cos'è architettura & co.

architettura & co. è stato pensato da paolo giardiello per mettere a disposizione di tutti, in particolare dei suoi studenti, i propri scritti, ricerche e riflessioni sull'architettura. il blog contiene testi pubblicati, versioni integrali di saggi poi ridotti per motivi editoriali, scritti inediti o anche solo riflessioni e spunti di ricerche. per questo non ha un ordine determinato, non segue un filo logico, ma rappresenta solo la sequenza temporale di occasioni in cui parlare di architettura, prima di farla "parlare", come invece dovrebbe, normalmente, essere.

30 ottobre 2014

E' in stampa: Pensar, hacer, imaginar

E' finalmente in stampa il mio ultimo libricino, Pensar hacer, imaginar. Tres lecciones de interiorismo, per i tipi della casa editrice della Universidad Autonoma de Aguascalientes. Si tratta di un libro in spagnolo e italiano dove ho raccolto tre lezioni (scritte in spagnolo per il publico messicano) sul tema dell'interno architettonico e tenute presso tale università nel 2013.
Un piccolo lavoro che mi ha costretto ad un grande sforzo di sintesi sullo "stato dell'arte" della nostra disciplina per raccontare a colleghi lontani chi siamo stati, chi siamo e forse anche cosa saremo.
Di seguito, per stuzzicare la vostra curiosità, riporto - in anteprima - la prefazione al libro.
PG





PREFAZIONE
Non ho mai scritto una lezione, cioè non l'avevo mai fatto fin'ora. Certo le preparo, con cura, in maniera quasi maniacale, raccolgo citazioni e riferimenti, predispongo immagini e filmati, compongo insomma la struttura di sostegno e i contenuti di un momento che, tuttavia, ritengo debba sempre essere “in diretta”, “dal vivo”, che non si possa cioè leggere. Soprattutto che il linguaggio di una lezione non può essere quello di un testo o di un saggio e che scrivere con lo stesso tono con cui si parla è decisamente difficile. Dirò di più, non sopporto chi legge le lezioni, chi legge una conferenza come se fosse un telegiornale. Ritengo che comunicare ad un pubblico sia un lavoro difficile, e che bisogna saperlo fare, che non si può quindi “aggirare” con stratagemmi come quello di leggere un testo scritto precedentemente. Bisogna “sentire” la sala, percepire l'umore e il grado di attenzione dell'uditorio, riferirsi all'intervento che, magari, ti precede o ti segue. Malgrado questo rimanga fermamente il mio modo di intendere una “lezione”, quando sono stato invitato a tenere un breve corso di due lezioni ai docenti delle discipline degli interni dell'Universidad Autonoma di Aguascalientes, e una lezione “magistrale” all'intero corpo docente dell'ateneo in occasione del X° Taller de Interiorismo, ho avuto la netta percezione che avrei dovuto compiere una scelta importante: o tenere una lezione senza l'ausilio di un testo scritto, come mio costume, ma solo con una scaletta di argomenti su cui basarmi, ma nella mia lingua, in italiano, oppure di aiutarmi con un testo scritto e tradotto in spagnolo per poter comunicare più direttamente, in prima persona e senza traduzioni, attraverso il mio traballante “castellano”.
L'invito è giunto prima dell'estate, estate che ho passato a raccogliere le idee, a scrivere appunti, a rintracciare frammenti dei miei scritti con cui rispondere ai temi - difficili - che mi erano stati assegnati. Scrivendo, le due lezioni per il seminario dedicato ai docenti e la lezione magistrale cominciarono a comporre un unico percorso logico, un “trittico” di lezioni, un ragionamento continuo unito da un filo conduttore: lo stato dell'arte della ricerca del progetto di interni, il contributo della ricerca alla professione, il futuro della disciplina, del suo insegnamento, della ricerca applicata agli interni in architettura; in sintesi: pensare, fare, immaginare. Più cercavo di rispondere alle richieste poste, più i frammenti slegati e sciolti di idee e ragionamenti si legavano tra loro, si componevano in un sistema coerente e logico che andava oltre il semplice sistema di appunti, prendendo la forma di un testo, di un testo che nasceva per essere comunicato a voce.
Così ho letto le mie prime lezioni, senza l'ausilio della parte scritta non mi sarei mai sentito sicuro di comunicare ad una platea in Messico nella loro lingua, lingua che parlo a livello elementare ma che amo e che vorrei conoscere sempre più.
Non si tratta di traduzioni eleganti, di contenuti riportati con sapienza da una lingua ad un'altra, ma di un passaggio da un idioma ad un altro finalizzato alla comprensione immediata, alla comunicazione verbale, senza pretese e di cui chiedo scusa anticipatamente. A differenza delle lezioni “normali” questa volta infatti mi è rimasto però molto materiale: i testi in italiano, le traduzioni in spagnolo, le immagini. Materiale che non ha certo l'immediatezza della lezione, che non racconta gli scivoloni di pronuncia, la gola secca, le risate del pubblico e gli applausi, di rito, finali, ma che racconta comunque, anche oltre i contenuti, il rispetto e la responsabilità nei confronti del “mestiere”di docente. Il libro è quindi un atto dovuto, verso coloro che mi hanno invitato a celebrare con loro dieci anni di un importante seminario internazionale di architettura degli interni, nei confronti della scuola da cui provengo, verso gli studenti che ogni anno, sempre nuovi, sempre diversi, aspettano di essere da noi guidati nella loro formazione di architetti.

