cos'è architettura & co.

architettura & co. è stato pensato da paolo giardiello per mettere a disposizione di tutti, in particolare dei suoi studenti, i propri scritti, ricerche e riflessioni sull'architettura. il blog contiene testi pubblicati, versioni integrali di saggi poi ridotti per motivi editoriali, scritti inediti o anche solo riflessioni e spunti di ricerche. per questo non ha un ordine determinato, non segue un filo logico, ma rappresenta solo la sequenza temporale di occasioni in cui parlare di architettura, prima di farla "parlare", come invece dovrebbe, normalmente, essere.

30 marzo 2020

Fare sport


Tra il 1927 e il 1928 Charlotte Perriand realizza per il Repertoire du gout moderne due disegni, due spaccati assonometrici, dal titolo Sale de culture physique e Travail et Sport. Entrambe le proposte suggeriscono uno spazio domestico, ovvero una porzione dello stesso, dedicata allo sport e all’attività fisica. I progetti anticipano alcuni temi della poetica della Perriand e, in particolare, focalizzano un argomento che la stessa riprende nel 1935 con la proposta per la Exposition Universelle de Bruxelles della Maison du Jeune Homme dove mette a confronto uno spazio studio con un ambito dedicato allo sport da svolgersi nel perimetro domestico; schema che evoca la coeva esperienza di Casa Figini al Villaggio dei Giornalisti del 1933/35 dove l’architetto milanese prevede, per la sua abitazione, sulla terrazza di copertura, uno spazio dedicato alla ginnastica, con anelli e fune sospesi ad un telaio di travi e pilastri che coronano il volume della villa. Come dimostra anche l’Unité d’Habitacion di Marsiglia del 1947 di Le Corbusier con il suo percorso ginnico e la palestra sul terrazzo di copertura, il Movimento Moderno, sin dal principio, vede come parte integrante del programma funzionale del progetto residenziale la cura del corpo, il tempo libero e l’attività fisica, al pari delle esigenze primarie individuali e di quelle collettive di relazione, conoscenza e comunicazione.
L’architettura del Moderno si propone di dare forma ai nuovi stili di vita, anzi ritiene di poter promuovere il cambiamento dalle forme dell’abitare del passato a quelle del proprio tempo, di stimolare e realizzare cioè il processo di sviluppo verso una società effettivamente moderna attraverso la realizzazione di nuovi spazi rappresentati da linguaggi inediti capaci di tradurre in forma costruita le aspettative del tempo.
I programmi di vita domestici, come i ruoli sociali e lavorativi in evoluzione, trovano spazio e una propria espressione nelle ricerche e nelle proposte di quel preciso periodo storico che coinvolgono l’architettura come la città, la moda come il design, l’arte come i nuovi strumenti derivati dall’avanzamento tecnologico.
La casa ottocentesca, espressione di precisi ruoli e gerarchie, di rappresentazione di contenuti derivanti dall’organizzazione sociale e politica del tempo, viene messa in discussione proprio a partire da una ridefinizione della struttura della società e quindi delle opportunità di ogni singolo e delle relazioni collettive. Ogni “funzione” viene riletta in chiave di comportamenti, di speranze e di opportunità e anche le azioni del domestico si arricchiscono di opportunità in grado di affermare le qualità individuali ampliando le scelte e quindi le inclinazioni, la libertà di azione e di pensiero di ognuno.
Lo sport, la cura del corpo, lo svago e la ricerca del benessere, al pari dell’arricchimento culturale e delle relazioni sociali, rappresentano nuove possibilità di affermazione delle proprie potenzialità ed ambizioni grazie all’ottenimento di maggior tempo libero dovuto all’avvento di tecnologie capaci di affrancare da lavori ripetitivi e al riconoscimento di opportunità all’interno di una società intrisa di nuovi intenti, aspirazioni e desideri.
