cos'è architettura & co.

architettura & co. è stato pensato da paolo giardiello per mettere a disposizione di tutti, in particolare dei suoi studenti, i propri scritti, ricerche e riflessioni sull'architettura. il blog contiene testi pubblicati, versioni integrali di saggi poi ridotti per motivi editoriali, scritti inediti o anche solo riflessioni e spunti di ricerche. per questo non ha un ordine determinato, non segue un filo logico, ma rappresenta solo la sequenza temporale di occasioni in cui parlare di architettura, prima di farla "parlare", come invece dovrebbe, normalmente, essere.

25 maggio 2015

Lo spazio del cibo



Mangiare è una necessità, per l'uomo è uno dei bisogni ineludibili della sua esistenza; attraverso il cibo assume le sostanze richieste dall'organismo.
Mangiare però è anche un'espressione culturale, un rito condiviso, un'esperienza sensoriale, un modo per trasformare, assimilare e conoscere i prodotti della natura.
Mangiare implica modi, usanze, costumi, abitudini diverse nel tempo e nei luoghi che sono anche un'espressione tangibile della storia evolutiva dell'essere umano.
Per mangiare sono necessari oggetti, strumenti, suppellettili, arredi, spazi che sono la forma costruita del significato che una società attribuisce al cibo, allo stare insieme per gustarlo, al suo valore necessario e alla sua espressione simbolica.
Ciò che maggiormente caratterizza un luogo - una città, un paese - e la gente che lo abita, è forse proprio il cibo e i riti necessari a consumarlo; in particolare, nel mondo globalizzato dove architettura, arte, moda, tecnologie e prodotti di consumo sono sempre di più omogenei, dove le differenze tra le culture vengono sfumate, se non a volte cancellate, dall'invadenza di stili di vita sempre più omologati dettati dalle regole del consumismo, il cibo, i modi e i luoghi per consumarlo offrono una resistenza, non dichiarata, ma concreta.
La cultura del mangiare in ogni nazione lascia certamente ampi spazi ai gusti internazionali e alle mode indotte dalle multinazionali del consumo, consente cioè l'invasione e la persuasione, indiscreta e inarrestabile, imposta dal mercato dei marchi e dei prodotti, ma conserva, ferma e silente, tradizioni e abitudini irrinunciabili, proprie di una forma del consumo dei cibi che è anche la manifestazione della propria storia.
Viaggiare pertanto, resistendo all'omologazione dei luoghi, dei segni, dei linguaggi e delle mode, rifiutando proposte turistiche preconfezionate e manifestazioni sempre uguali, rifuggendo eventi dal contenuto estraneo o dissonante, sopportando l'accoglienza basata su presunti standard di qualità o di lusso, oggi può diventare, sempre più, un viaggio nei riti del mangiare, della preparazione dei cibi e della capacità di manipolarne il gusto, dei luoghi dove consumarli, dei prodotti locali e della loro trasformazione e contaminazione con quelli provenienti da altre culture e paesi.
Il viaggio attraverso la cultura del mangiare, negli spazi dedicati alla consumazione dei cibi, inizia e termina con i pasti consumati sui mezzi di trasporto. Questi spazi - aereo o treno - ristretti e complessi da risolvere, per quanto rappresentino un concentrato di ricerca nel campo non solo della tecnologia ma anche del design, per quanto esaudiscano appieno la maggior parte delle esigenze - il riposo, la lettura, lo svago, la comunicazione, il sonno - espresse dal viaggiatore che deve, a volte, trascorrere un tempo considerevole in tali ambienti, peccano, quando si tratta del momento del pasto, di una corretta atmosfera, per non dire anche della possibilità di assumere una corretta postura, della essenzialità delle attrezzature e della esiguità dello spazio. Volendo escludere infatti le sempre più rare carrozze ristorante o gli arredi specifici per il consumo di cibo, quello che solitamente è richiesto è di mangiare seduti nel proprio seggiolino, evento che, in un aereo di ultima generazione o in un treno ad alta velocità, rimane pur sempre un'esperienza piena di disagi.
