In occasione delle recenti festività
pasquali, caratterizzate da un clima invernale più che primaverile,
ho trascorso qualche giorno di riposo in un accogliente appartamento
in un “residence” costruito negli anni '70, in una località di
montagna sull'Appenino centrale. Non solo l'architettura
dell'edificio dichiarava la sua età attraverso lo stile
architettonico e le forme innovative proprie di quel periodo, ma lo
stesso appartamento era l'immagine di quegli anni, ancora arredato
con mobili, oggetti e suppellettili, arricchito con quadri e
sculture, dotato di biancheria, posate, piatti e bicchieri,
indifferenti al passare del tempo. Ho vissuto così in una casa anni
'70, con oggetti di design degli anni '60 e '70, perfettamente
funzionante, senza alterazioni o aggiunte improprie, quasi si
trattasse di un set cinematografico accuratamente ricostruito.
Ho trascorso i pomeriggi davanti al
camino, avvolto dalla luce di una Arco di Castiglioni che definiva il
centro del soggiorno tra la poltrona e il divano, ho pranzato grazie
ad una lampada da terra a faretti regolabili, forse un pezzo
originale della Lumi o una interpretazione di un progetto di
Sarfatti, ho letto un libro nella penombra di una Dalù di
Magistretti in una camera dal letto avente a soffitto la Triteti
sempre dello stesso autore. Non solo, all'ingresso come in camera da
letto, in cucina come in bagno, corpi illuminanti meno noti, o non
passati alla storia, in acciaio inox, plastica, vetro e specchio,
dalle chiare forme geometriche, tra atmosfere pop e psichedeliche,
ben si sposavano con arredi e suppellettili di Colombo, Castiglioni e
Magistretti, per non dire di una buona riproduzione della poltrona di
Eames sul soppalco.
Costretto dall'inclemenza del tempo a
rimanere in casa, l'ambiente, sin dall'inizio, mi è comunque apparso
familiare e, dopo lo stupore per la scoperta di ogni singolo oggetto,
tutto ha cominciato a svolgere semplicemente il proprio ruolo nella
definizione della qualità dello spazio, nella caratterizzazione
degli ambiti, nello svolgimento delle varie attività, nel rispondere
ai miei personali bisogni.
In particolare ho trovato i corpi
illuminanti adatti a produrre la luce desiderata nei vari ambienti e
non ho avuto problemi a leggere e comprendere le forme dei singoli
pezzi e gli effetti da loro prodotti.
Non è un caso che anche a casa sia
circondato da lumi pressoché degli stessi anni, dal lampadario PH5
di Poul Henningsen al Disa di Coderch, dal lume Fontana di Ingrand
alla Eclisse di Magistretti e al Cuboluce di Bettonica e Melocchi.
Viene da chiedersi perché molte delle
lampade di maggiore successo, sia di critica che di pubblico, siano
state pensate e prodotte proprio tra gli anni '50 e gli '80, ma
soprattutto perché queste non ci sembrino “vecchie” o “d'epoca”,
resistendo alle variazioni del gusto, mostrando di essere le forme
più chiare per diffondere la migliore luce, adeguata ad ogni tipo di
funzione.
Non è difficile comprendere che le
opere citate, come altre altrettanto famose di quegli anni, nascano
semplicemente dall'elemento tecnico illuminante, intorno alla
lampadina con filamento di tungsteno e attacco a vite
commercializzata fin dall'inizio del '900. Con vetro trasparente o
bianco latte, piccola o grande, con la cupola a specchio o
smerigliata, la piccola lampadina ha rischiarato il XX secolo che,
intorno al suo punto luminoso racchiuso nel bulbo di vetro, ha
disegnato infinite forme per ottenere diverse qualità di luce e di
ombre.
Il design illuminotecnico, per più di
un secolo, si è concentrato su tutti i possibili effetti che si
potevano ottenere da quella fonte luminosa (ovvero dalla meno amata
alternativa del tubo a neon), sul disegno cioè della morfologia
adatta a realizzare la migliore distribuzione della luce nello
spazio, le adeguate sfumature di penombra, la direzione e l'intensità
scelta in base alle necessità funzionali e agli effetti desiderati.
A tale luce proveniente dalla lampadina
sono stati accostati materiali diversi: lucidi, opachi, trasparenti,
traslucidi, caldi e freddi, evanescenti, eterei, solidi o liquidi
(come dimenticare le lampade LAVA con le bolle colorate in movimento
immerse in un liquido trasparente?). Le lampadine sono state usate
singolarmente o accoppiate, nel numero e nella disposizione idonea a
restituire la quantità e la qualità della luce richiesta. La luce è
stata riflessa, filtrata, indirizzata, modulata, plasmata, al fine di
giungere all'uomo con un proprio “carattere”.
Le forme dei lumi sono nate per
dirigere, colorare, smorzare o moltiplicare la luce nell'ambiente
domestico, negli spazi pubblici o privati, all'aperto o negli
interni, forme necessarie a “fare luce” in quanto l'illuminazione
ha sempre avuto il compito di rendere significanti i luoghi, di
svelare lo spazio architettonico come la sua massa volumetrica, di
delineare perimetri e limiti, di individuare gerarchie e di ordinare
e predisporre i movimenti e le azioni del fruitore.
Oggi il design dei corpi illuminanti è
solo agli inizi di una nuova avventura: per quanto brevettati già
negli anni '60, è solo dal 2012, con l'abolizione delle lampade ad
incandescenza, che i LED si propongono come principale, e più
interessante, sistema di illuminazione all'attenzione dei progettisti
e del mercato. Ogni tentativo, seppur perseguito, di adattare i nuovi
sistemi a LED alle vecchie armature è apparso subito anacronistico,
come anche costringere i LED nelle forme e nelle dimensioni delle
vecchie lampadine; l'idea stessa, oltre che la tecnologia, dei nuovi
sistemi, disposti in linea, su superfici, o anche solo singolarmente
come elementi puntuali, impone un ripensamento della luce e quindi
delle forme e della disposizione dei corpi illuminanti. La luce
cambia, offre nuove opportunità di toni, intensità, morfologia e
colore e quindi il sistema delle forme delle armature è tutto da
reinventare.
La luce dei LED conquista lo spazio, lo
rincorre e, nello stesso tempo, lo definisce e lo determina lì dove
non aveva forma o dimensione. Le strutture scompaiono, si celano in
anfratti minimi, si annullano in elementi esili ed impercettibili,
ovvero si palesano in forme che non hanno precedenti nella tradizione
dei corpi illuminanti. La ricerca deve essere continua, non solo
finalizzata al rendimento e all'efficenza, alla quantità e alla
capacità dei nuovi strumenti, ma deve inventare una nuova storia nel
rapporto tra lo spazio, le strutture e la luce; deve potere esprimere
cioè le nuove forme dell'abitare attraverso nuovi linguaggi di nuovi
oggetti che non saranno confrontabili con quelli già noti.
E' partendo dalle opportunità offerte
dalle attuali tecnologie che si potrà inventare la nuova luce per
gli ambienti dove vivere domani, inediti modi di intendere gli spazi,
le possibilità per percepire gli interni nonché, naturalmente,
originali forme di lampade capaci di diventare icone di questo tempo
esattamente come quelle degli anni '60 e '70 hanno saputo essere
immagine della loro epoca.