Ecco, sei arrivato finalmente al bivio, lì dove due strade formano un angolo acuto. Sei nel vertice del lotto, tra i due filari di alberi che si divaricano ai due lati, e puoi vedere il prato verde, se non è inverno e non è ricoperto di neve. Nel prato il viale ti invita ad andare verso quel muro di mattoni disposto poco più avanti, ma non puoi raggiungerlo direttamente perché il cammino più breve è interrotto dallo specchio d'acqua che va aggirato.
Capisci che il tempo per raggiungere la
tua meta non dipende da te, ma da chi ha disegnato quel viale che
ora, per compensare il giro che ti impone, ti offre la vista
dell'architettura specchiata nell'acqua, sempre che non sia tutto
innevato.
Il muro, i cui filari di mattoni sono
accentuati così da disegnare una trama evidente, è privo di
qualsiasi ornamento e caratterizzato solo dalla linea incerta che lo
separa dal cielo. Presenta due finestre e due accessi, uno più
grande e uno più piccolo. Non è quindi solo un muro, non un
recinto, né il retro, come dichiara la sua posizione in asse con il
vertice dell'incrocio, è il prospetto principale, il lato da cui
entrare nello spazio interno.
Non sai bene la funzione di quel luogo
perché non ci sono simboli evidenti o insegne a descriverlo, vedi
però che è una parte di un insieme articolato, omogeneo e
accogliente.
Ora sei di fronte a quel muro, più che
di fronte gli sei accanto, e ne percepisci la matericità, la grana
dei mattoni, il colore irregolare, il disegno dei ricorsi di malta.
Le due porte chiudono, ma nel contempo
invitano. Suggeriscono un uso interno che esorta ad entrare. Non ci
sono portici, o pensiline, o gradini che rimarcano la soglia, le
finestre sono alte ed è impossibile sbirciare all'interno, forse
solo il disegno mistilineo del muro sembra dare una indicazione,
perché proprio in corrispondenza della porta più piccola si eleva
verso l'alto con una piccola cuspide, quasi a segnare un centro,
forse un asse da percorrere.
È giunto il momento di aprire quella
porta, quella piccola certamente, chi aprirebbe mai quella a due
battenti più simile ad una uscita?
Ora chissà in che stagione sei
arrivato qui, comunque sia certamente i tuoi occhi sono abituati alla
luce nordica. A quella invernale, grigia e piatta ma moltiplicata dal
bianco della neve, oppure a quella estiva, non certo esagerata ma
comunque riflessa dallo specchio d'acqua adiacente.
Ecco, apri la porta, e dentro c'è solo
buio. Fai un passo e il buio ti avvolge. Lasci che la porta si
richiuda alle spalle e sei nel buio. Buio che è materia, è spazio,
ha un peso e una misura e ti circonda non permettendoti di tornare
alla luce.
Provi disagio, ma non paura. Rimani
fermo, in ascolto, come se il buio potesse parlarti.
E il buio comincia a mandarti segnali
che, con calma, puoi decodificare.
Se guardi bene non è solo buio. Ci
sono luci, certo poche, ma ci sono. Quelle che hai davanti sono come
astri nella notte, costellazioni a portata di mano che ti
rassicurano, come un cielo stellato rende la notte meno spaventosa
anche in assenza di luna. Sono lampade che producono deboli riflessi,
verso il basso e verso l'alto dove, prima di arrivare nella parte più
oscura, intercettano dischi dorati che luccicano nel buio.
Ma non è la sola luce. Ora sei
attratto da un rumore, lieve, sommesso ma continuo. Il rumore di una
goccia che cade in una ferita aperta nel pavimento, che ti fa voltare
verso sinistra, dove scopri che le due finestre lasciano che la luce
naturale tagli il buio indicando l'origine di quel rumore: una fonte
dove l'acqua scorre ininterrottamente.
Muovi dei passi verso quella luce,
verso quel suono, e i tuoi piedi sentono che il suolo non è piano.
Devi concentrarti perché il solaio in mattoni è inclinato verso il
fondo e va scoperto passo dopo passo.
Sei abituato a percepire lo spazio, a
vederlo, il buio invece richiede la tua partecipazione e coinvolge
tutti i tuoi sensi. Sei costretto a sentire lo spazio, non leggendo
la forma dell'involucro ma decodificando gli stimoli, le emozioni che
provoca in te.
Il tempo passa ed ora i tuoi occhi si
sono abituati al buio, che non ti sembra più così buio. Ora vedi i
limiti dello spazio, scopri la presenza di oggetti, noti le finestre
sul lato destro, osservi le lame di luce provenienti dal soffitto.
Soffitto che finalmente percepisci, leggendo l'andamento che deriva
dalla geometria della facciata. E vedi finalmente il pilastro
centrale. Grande, imponente, composto da profili di ferro disposti a
sorreggere la copertura. Un incrocio di putrelle, una croce di ferro,
una croce sui cui poggia la struttura che ti contiene.
Ora lo sai, hai capito che sei in una
chiesa, dove il significato, divenuto simbolo, sostiene e determina
lo spazio, uno spazio sacro che trasmette emozioni, usando il tempo
per leggere il buio.
The Church of St Peter di Sigurd Lewerentz a Klippan