Tuttavia lo spazio domestico non riesce ad accogliere appieno le indicazioni di tale rivoluzione culturale e, opponendo una sostanziale resistenza al cambiamento, sviluppa modelli abitativi basati su tipologie rigide quanto povere di contenuti, banalizzando le azioni del quotidiano, riducendole al soddisfacimento elementare di bisogni primari da svolgere in spazi schematici, privi di carattere, disponibili a qualsiasi declinazione d’uso o di interpretazione. Non solo, così come la casa si propone come sommatoria di spazi funzionali determinati e autonomi, compartimenti privi di significative relazioni, analogamente lo spazio urbano, pur arricchendosi di nuove tipologie derivanti dai bisogni sopraggiunti, cresce secondo un modello di giustapposizione di parti indipendenti destinate alle differenti attività dell’uomo. L’istruzione, la cultura, lo spettacolo, il commercio, come lo sport, conformano strutture specifiche adatte allo scopo che si disseminano nella città secondo ragionamenti di opportunità e affinità. La vita dell’uomo pertanto è costretta a svolgersi in luoghi differenti, specifici e dalle prestazioni elevate, ma separati tra loro tanto da rappresentare momenti distinti della vita quotidiana, senza intersezioni o contaminazioni tra l’una e l’altra.
Malgrado alla fine del secolo scorso si sia assistito ad un accentramento di alcune attività in grandi centri polifunzionali, per quanto dettati esclusivamente dalla logica commerciale e del profitto, capaci di proporsi come luoghi attrattivi dove poter esaudire, in un perimetro determinato quanto contenuto, ogni aspettativa, lo spazio domestico ha confermato invece la sua aderenza a modelli di vita e quindi a schemi organizzativi fortemente legati ad una tradizione non più in linea con le abitudini collettive.
La rivoluzione digitale, che negli ultimi anni ha dimostrato di poter concretamente modificare anche i comportamenti più intimi dell’individuo, lascia immaginare che lo spazio della casa possa essere riletto alla luce di comportamenti, non ancora definiti, ma che sono strettamente legati alle potenzialità delle tecnologie digitali, della comunicazione diffusa e della virtualità intesa come dato essenziale del reale.
Non solo, la miniaturizzazione imposta dai nuovi strumenti digitali, la libertà da luoghi fisici specifici e la concentrazione delle principali applicazioni utilizzate in semplici apparati digitali ha liberato lo spazio da ingombri, da presenze specifiche, da collocazioni determinate, dalle caratteristiche del luogo. In tali spazi evanescenti e flessibili, volutamente scevri da caratterizzazioni, liberati dall’ingombro del passato, – luoghi del “senza”, ma di un senza dotato di significato, della “sottrazione” piuttosto che della “assenza” per parafrasare una espressione di Andrés Neuman tratta dal suo romanzo “Frattura”[1] – sarà possibile ridare spazio ai bisogni reali legati alle odierne esigenze dell’uomo. 
Lo sport può tornare ad essere un tema fondamentale da interpretare nello spazio domestico come in quello urbano, al di là dei luoghi ad esso specificamente deputati, riconoscendone un valore, oltre quello fisico, che è di soddisfazione e piacere personale e di condivisione e relazione con chi ha gli stessi interessi.
Al pari dei maestri del Moderno lo spazio domestico della contemporaneità – connesso grazie ai sistemi digitali – può tornare ad esaudire ogni aspettativa del singolo, mai solo perché costantemente in contatto con il mondo, interpretando senza schematismi funzionalisti, sia aspetti necessari che superflui del suo quotidiano, declinando l’utile con l’inutile, assolvendo bisogni del corpo come quelli della sfera emotiva.


