C'erano una volta il legno, l'acciaio,
la ceramica, la pietra, la terracotta, la stoffa; c'erano cioè i
materiali, fieri di essere diversi tra loro e di rappresentare ognuno
le proprie caratteristiche. Capaci di esprimere la loro storia, fatta
di capacità manuali, di sapienza artigianale, di conoscenza della
natura; in grado di manifestarsi grazie al colore, alla trama, al
trattamento superficiale, alle modalità di posa in opera, alle
texture che si materializzano nell'accostarsi, al disegno
delle venature e dei pigmenti. Materiali che, nel tempo, si sono
evoluti e specializzati, offrendo prestazioni sempre maggiori e
livelli di lavorazione più raffinati, grazie a strumenti, a
finiture, ad impregnati, a colle, a ferramenta e protezioni.
Ci sono oggi, invece, la ceramica che
assomiglia al legno, il legno che sembra acciaio, il gres ceramico
che imita la pietra, la pittura a smalto effetto seta; ci sono poi il
legno stratificato che sembra un massello, l'ipergres che emula il
cotto fatto a mano, il marmo ricomposto che appare come un blocco
monolitico, ovvero come sfoglie sottilissime. Insomma, se una volta
c'erano i materiali, oggi ci sono materiali che ne imitano altri,
prodotti sofisticati, spesso artificiali, che evocano l'aspetto e la
natura di componenti e prodotti della tradizione costruttiva.
C'è stato cioè un avanzamento
tecnologico capace di rispondere ad esigenze prestazionali di durata,
manutenzione, sicurezza, resistenza, oltre che di rispondenza a
normative e a criteri di organizzazione del cantiere, che ha portato
alla scoperta e alla diffusione di materiali innovativi tecnicamente
i cui valori estetici, formali, cromatici e tattili sono stati
desunti da altre materie, trattati come un attributo aggiunto da
applicare a richiesta, creando una separazione tra sostanza e aspetto
degli elementi.
Se una volta i materiali esprimevano
direttamente la loro storia, rappresentavano cioè il racconto
minuzioso della loro essenza, delle capacità statiche, delle regole
di montaggio, della decorazione tettonica o aggiunta, dei linguaggi
sovrapposti, dell'evocazione di condizioni psicologiche, oggi invece
bisogna distinguere le loro caratteristiche tecniche dai loro valori
estetici e formali.
Si pretende cioè che un legno abbia le
stesse prestazioni di un gres, che una ceramica sia indistruttibile
come l'acciaio, che il ferro non sia aggredibile dagli agenti
atmosferici, insomma si richiede un aspetto preciso – che intende
corroborare un'idea di forma e rappresentazione dell'architettura –
e nel contempo una qualità che non appartiene alla materia scelta.
La tradizionale dualità tra “pelle”
e “struttura” dell'architettura, tra superficie tattile visibile
e sostanza dell'organismo tecnologico, non è più sufficiente per
giustificare la volontà contemporanea di “vestire il corpo”, di
sovrapporre un'idea di forma ad una natura differente. Vestire, o più
precisamente “rivestire”, poiché la corretta manifattura di un
abito comunque richiede una coerenza tra espressione formale e
capacità prestazionale del tessuto, mentre l'esito odierno richiesto
è di una “messa in scena” che possa raccontare – autonomamente
– il portato espressivo del manufatto architettonico, ben oltre la
sua struttura o la sua funzione.
Tali considerazioni non esprimono un
giudizio di valore; la storia dell'architettura mostra come
ciclicamente siano stati proposti linguaggi e stili, corrispondenti
ad una visione dello spazio e dell'abitare ottenuta attraverso una
sovrapposizione di decorazioni e rivestimenti, per soddisfare il
gusto dell'epoca, totalmente scissi dalla natura strutturale. Ciò
che in fondo è precipuo del presente rispetto al passato è il fatto
che, nella storia, la scelta del rivestimento autonomo è spesso
dipesa dai limiti della struttura, inadatta a raggiungere forme
desiderate, per cui l'impianto decorativo sovrapposto è servito per
aggiungere espressività e valori dello spazio impossibili da
ottenere con le tecniche del tempo. Le forme inedite e le ardite
soluzioni immaginate dal barocco, l'ordine ed il ritmo e la
compostezza di una tettonica dei materiali – più sublime che reale
– del neoclassico, la luce ed i pesi cromatici dei mosaici
bizantini, intendevano perseguire contenuti dello spazio
architettonico e dei valori della forma del manufatto, ritenuti
essenziali, non ottenibili con le conoscenze scientifiche del tempo.
Oggi, a fronte di una capacità
costruttiva praticamente senza limiti, è evidente che mascherare la
struttura, fingere la natura dei materiali, non sia più una
esigenza, ma una scelta. Una scelta precisa di standardizzare i
processi costruttivi, di garantire e certificare prodotti e le
relative prestazioni, e di demandare ad uno strato sovrapposto, ad un
layer dedicato al gusto e a linguaggio, i valori espressivi e
formali dell'architettura.
Questo atteggiamento, in particolare se
riferito alla definizione degli spazi interni, al progetto dei luoghi
specifici dedicati alla vita quotidiana, non è estraneo alla realtà
tecnologica, digitale e multimediale che contraddistingue
l'attualità. Basta riferirsi agli strumenti e agli apparati
elettronici odierni; ad essi si richiedono precise prestazioni e
capacità a svolgere determinate funzioni, ma nel contempo si
pretende che siano perfettamente personalizzabili ed adattabili ad
ogni esigenza individuale. Il digitale ha creato oggetti – a cui
sembra impossibile rinunciare – concepiti a partire da un hardware
– inteso come struttura capace di rispondere a richieste
funzionali – e un software estremamente flessibile per
potersi adattare a richieste di gusto e di interfaccia uniche e
personali. Se a questa considerazione di ordine generale aggiungiamo
la caduta di confini netti tra le arti e la tecnica, tra le arti
maggiori e quelle applicate tese a migliorare il quotidiano, è
evidente come le strategie di comunicazione, la necessità di
espressione, siano ormai alla base di tutto ciò che da forma alla
vita dell'uomo.
L'architettura, e soprattuto il
progetto di interni, sono portatori di una narrazione complessa e
mutevole, di una manifestazione palese di contenuti sia generali e
condivisi che intimi e specifici, di un racconto non definitivo ma
capace di assecondare la mutevolezza del presente. Non che questo non
sia ottenibile – come sempre è stato – attraverso la tettonica,
l'onestà strutturale e l'espressività delle materie naturali;
tuttavia bisogna prendere atto che non si può non tenere in conto
dell'invadenza della comunicazione virtuale capace di incidere
concretamente sulla realtà delle cose e dei comportamenti.
“Rivestire per vestire” è oggi
quindi la pratica che consente di riflette a fondo sulle esigenze
dell'abitare, svincolandole da quelle della tecnica; le superfici
diventano forma della narrazione dei propri valori estetici e si
confrontano con la mescolanza di influenze culturali derivate dalle
variazioni di gusto e dall'incontro, inatteso, di tradizioni lontane.