Mangiare è una necessità, per l'uomo
è uno dei bisogni ineludibili della sua esistenza; attraverso il
cibo assume le sostanze richieste dall'organismo.
Mangiare però è anche un'espressione
culturale, un rito condiviso, un'esperienza sensoriale, un modo per
trasformare, assimilare e conoscere i prodotti della natura.
Mangiare implica modi, usanze, costumi,
abitudini diverse nel tempo e nei luoghi che sono anche
un'espressione tangibile della storia evolutiva dell'essere umano.
Per mangiare sono necessari oggetti,
strumenti, suppellettili, arredi, spazi che sono la forma costruita
del significato che una società attribuisce al cibo, allo stare
insieme per gustarlo, al suo valore necessario e alla sua espressione
simbolica.
Ciò che maggiormente caratterizza un
luogo - una città, un paese - e la gente che lo abita, è forse
proprio il cibo e i riti necessari a consumarlo; in particolare, nel
mondo globalizzato dove architettura, arte, moda, tecnologie e
prodotti di consumo sono sempre di più omogenei, dove le differenze
tra le culture vengono sfumate, se non a volte cancellate,
dall'invadenza di stili di vita sempre più omologati dettati dalle
regole del consumismo, il cibo, i modi e i luoghi per consumarlo
offrono una resistenza, non dichiarata, ma concreta.
La cultura del mangiare in ogni nazione
lascia certamente ampi spazi ai gusti internazionali e alle mode
indotte dalle multinazionali del consumo, consente cioè l'invasione
e la persuasione, indiscreta e inarrestabile, imposta dal mercato dei
marchi e dei prodotti, ma conserva, ferma e silente, tradizioni e
abitudini irrinunciabili, proprie di una forma del consumo dei cibi
che è anche la manifestazione della propria storia.
Viaggiare pertanto, resistendo
all'omologazione dei luoghi, dei segni, dei linguaggi e delle mode,
rifiutando proposte turistiche preconfezionate e manifestazioni
sempre uguali, rifuggendo eventi dal contenuto estraneo o dissonante,
sopportando l'accoglienza basata su presunti standard di qualità o
di lusso, oggi può diventare, sempre più, un viaggio nei riti del
mangiare, della preparazione dei cibi e della capacità di
manipolarne il gusto, dei luoghi dove consumarli, dei prodotti locali
e della loro trasformazione e contaminazione con quelli provenienti
da altre culture e paesi.
Il viaggio attraverso la cultura del
mangiare, negli spazi dedicati alla consumazione dei cibi, inizia e
termina con i pasti consumati sui mezzi di trasporto. Questi spazi -
aereo o treno - ristretti e complessi da risolvere, per quanto
rappresentino un concentrato di ricerca nel campo non solo della
tecnologia ma anche del design, per quanto esaudiscano appieno la
maggior parte delle esigenze - il riposo, la lettura, lo svago, la
comunicazione, il sonno - espresse dal viaggiatore che deve, a volte,
trascorrere un tempo considerevole in tali ambienti, peccano, quando
si tratta del momento del pasto, di una corretta atmosfera, per non
dire anche della possibilità di assumere una corretta postura, della
essenzialità delle attrezzature e della esiguità dello spazio.
Volendo escludere infatti le sempre più rare carrozze ristorante o
gli arredi specifici per il consumo di cibo, quello che solitamente è
richiesto è di mangiare seduti nel proprio seggiolino, evento che,
in un aereo di ultima generazione o in un treno ad alta velocità,
rimane pur sempre un'esperienza piena di disagi.
Infatti, qualunque sia la classe di
viaggio, la poltrona, idonea ad accogliere la persona seduta,
sdraiata o anche distesa, risulta, nella maggioranza dei casi, poco
adatta a mangiare il pasto che viene offerto. Il tavolino, oltre che
piccolo e sempre in precario equilibrio, risulta spesso troppo
lontano dal busto, per cui il gesto di portare il cibo alla bocca,
tenendo conto anche del movimento del veicolo, diviene incomodo. Non
solo, l'illuminazione, pensata per una corretta luce diffusa o
adeguata alla lettura individuale, è del tutto insufficiente, a
volte sgradevole, per comprendere il contenuto dei vassoi con il cibo
che, a loro volta, per ottimizzare lo spazio a disposizione, hanno
inoltre il difetto di non valorizzare ciò che contengono e di non
consentire la disposizione delle pietanze nell'ordine in cui si
preferisce gustarle. Avere le pietanze accostate e compresse, dal
primo piatto al dolce, confonde gli odori e i sapori, annulla la
gerarchia tra le pietanze, non chiarisce ciò che è freddo da ciò
che invece va consumato ancora caldo.