[1] A. Neuman, Fractura, Debolsillo, Barcelona 2019, trad. it., Frattura, Einaudi, Milano 2019

Into the game


 I regali di Natale che ho ricevuto sono: un assistente virtuale intelligente, un termostato digitale connesso, anch’esso intelligente (questa è la denominazione del prodotto), una mini cassa acustica bluetooth, non intelligente ma dal suono decisamente incredibile. Insomma rientro tra coloro che hanno ricevuto regali tecnologici, digitali, niente di personale come una sciarpa o un orologio, ma prodotti che appartengono alla famiglia degli strumenti domotici che intendono migliorare l’abitabilità, il benessere e la fruizione dei nostri appartamenti.
Uso questo esempio perchè ritengo che definisca un modo di pensare diffuso, quello cioè che i nuovi modelli di abitare coincidano come le prestazioni degli edifici, che i contemporanei spazi residenziali si possano costruire grazie alla capillare dotazione di apparecchi sempre più sofisticati in grado da renderne più efficiente e comoda la gestione. Non a caso, ognuno di questi apparecchi ricevuti in regalo mi invita a comprare altri strumenti analoghi capaci di sempre più sorprendenti interazioni e quindi artefici di una gestione sempre più efficiente, ecologica e “personale” della casa. 
Eppure confesso che da quando li ho ricevuti – e diligentemente istallati – i miei regali giacciono pressocchè inutilizzati in giro per la casa, occupando inutilmente spazio sugli scaffali delle librerie: l’assistente risponde a tono correttamente solo a domande così banali di cui non se ne percepisce l’effettiva necessità, il termostato, dopo che ha cercato di imporre le sue regole circa la temperatura, l’apertura delle finestre, il ricambio d’aria e le fasce orarie, è stato ridotto ad uno sproporzionato interruttore del tutto analogo a quello antiquato che avevo prima, l’autoparlante è così piccolo che, puntualmente, non lo trovo quando mi serve e alla fine continuo a tenere il volume del vecchio impianto hifi al massimo in modo che si senta in tutta la casa (e non solo). Se dovessi limitarmi alla mia esperienza potrei quindi affermare, senza ombra di dubbio, che la domotica non rappresenta il modo per dare forma ai nuovi modi di vivere lo spazio domestico; infatti, alla luce della rivoluzione digitale che viviamo, la tecnologia non da senso alle nuove esigenze di chi l’ha accolta in pieno e, altresì, non invita o suggerisce un cambiamento o un rinnovamento a coloro che non l’hanno accettata del tutto. 
Come chiarisce Alessandro Baricco nel suo libro The game[1], non ci dobbiamo chiedere come risolvere le conseguenze della rivoluzione digitale ma comprendere le ragioni che hanno permesso, e in fondo voluto, che tale rivoluzione avvenisse. Lo scrittore infatti sposta il problema dal come affrontare le conseguenze sociali, relazionali e comunicative derivanti dalla diffusione, oltre il prevedibile, delle tecnologie digitali, tanto da considerarle invasive, al fatto che tali soluzioni erano desiderate, sperate e che quindi sono state progettate e concepite proprio per modificare il mondo in cui viviamo, alterarne le regole, costruire nuovi scenari e modelli sociali. 
Eppure, se la rete, i social, l’e-commerce hanno modificato le nostre abitudini tanto da cambiare ritmi, regole, riti quotidiani, modi di comunicare e di interagire con gli altri, gli spazi dove tutto questo avviene, i luoghi dove si svolge la vita dei nuovi utenti digitali, sono rimasti pressoché uguali a se stessi, sono diventati la scena, spesso fuori contesto, delle nuove relazioni e interazioni, siano essere virtuali che reali. 
Lo spazio domestico, per quanto arricchito di dotazioni capaci di prestazioni prima inimmaginabili, sebbene connesso a chiunque e ovunque, non ha accolto nessuna riflessione sui comportamenti suggeriti dalle nuove tecnologie, non ha indagato le nuove necessità nè provato a dare forma ai nuovi bisogni, non esplicitamente espressi, ma comunque evidenti; soprattutto non si è posto il problema di rappresentare, comunicare e trasmettere i nuovi “stili di vita” individuando i caratteri espressivi della contemporaneità. 
I linguaggi e le nuove morfologie che caratterizzano l’architettura, come gli oggetti e le suppellettili, come l’aspetto degli interni, producono innovazioni formali perchè autonomamente portatrici di un valore espressivo, eppure scisse dai contenuti dei principi che sostanziano l’abitare.
A supporto di tali affermazioni, e per maggiore chiarezza, aggiungo una ulteriore esperienza personale sempre legata alle festività appena terminate: avendo viaggiato in Marocco ho avuto la possibilità, in diverse città, di conoscere e apprezzare la casa tradizionale di questo Paese, dimore sia ricche che molto umili basate sullo stesso principio – stanze e ambiti funzionali gerarchicamente organizzati intorno ad un vuoto centrale, spesso su più livelli –, abitazioni oggi destinate soprattutto ad accogliere i turisti che intendono soggiornare nelle parti antiche – nelle medine – di tali contesti urbani. Ebbene, tali case esprimono ancora oggi, con estrema chiarezza, una cultura dell’abitare che è coerente con le abitudini, i riti domestici, la cultura, i ruoli dei generi, la religione, per non dire del clima, dei materiali e della tradizione artistica e decorativa; cultura dell’abitare che è però cambiata nelle esigenze contemporanee. Per quanto i riad a disposizione dei turisti vengano adeguati all’uso temporaneo attraverso l’aggiunta di servizi igienici derivati dalla cultura europea e dotati di impianti di climatizzazione, è evidente che essi vengono utilizzati per evocare un’atmosfera che soddisfi l’immaginario del turista; tali dimore non corrispondono più nè alle esigenze tecniche nè a quelle sociali della popolazione locale che, attenta ai valori della tradizione, è comunque inserita nella cultura globale digitale. Le nuove abitazioni che il mercato offre, con riferimento particolare a quelle rivolte ad una fascia acquisitiva medio/bassa, propongono tipologie edilizie correnti, del tutto simili a quelle europee, che niente hanno a che fare con le tradizioni abitative locali e, al contempo, ancora non riescono ad assecondare i modelli di vita suggeriti dai nuovi comportamenti. Tale situazione, evidente quanto stridente in tali Paesi, è comunque un problema internazionale, investe il nord come il sud del mondo, l’oriente come l’occidente; è una condizione in cui i modelli abitativi si ripetono sempre più schematicamente e banalmente, riducendo l’aderenza alle aspettative della società, rinunciando a dare forma alla cultura del tempo, offrendosi come mezzi per soddisfare bisogni primari, dove l’aderenza agli stili di vita in evoluzione è demandata a meccanismi in grado di gestire e assecondare le abitudini odierne. 
La casa oggi viene vista come uno strumento inespressivo, forse uno dei più antiquati, bisognoso di un upgrade prestazionale, in cui svolgere attività imprescindibili, e di cui si farebbe volentieri a meno: dormire, cibarsi, lavarsi, lavorare, insomma vivere.



[1] A. Baricco, The game, Einaudi, Milano 2018