Dalla parola latina decor, oltre
al termine “ornamento”, deriva un vocabolo di cui oggi, in parte,
si è perduto il senso: “decoro”. Nel linguaggio corrente decoro
e decorazione vengono spesso intesi, e usati, come sinonimi ma in
essi sono contenuti i due significati – simili ma non
sovrapponibili – compresenti nell'espressione originaria; e cioè
quello di bellezza e quello di dignità, ovvero di grazia e di
convenienza. Se infatti è decoroso tutto ciò che è bello ed
elegante, è anche vero che è la dignità dell'aspetto e dei modi,
la decenza e la coscienza di ciò che si addice al proprio ruolo, che
è definito decoro.
Nel Rinascimento, nell'estetica
classicista, il decoro rappresenta la giusta corrispondenza tra la
forma e il contenuto di un'opera d'arte, tra lo scopo funzionale di
un edificio e la sua configurazione, cioè la corretta e armoniosa
proporzione tra le parti e il tutto che implica finanche la giusta
espressione di principi morali condivisi.
Il decoro è ciò che esprime e
comunica il significato di un'opera e non può essere considerato
come un valore estetico aggiunto, come un abbellimento di cui è
possibile – in linea teorica – fare a meno. Un luogo, una
architettura, è decoroso se è in grado di raccontare i suoi sensi
attraverso un linguaggio armonioso quanto comprensibile, elegante
perché basato sulla sostanza di scelte imprescindibili, utili a
rappresentare la vita dell'uomo.
Tale premessa vuole guardare
criticamente quelle azioni decorative non indispensabili, intese come
sovrapposizione di valori puramente estetici, e avvalorare quegli
interventi espressivi capaci di sottolineare e corroborare i sensi
stessi di un'opera, di farsi portatori delle sue ragioni essenziali,
di veicolare con chiarezza, e in maniera condivisa, le riflessioni
sulle esigenze funzionali e sulle necessità di rappresentazione che
l'uomo manifesta nella creazione di un luogo significante, da
condividere con i suoi simili.
Si vuole cioè provare ad andare oltre
le questioni inerenti il gusto o la moda, l'atteggiamento
superficiale e ruffiano di interventi posticci e inutili, e giungere
a chiedersi cosa può intendersi come l'indispensabile decoro capace
di veicolare, attraverso le proprie forme, i contenuti che
determinano il senso dell'abitare contemporaneo. Abitare, oggi, è
una attività dell'uomo estremamente complessa, forse impossibile da
racchiudere in una unica definizione.
Certamente abitare è una necessità,
come è l'affermazione di uno status, come è l'adesione a regole
condivise – sempre presenti nella storia dell'uomo – ma è anche
la definizione di un nodo materiale connesso ad una rete immateriale,
di lavoro, studio, cultura e svago, ed è anche la tappa di un
percorso di vita (e non necessariamente la meta di arrivo) in cui
verificare aspettative private, di partecipazione ad attività e
modalità condivise e di comprensione di ampi fenomeni sociali che si
intendono includere o escludere dalla propria esistenza. Abitare è
quindi dare forma a bisogni ma anche enunciare questioni di
principio, linee politiche, idee religiose, visioni economiche e
sensibilità verso l'ambiente che ci contiene.
Il decoro, capace di essere forma di
tali contenuti, non è uno stile: quello minimalista essenziale e
duro con cui limitare l'eccesso di forme, ovvero quello colorato ed
eccessivo, ironico e disincantato di stili riletti, smontati e
svuotati dei loro contenuti, tipico della post modernità.
Ciò che contraddistingue la coscienza
di chi oggi sceglie di abitare è la voglia di comunicare l'atto
stesso che compie (scegliere di abitare), è di affermare, senza
enfasi né superficialità, la propria presenza in un luogo, in un
tempo, tra delle persone. L'omologazione, come l'originalità a tutti
i costi, hanno lo stesso valore nella personalità del singolo,
esattamente come l'assuefazione alle mode imposte dal mercato ovvero
l'affannosa ricerca di valori perduti derivanti dall'essenziale
corrispondenza tra il bisogno e ciò che serve a assolverlo.
In tale compresenza di opposti,
equivalenti nel giudizio di valore morale e sociale, ciò che però
può fare la differenza, affinché le scelte capaci di caratterizzare
i nostri interni in cui vivere siano decorose e non solo decorative,
è la consapevolezza di ciò che si fa e si sceglie. Ciò che
distingue quello che è utile e necessario da ciò che è superfluo
ed eliminabile è la volontà consapevole di chi decide e di chi pone
in essere tali scelte. È cioè la coscienza e la responsabilità di
chi chiede e di chi risponde alle esigenze poste, dell'utente e
dell'architetto, dell'utilizzatore e del designer.
Perché oggi intenzionalmente si può
chiedere di adeguarsi alle scelte popolari e di massa, ovvero
astrarsi da ciò che è diffuso e condiviso e trovare una autonoma
modalità espressiva; perché essere alla moda o essere fuori dal
coro sono due atteggiamenti che si equivalgono purché derivino da
una informata ed avvertita capacità di porsi come individuo nella
società, di assorbire gli influssi culturali e restituirne la
personale interpretazione, di conoscere e studiare ciò che è per
proporre scenari in divenire in cui offrire nuove opportunità di
vita e di cultura, oggi impensabili.
Ciò che oggi è decoroso, ciò che
rende decorosi i nostri spazi dove vivere, è in definitiva l'onestà
di essere ciò che si è, di essere protagonista – scegliendo – e
non comparsa – subendo –, di esprimere se stessi, di giudicare il
tempo e la società, di dire il proprio punto di vista e di far
convergere, in una sintesi – che è il singolo con le proprie
attitudini – tutte le contraddizioni derivanti dalla pluralità e
dalla compresenza di tante società nella società, di culture nella
cultura condivisa, di diverse bellezze nei valori estetici che
appariranno domani.
Così si potrebbe finanche ammettere
che il decoro di cui oggi abbiamo bisogno è l'assenza stessa di
decorazione, lo spazio appena accennato, solo suggerito come
possibile strategia esistenziale.