Infatti, qualunque sia la classe di viaggio, la poltrona, idonea ad accogliere la persona seduta, sdraiata o anche distesa, risulta, nella maggioranza dei casi, poco adatta a mangiare il pasto che viene offerto. Il tavolino, oltre che piccolo e sempre in precario equilibrio, risulta spesso troppo lontano dal busto, per cui il gesto di portare il cibo alla bocca, tenendo conto anche del movimento del veicolo, diviene incomodo. Non solo, l'illuminazione, pensata per una corretta luce diffusa o adeguata alla lettura individuale, è del tutto insufficiente, a volte sgradevole, per comprendere il contenuto dei vassoi con il cibo che, a loro volta, per ottimizzare lo spazio a disposizione, hanno inoltre il difetto di non valorizzare ciò che contengono e di non consentire la disposizione delle pietanze nell'ordine in cui si preferisce gustarle. Avere le pietanze accostate e compresse, dal primo piatto al dolce, confonde gli odori e i sapori, annulla la gerarchia tra le pietanze, non chiarisce ciò che è freddo da ciò che invece va consumato ancora caldo.
Inoltre, l'impossibilità di partecipare adeguatamente con altri al momento, per quanto frugale, del pasto, trovandosi forzatamente uno accanto all'altro, quindi in una disposizione dove ognuno è concentrato solo sulle proprie azioni, fa perdere l'eventualità di condividere con chi si desidera il tempo dedicato al cibarsi.
Tutto questo per dire che, malgrado le compagnie di viaggio si sforzino di pensare menù capaci di raccontare le caratteristiche e le tradizioni culinarie del luogo che si sta lasciando unite a quello della meta a cui si sta giungendo, di selezionare ricette capaci di sopportare la consumazione a distanza di molto tempo dalla preparazione, l'atto stesso del pasto rimane esclusivamente legato alla necessità di ingerire il cibo, escludendo ogni ritualità aggiunta, ogni abitudine consolidata, che fa del mangiare un momento conviviale e un atto sociale introduttivo alla conoscenza delle tradizioni e delle risorse di un paese.
L'esempio dell'atto del mangiare in un mezzo di trasporto, evidentemente ancora irrisolto o comunque sottovalutato e ridotto al semplice esigenza di nutrimento, vuole semplicemente focalizzare l'attenzione su quante variabili entrino in gioco nel momento dedicato al “mangiare”. Una volta “in viaggio” invece, giunti cioè alla meta in un luogo dalle tradizioni e dalle abitudini diverse dalle nostre, se si è attenti ad evitare la standardizzazione delle catene di ristorazione che tendono a rassicurare il viaggiatore omologando le offerte, i luoghi e i modi del consumo alimentare sulla base di stili e gusti considerati, a torto, trasversali, imponendosi di correre qualche rischio e magari di dover rifiutare qualche pietanza non di nostro gusto, lasciandosi assorbire dagli odori, dai ritmi, dai suoni e dai colori di mondi a noi estranei, è possibile intraprendere un'esperienza tra i sapori capace di avvicinarsi alla cultura e alla storia del paese che ci ospita.
Ciò che contribuisce in tali occasioni a partecipare appieno alla cerimonia del mangiare è la “forma dell'ospitalità”, a partire dal modo con cui il ristoratore - sia esso di una taverna spartana, che di un ristorante di lusso, che di un banco lungo la strada - ci invita e ci presenta i suoi cibi, sussurrandone i contenuti in una lingua sconosciuta, ovvero urlandone le qualità disegnando con ampi gesti le modalità di preparazione, oppure portandoci ritmicamente le pietanze, senza porci alcuna domanda, conscio di introdurci così nel suo mondo culinario.
L'accoglienza e l'ospitalità si completa con il luogo, con la forma dello spazio, la disposizione degli arredi, il tipo dei mobili, lo stile con cui è allestita la tavola, la dimensione e la morfologia della stessa, il racconto delle pietanze nei menù e la loro rappresentazione che già comunica il modo con cui dovranno essere consumati i piatti proposti.