PG


15 ottobre 2014

RECENSIONI

Lettera (e non solo) ad uno studente di architettura
di Grazia Fioretti

Come si intuisce dal titolo “Lettera (e non solo) ad uno studente di architettura” è un libro scritto e pensato avendo come interlocutore uno studente di architettura. Paolo Giardiello, docente di architettura di interni presso il Dipartimento di Architettura della Fede- rico II di Napoli, racconta frammenti, appunti di lettere, il cui principale obiettivo è quello di conversare liberamente di architettura con chi ha scelto il difficile mestiere dell’architetto.
Sono racconti collegati tra loro in un crescendo che porta chi legge ad appassionarsi, innamorarsi dell’architettura; a capire cosa essa sia, cosa significhi “farla” e quale possa essere il modo più appropriato di approcciarsi a essa. Singolare la scelta stessa dei titoli dati ai paragrafi; solo per citarne alcuni: “Wilma dammi la clava”; “Salviamo l’ornitorinco”; “Perché una lavatrice non è una poltrona”; titoli che a una prima lettura non lasciano comprendere quale sia il tema trattato, ma che, al momento della lettura, appariranno come la più chiara e diretta sintesi di quanto lo scrittore vuole tramandare.
Il libro nasce successivamente a una lettera scritta dopo una lezione e revisione avuta in uno dei suoi corsi, rendendosi conto di parlare un altro linguaggio rispetto agli studenti.
Se il ruolo di uno studente è quello di “applicarsi con il fine di comprendere”, in discipline come l’architettura ”applicarsi” è più complicato perché non basta svolgere l’esercizio assegnato, occorre che la conoscenza delle materie apprese possa fondersi in una capacità espressiva e propositiva; c’è bisogno di volontà e passione, sentimenti che non si possono insegnare, al più “contagiare”.
Ed è questo che l’autore cerca di fare: “contagiare” chi legge, “contagiare” la passione che da studente, da architetto e poi da professore lo ha sempre spinto a informarsi e a “fare” architettura, avendo come obiettivo quello di riuscire a emozionare chi la utilizza... l’uomo. Ciò che andiamo progettando dovrà essere una rappresentazione spaziale a cui poter attribuire valori e contenuti e non un “vuoto a perdere”, un corpo sterile e fine a sé stesso, ma un elemento capace di determinare un habitat in cui l’uomo possa riconoscersi e vivere; luoghi di “interiorità” nei quali poter mettere in scena la propria vita.
Nell’ultimo capitolo, alla domanda che preoccupa la maggioranza degli studenti sul cosa sarà di loro come progettisti, Paolo Giardiello risponde: “sarà, quello che voi sarete”, ai traguardi raggiunti dovrete arrivarci con la convinzione di essere stati architetti fino in fondo; magari non maturi, ma con lo spirito giusto di coloro che sanno quello che vogliono ottenere
Per questo “Lettera (e non solo) ad uno studente di architettura” è, a giudizio di chi scrive, un libro non solo dedicato agli studenti, ma anche a chi lo è stato, in ricordo di quanto provato durante quegli anni che, anche se ricchi di paure e contraddizioni, resteranno sempre gli anni più belli della nostra vita... e non solo perché più giovani.

