione di parti autonome, e giungere un una valutazione di integrazione coerente di parti contemporanee frutto di una rilettura attenta dei valori della storia.

11 ottobre 2013

il venerdì di filippo

Un bell'articolo sul Venerdì di Repubblica di questa settimana su Filippo Alison, sul libro a lui dedicato e sulla mostra organizzata a Salerno. Noi tutti siamo contenti e orgogliosi di avere partecipato al lavoro che ha portato a questo. Un grazie al Maestro e un pensiero speciale a Maura senza il cui impegno tutto questo non sarebbe stato possibile.

ps purtroppo l'articolo omette il nome dell'autore delle belle fotografie che è Giovanni Fabbrocino e si dimentica di citare, tra gli allievi/autori dei saggi nel libro, Gennaro Postiglione che forse è anche quello che più di Nicola Flora e del sottoscritto è stato accanto ad Alison per anni sia all'università, che nel lavoro di ricerca e nelle esperienze professionali.