Inoltre, l'impossibilità di
partecipare adeguatamente con altri al momento, per quanto frugale,
del pasto, trovandosi forzatamente uno accanto all'altro, quindi in
una disposizione dove ognuno è concentrato solo sulle proprie
azioni, fa perdere l'eventualità di condividere con chi si desidera
il tempo dedicato al cibarsi.
Tutto questo per dire che, malgrado le
compagnie di viaggio si sforzino di pensare menù capaci di
raccontare le caratteristiche e le tradizioni culinarie del luogo che
si sta lasciando unite a quello della meta a cui si sta giungendo, di
selezionare ricette capaci di sopportare la consumazione a distanza
di molto tempo dalla preparazione, l'atto stesso del pasto rimane
esclusivamente legato alla necessità di ingerire il cibo, escludendo
ogni ritualità aggiunta, ogni abitudine consolidata, che fa del
mangiare un momento conviviale e un atto sociale introduttivo alla
conoscenza delle tradizioni e delle risorse di un paese.
L'esempio dell'atto del mangiare in un
mezzo di trasporto, evidentemente ancora irrisolto o comunque
sottovalutato e ridotto al semplice esigenza di nutrimento, vuole
semplicemente focalizzare l'attenzione su quante variabili entrino in
gioco nel momento dedicato al “mangiare”. Una volta “in
viaggio” invece, giunti cioè alla meta in un luogo dalle
tradizioni e dalle abitudini diverse dalle nostre, se si è attenti
ad evitare la standardizzazione delle catene di ristorazione che
tendono a rassicurare il viaggiatore omologando le offerte, i luoghi
e i modi del consumo alimentare sulla base di stili e gusti
considerati, a torto, trasversali, imponendosi di correre qualche
rischio e magari di dover rifiutare qualche pietanza non di nostro
gusto, lasciandosi assorbire dagli odori, dai ritmi, dai suoni e dai
colori di mondi a noi estranei, è possibile intraprendere
un'esperienza tra i sapori capace di avvicinarsi alla cultura e alla
storia del paese che ci ospita.
Ciò che contribuisce in tali occasioni
a partecipare appieno alla cerimonia del mangiare è la “forma
dell'ospitalità”, a partire dal modo con cui il ristoratore - sia
esso di una taverna spartana, che di un ristorante di lusso, che di
un banco lungo la strada - ci invita e ci presenta i suoi cibi,
sussurrandone i contenuti in una lingua sconosciuta, ovvero urlandone
le qualità disegnando con ampi gesti le modalità di preparazione,
oppure portandoci ritmicamente le pietanze, senza porci alcuna
domanda, conscio di introdurci così nel suo mondo culinario.
L'accoglienza e l'ospitalità si
completa con il luogo, con la forma dello spazio, la disposizione
degli arredi, il tipo dei mobili, lo stile con cui è allestita la
tavola, la dimensione e la morfologia della stessa, il racconto delle
pietanze nei menù e la loro rappresentazione che già comunica il
modo con cui dovranno essere consumati i piatti proposti.