Rassegna aniai 2/2014
155 persone raggiunte

06 ottobre 2014

abitare ai tempi della sostenibilità



“Abitare verde” è un neologismo facilmente desumibile da comportamenti oggi diffusi, da atteggiamenti culturali condivisi, da indirizzi progettuali di attualità (anche se talvolta abusati) che vuole provare a valutare le relazioni che intercorrono tra il concetto di progetto eco-sostenibile e le ragioni del dimorare ispirate a tale principio.
Green”, nel senso comune, è tutto ciò che implica una contenuta ricaduta sull'ambiente, un impatto compatibile con le esigenze del territorio, attraverso scelte sostenibili tese, comunque, a salvaguardare il delicato ecosistema in cui viviamo.
“Abitare”, per definizione, significa “aver consuetudine in un luogo”, “occupare stabilmente” e più precisamente, risalendo alla sua etimologia, indica la modalità con cui l’uomo riesce a “continuare ad avere”, che gli permette cioè di “permanere”, secondo le sue aspettative, nel mondo.
“Abitare verde”, unendo i due significati, può quindi voler identificare un modo con cui l'uomo sceglie di vivere permanentemente in un luogo, secondo un atteggiamento che sia compatibile e rispettoso delle caratteristiche originarie dell'ambiente, o comunque che non crei in esso processi di trasformazione incoerenti.
Poiché, come ricorda Heidegger, abitare è un istinto dell'uomo che precede l'atto di costruire, tale sentimento di compatibilità e rispetto dell'ambiente, prima ancora che riferito ai materiali, alle tecniche costruttive, alle tecnologie, ai cicli energetici - al manufatto architettonico inteso come oggetto costruito - deve scaturire dalle scelte insediative, dagli “stili di vita”, dall'analisi dei sensi propri del luogo, dalla conformazione degli spazi in rapporto alle esigenze funzionali espresse dalla società, dal rapporto, continuo e costante, tra ciò che è artefatto e la natura.
Insediarsi in un luogo comporta, naturalmente, una modificazione dello stesso, una trasformazione delle sue regole, una frattura nella sua continuità; per cui la valutazione dell'impatto ambientale non può limitarsi all'eco-compatibilità delle singole componenti o alla sostenibilità dei processi energetici, e deve essere quindi commisurata alla capacità del manufatto di innescare modalità di abitare fluide tra l'esistente e il nuovo, di definire cioè un abitare che nasca dalle premesse insite nel luogo (inteso non solo fisicamente ma anche culturalmente) e le adegui, secondo processi omogenei, alle richieste del vivere contemporaneo.
Se infatti costruire a “regola d'arte” con i materiali naturali del luogo, con le tecniche adeguate, può essere considerato un atto compatibile con l'ambiente, la trasformazione del territorio, le discontinuità in esso create, le modificazioni orografiche, la variazione di permeabilità del suolo e dei percorsi dei venti, così come, in senso più ampio, l'inclusione e l'esclusione, le alterazioni delle relazioni tra gruppi sociali, dei comportamenti privati e collettivi, l'introduzione di simboli che innescano nuovi processi comunicativi, comunque possono influire negativamente sulle capacità di adattamento della società al contesto cui appartiene.
“Abitare verde” vuole andare oltre un sentimento ecologico ingenuo, teso a proporre frammenti di natura in contesti dove non è necessaria o a utilizzare soluzioni tecnologiche fuori contesto, e riuscire, invece, a misurare concretamente l'impatto della presenza dell'uomo sull'ambiente, sia esso naturale che già antropizzato, trovando la forma più adatta a spazi in cui possa soddisfare le sue aspirazioni, rendendolo parte attiva di un processo di adattamento, reciproco e dialettico, con il territorio in cui vive.
Scelte insediative che possono condurre a soluzioni che si pongono anche in discontinuità con le tecniche costruttive tradizionali, con le tipologie esistenti, con le soluzioni compositive tipiche, ovvero confermarle appieno quali uniche soluzioni capaci di rispondere adeguatamente alle esigenze manifestate nel rispetto delle potenzialità dell'ambiente.
Una nuova sensibilità progettuale può partire proprio dal reinventare lo spazio abitato, le relazioni tra le persone e tra queste e le cose, a ripensare le dimensioni e la morfologia delle superfici abitate, la quantità e la distribuzione delle funzioni, i sistemi di collegamento e i flussi di informazioni e comunicazioni. Prima ancora che adeguare al meglio tecnologicamente uno spazio da abitare basato su tipologie obsolete, lo sforzo di chi vuole “progettare verde” deve essere quello di immaginare nuovi luoghi di vita capaci di affermare modalità relazionali socialmente avanzate e, nel contempo, pervase dal rispetto per l'ambiente e dalla lucida previsione di una sua preservazione.

Le nuove forme dell'abitare avranno così la responsabilità di ridefinire categorie, solo apparentemente dialettiche, quali: interno-esterno, pubblico-privato, intimo-condiviso, artificiale-naturale; restituendo il compito di fare ricerca e sperimentazione all'architettura.