Calato nei ritmi di alcune delle principali città del nord del Messico, da giorni mi interrogo sulle differenze di queste con i nostri spazi
urbani, tra il sistema di vita europeo (o sudamericano) e questo che
appare una versione latina di quello statunitense.
In questi Stati roventi ed umidi il
“confine” è qualcosa di tangibile: è presente quello politico e
geografico tra gli Stati del Texas, Nuovo Messico e Arizona (USA) e
quelli del Nuevo León, Coahuila e Chihuahua (Messico); è evidente
quanto instabile quello tra il deserto e il limite delle città in
perenne crescita; è palpabile quello tra i ricchi (molto ricchi) e i
poveri (molto poveri) che godono di spazi diversi ovvero diversamente
degli stessi spazi; è ossessivo quello tra le infrastrutture e i
luoghi di vita, irraggiungibili senza auto e sulle auto dimensionati;
è controllato e sottolineato quello tra pubblico e privato, tra
intimo e collettivo, dove tutto è intercluso, recintato e
delimitato; è, alla fine, perduto quello tra ciò che serve
realmente e ciò che è imposto come indispensabile.
Molte città interne del nord infatti,
come Monterrey, León, Aguascalientes, pur avendo un centro antico
riconoscibile, un nucleo di fondazione basato sullo schema
quadricolare imposto dalla cultura ispanica, pur conservando
monumenti e una edilizia diffusa propria dell'età coloniale, si sono
sviluppate in maniera caotica, assecondando un modello incoerente di
aggregazione di funzioni pubbliche, di centri commerciali e di nuclei
residenziali protetti, lungo le principali vie di comunicazione,
ragione e strumento delle relazioni tra le diverse parti urbane.
Strade, autostrade, svincoli, ponti, sottopassi e viadotti sono il
legante di luoghi significativi della città che sottintendono una
mobilità legata esclusivamente alle automobili private. Rare sono le
ferrovie o le metropolitane, spesso insufficienti le linee di
autobus, impossibile pensare ad una percorrenza pedonale viste le
distanze tra i quartieri.
Questa modalità di sviluppo delle
città, così diverso dall'idea di spazio urbano che noi conosciamo,
ha costruito un nuovo rapporto tra i luoghi del commercio e gli
utenti, che ha influenzato il disegno stesso, nonché la
strutturazione, di quelli che normalmente chiamiamo negozi,
ristoranti, bar. Non mi sto, infatti, riferendo ai centri
commerciali, ai nuovi centri di una urbanità studiata a tavolino e
costruita sugli interessi del mercato, il cui schema è noto, ma a
quei normali punti vendita, luoghi di affari e convivialità che sono
qui costruiti per un utente “a quattro ruote”, basati cioè su
una percezione veloce dall'auto e su una fruizione di chi ha già
deciso di frequentarli.
Il primo tema è infatti quello della
visibilità, che va ben oltre la semplice insegna - stile Las Vegas
per fare un esempio - e che diviene, a tutti gli effetti, una
comunicazione integrata che va dalla grafica, ai colori, alla
morfologia, alla multimedialità. Soprattutto la morfologia del
manufatto, cioè la forma architettonica, è quella che maggiormente
stupisce perché ogni luogo evidentemente cerca di farsi notare,
ricerca l'eccezione e l'eccezionale, rifugge ogni continuità o
omologazione con il contesto e, soprattutto, persegue una strategia
simbolica e segnica che vorrebbe far intuire istantaneamente la sua
ragione. Il caos diviene la regola, ogni luogo è un evento a sé
stante, ogni spazio cerca di sovrascrivere l'esistente e di
sopraffare quello adiacente, la sensazione è di uno zapping
tra spot pubblicitari la cui velocità è dettata solo dal flusso del
traffico.
Altro tema caratteristico è quello
degli interni, spesso visibili sin dall'esterno, talvolta celati per
costruire l'effetto sorpresa, comunque descritti dagli slogan
pubblicitari, e in ogni caso spettacolari per dimensioni, decorazioni
e uso dei materiali. Il luogo di vendita va ben oltre il prodotto
stesso, è la formalizzazione del desiderio prima ancora che
dell'atto di acquisto o della consumazione di cibi e bevande; è la
messa in scena con cui sono suggeriti stili di vita e possibili
relazioni tra gli utenti; è comunque uno spazio a cui si arriva e da
cui ci si allontana consapevoli di avere vissuto un evento e non solo
soddisfatto un bisogno legato ad una funzione. È cioè la forma di
uno spazio dove esaudire un desiderio in un preciso tempo di
fruizione privo di relazioni con ciò che precede o segue.
Il terzo tema è quello
dell'esclusività, dell'originalità, della spettacolarizzazione
dell'atto, pur semplice, di effettuare un acquisto o di consumare un
pasto. Questo perché, non essendo una tappa di un percorso ma una
meta da raggiungere, ogni luogo si deve imporre attraverso un profilo
attrattivo, capace di creare una dipendenza in grado da costringere a
tornarci.
Tutto ciò che a noi appare eccessivo,
esagerato e spesso sovradimensionato – anche da un punto di vista
estetico – è solo la logica conseguenza di abitudini differenti di
cui, comunque, l'architettura si fa portatrice, perseguendo stili e
imponendo azioni che sono lo specchio di una società globalizzata
alla ricerca, comunque, di una sua peculiare identità.