In molte culture, in locali dove il
pasto non è codificato in ogni sua portata, e soprattutto nel numero
e nella tipologia delle stesse nelle diverse ore del giorno, la
tavola non si presenta già apparecchiata, è cioè priva di posate o
piatti, e talvolta anche di tovaglia, rifinita solo con qualche
elemento di decorazione, in attesa di essere predisposta, nel modo
più idoneo, alla pietanza ordinata, il che rimarca la stretta
correlazione tra ciò che si mangia, la scelta degli oggetti,
l'allestimento dello spazio. Analogamente è possibile incontrare
locali, anche molto semplici ed essenziali, dove comunque esistono
ambiti diversi nell'ambiente, attrezzati con sedute e ripiani
distinti, dove scegliere in base ai diversi tipi di consumazione: un
tè o un caffè, un semplice tramezzino, un vero e proprio pasto
composto da diverse portate; ambiti specifici che fanno corrispondere
un'atmosfera specifica, un preciso allestimento ad ogni singola
scelta. Tavolini bassi o alti, poltrone ampie e comode o sgabelli
essenziali, tavoli spaziosi o semplici appoggi a parete, non arredano
semplicemente lo spazio dotandolo di quanto necessario, ma lo
definiscono nel dettaglio in base ai comportamenti che il tipo di
cibo prescelto impone, secondo la tradizione consolidata del luogo.
Analogamente le luci, al pari dei suoni
e delle musiche di sottofondo, come anche gli odori di essenze in
alcune culture, distinguono e disegnano spazi dove compiere gesti e
partecipare a riti totalmente originali, dosandone l'intensità e la
natura tra la necessaria visibilità del piatto e la determinazione
della qualità dello spazio che circonda l'utente.
All'inizio ci si può trovare spaesati,
spinti dall'istinto di riprodurre ovunque le abitudini che
scandiscono i ritmi della nostra esistenza quotidiana, ma entrare
nell'esperienza del viaggio significa proprio lasciarsi andare a ciò
che non conosciamo, che non ci appartiene: ad una cerimonia del tè
in Turchia, come alla preparazione di una tajine in Marocco, al lento
rito dell'asado in Argentina o all'apertura delle ostriche appena
pescate in Bretagna o anche alla rapida preparazione di burritos in
Messico. Ogni cibo, anche il più semplice, richiede un tempo, un
luogo, una luce dove poterlo assaporare appieno, traducendo l'azione
elementare del mangiare in un'esperienza che avvicina alla conoscenza
dei luoghi e dei popoli.
Parallelamente alle più avanzate
scuole di cucina che tendono a fondere sapori, materie prime e modi
di prepararle, oggi l'architettura, il design e il progetto di
interni dei luoghi di ristorazione o comunque degli spazi dove
consumare i cibi, cercano di proporre linguaggi e stili che hanno la
velleità di rinnovare la tradizione, mescolare le forme espressive,
contaminare i riti consolidati. Esperienze spesso di difficile
lettura e comprensione, altrettanto preoccupanti quanto l'eccesso di
creatività degli chef.
Quello che invece maggiormente
interessa il comune mondo del progetto dello spazio “del mangiare”
è la rilettura non vernacolare dei luoghi ancora espressione di
tradizioni gastronomiche vive e diffuse. Quello che cioè rappresenta
il vero contributo della cultura architettonica all'arte culinaria è
l'adeguamento ai nuovi stili di vita e ai costumi contemporanei delle
abitudini e dei gusti ancora attuali che hanno la necessità di
essere tramandati ma, nello stesso tempo, espressi in una forma
appartenente al presente.
Esemplare in tal senso è il progetto
di recupero della Fabbrica Moritz a Barcellona di Jean Nouvel, una birreria dove tradizione e
innovazione si fondono, dove il progetto di interni e il design degli
arredi e delle componenti architettoniche sono capaci di annullare la
distanza tra il presente e il passato e proporre un'originale
esperienza conviviale.
Molti architetti e curiosi, la prima
volta, sono attratti e distratti dalle varie soluzioni con cui sono
recuperate le strutture e gli spazi della vecchia fabbrica, dalla
contrapposizione di materiali di tempi e consistenza diversi,
dall'innesto di soluzioni essenziali quanto raffinate, come anche dal
design sobrio teso ad una rilettura morfologica, dimensionale e
espressiva degli arredi e delle suppellettili delle birrerie tipiche;
ma poco dopo, tutti indistintamente, sono coinvolti dalla festosa
atmosfera, dalle soluzioni raffinate dei diversi ambienti che
propongono vari modi di stare insieme e di gustare la birra picando
algo, dagli spazi aperti o più
intimi e raccolti che danno forma e sostanza, nel solco della
tradizione ma in chiave contemporanea, all'idea stessa di una
“fabbrica di birra” nel cuore della città storica.