In molte culture, in locali dove il pasto non è codificato in ogni sua portata, e soprattutto nel numero e nella tipologia delle stesse nelle diverse ore del giorno, la tavola non si presenta già apparecchiata, è cioè priva di posate o piatti, e talvolta anche di tovaglia, rifinita solo con qualche elemento di decorazione, in attesa di essere predisposta, nel modo più idoneo, alla pietanza ordinata, il che rimarca la stretta correlazione tra ciò che si mangia, la scelta degli oggetti, l'allestimento dello spazio. Analogamente è possibile incontrare locali, anche molto semplici ed essenziali, dove comunque esistono ambiti diversi nell'ambiente, attrezzati con sedute e ripiani distinti, dove scegliere in base ai diversi tipi di consumazione: un tè o un caffè, un semplice tramezzino, un vero e proprio pasto composto da diverse portate; ambiti specifici che fanno corrispondere un'atmosfera specifica, un preciso allestimento ad ogni singola scelta. Tavolini bassi o alti, poltrone ampie e comode o sgabelli essenziali, tavoli spaziosi o semplici appoggi a parete, non arredano semplicemente lo spazio dotandolo di quanto necessario, ma lo definiscono nel dettaglio in base ai comportamenti che il tipo di cibo prescelto impone, secondo la tradizione consolidata del luogo.
Analogamente le luci, al pari dei suoni e delle musiche di sottofondo, come anche gli odori di essenze in alcune culture, distinguono e disegnano spazi dove compiere gesti e partecipare a riti totalmente originali, dosandone l'intensità e la natura tra la necessaria visibilità del piatto e la determinazione della qualità dello spazio che circonda l'utente.
All'inizio ci si può trovare spaesati, spinti dall'istinto di riprodurre ovunque le abitudini che scandiscono i ritmi della nostra esistenza quotidiana, ma entrare nell'esperienza del viaggio significa proprio lasciarsi andare a ciò che non conosciamo, che non ci appartiene: ad una cerimonia del tè in Turchia, come alla preparazione di una tajine in Marocco, al lento rito dell'asado in Argentina o all'apertura delle ostriche appena pescate in Bretagna o anche alla rapida preparazione di burritos in Messico. Ogni cibo, anche il più semplice, richiede un tempo, un luogo, una luce dove poterlo assaporare appieno, traducendo l'azione elementare del mangiare in un'esperienza che avvicina alla conoscenza dei luoghi e dei popoli.
Parallelamente alle più avanzate scuole di cucina che tendono a fondere sapori, materie prime e modi di prepararle, oggi l'architettura, il design e il progetto di interni dei luoghi di ristorazione o comunque degli spazi dove consumare i cibi, cercano di proporre linguaggi e stili che hanno la velleità di rinnovare la tradizione, mescolare le forme espressive, contaminare i riti consolidati. Esperienze spesso di difficile lettura e comprensione, altrettanto preoccupanti quanto l'eccesso di creatività degli chef.
Quello che invece maggiormente interessa il comune mondo del progetto dello spazio “del mangiare” è la rilettura non vernacolare dei luoghi ancora espressione di tradizioni gastronomiche vive e diffuse. Quello che cioè rappresenta il vero contributo della cultura architettonica all'arte culinaria è l'adeguamento ai nuovi stili di vita e ai costumi contemporanei delle abitudini e dei gusti ancora attuali che hanno la necessità di essere tramandati ma, nello stesso tempo, espressi in una forma appartenente al presente.
Esemplare in tal senso è il progetto di recupero della Fabbrica Moritz a Barcellona di Jean Nouvel, una birreria dove tradizione e innovazione si fondono, dove il progetto di interni e il design degli arredi e delle componenti architettoniche sono capaci di annullare la distanza tra il presente e il passato e proporre un'originale esperienza conviviale.
Molti architetti e curiosi, la prima volta, sono attratti e distratti dalle varie soluzioni con cui sono recuperate le strutture e gli spazi della vecchia fabbrica, dalla contrapposizione di materiali di tempi e consistenza diversi, dall'innesto di soluzioni essenziali quanto raffinate, come anche dal design sobrio teso ad una rilettura morfologica, dimensionale e espressiva degli arredi e delle suppellettili delle birrerie tipiche; ma poco dopo, tutti indistintamente, sono coinvolti dalla festosa atmosfera, dalle soluzioni raffinate dei diversi ambienti che propongono vari modi di stare insieme e di gustare la birra picando algo, dagli spazi aperti o più intimi e raccolti che danno forma e sostanza, nel solco della tradizione ma in chiave contemporanea, all'idea stessa di una “fabbrica di birra” nel cuore della città storica.