cos'è architettura & co.

architettura & co. è stato pensato da paolo giardiello per mettere a disposizione di tutti, in particolare dei suoi studenti, i propri scritti, ricerche e riflessioni sull'architettura. il blog contiene testi pubblicati, versioni integrali di saggi poi ridotti per motivi editoriali, scritti inediti o anche solo riflessioni e spunti di ricerche. per questo non ha un ordine determinato, non segue un filo logico, ma rappresenta solo la sequenza temporale di occasioni in cui parlare di architettura, prima di farla "parlare", come invece dovrebbe, normalmente, essere.

11 dicembre 2012

edifici-città o città verticali?




Un edificio di grandi dimensioni, sviluppato prevalentemente in altezza è definito “grattacielo”, traduzione letterale del termine inglese skyscraper con il quale, agli inizi del XX secolo, erano chiamati gli edifici a torre alti “oltre il consueto”. Un grattacielo è quindi un fabbricato multipiano tipologicamente identificato che ripropone, senza rinunciarci, le caratteristiche distributive del modello a torre di cui prevede un ulteriore incremento verticale, aumentando il volume a parità di impronta al suolo. Non ha caso, sin dalle prime realizzazioni, esso viene considerato la soluzione economicamente più vantaggiosa per lo sfruttamento intensivo dei lotti edificabili nel tessuto della città. Città della quale non altera l'impianto e le relazioni, anzi, in un certo senso, le consolida amplificandone le ragioni, e di cui, invece, modifica la morfologia - lo skyline - e quindi la percezione.
I primi grattacieli, agli inizi del secolo scorso, fanno dell'altezza la loro ragione, e, tuttavia, fruiti a quota stradale, essi non propongono particolari innovazioni relazionandosi con l'uomo attraverso modalità consolidate: il perimetro murario, le aperture, i materiali e le finiture. Essi non alterano e non discutono il ritmo scandito dalla maglia stradale e dalla consistenza del lotto confermando, attraverso i loro accessi, i tradizionali criteri di accoglienza e di fruibilità. E' solo alzando lo sguardo, o meglio ad una visione da lontano, che un grattacielo definisce una nuova forma, anzi una diversa idea di spazio urbano, fatta di simboli autonomi, tra loro giustapposti, a disegnare la forma del paesaggio. “Paesaggio costruito” di cui, dall'interno, suggerisce una lettura alternativa, pressoché zenitale, con cui svelare la forma dettata dalla rete stradale e dagli edifici, quindi le regole stesse che soggiacciono alla struttura compositiva e ai significati delle diverse parti - strade, piazze, parchi o viali - che costituiscono la città.
Il “tipo architettonico” definito “grattacielo”, dalle prime apparizioni fino alle più ardite soluzioni contemporanee, a livello funzionale o spaziale determina lo sviluppo delle prestazioni di un edificio “convenzionale”, mentre risulta essere originale ed innovativo dal punto di vista concettuale, per il rapporto simbolico che innesca tra il suo contenuto e l'ambiente che lo circonda.
All'interno, rispetto la moltiplicazione banale delle funzioni dovute all'accentuazione verticale, tali fabbricati ricercano un'organizzazione non ripetitiva più adatta al volume, attraverso sistemi differenti di funzioni alternate che individuano settori specifici a diverse altezze. L'uso ibrido ad uffici e residenze, con l'inserimento di funzioni collettive tra una sezione e l'altra, ad esempio, è quello più ricorrente, riscontrabile nei primi grattacieli di Chicago e New York dell'inizio del XX secolo, come nel contemporaneo The Shard, di Renzo Piano a Londra.
Tale principio multifunzionale non è tuttavia peculiare dei grattacieli ed è analogo a quello che conforma, negli stessi anni, i grandi blocchi edilizi - hof - austriaci e tedeschi i quali, seguendo all'opposto un'estensione orizzontale, cercano anch'essi, nella grande dimensione, di integrare la funzione residenziale prevalente con strutture ad uso collettivo, uffici, luoghi pubblici e servizi connessi alla vita della città, approfittando degli spazi aperti delle corti inserite nel corpo edificato. Ciò che distingue l'estensione verticale del grattacielo da quella orizzontale dell'isolato a corte non è solo la “quantità” di suolo occupato, quanto piuttosto il differente rapporto con la metropoli che tali strutture realizzano e rilanciano come possibile “idea di città”. Lì dove i primi occupano, prevalentemente, lo spazio di un lotto al pari delle costruzioni tradizionali, senza alterare la forma urbana e, nel contempo, senza prevedere particolari relazioni tra architettura e spazio pubblico, i secondi, i grandi complessi a corte, con la loro estensione e permeabilità, modificano la percezione, dilatando le percorrenze e offrono, al loro interno, inedite spazialità e attraversamenti che ricercano relazioni con il tessuto all'intorno.
Il superamento dei confini, fisici e concettuali, tra architettura e ambiente urbano, avviene infatti solo quando la costruzione, di grandi come di modeste dimensioni, si propone come un prolungamento coerente, ovvero alternativo e critico, del pubblico verso il privato e, viceversa, della città verso i luoghi più intimi e sensibili.
Emblematico è il caso del Museo Guggenheim a New York di Frank Lloyd Wright che, con la sua struttura a spirale, sembra quasi voler prolungare -piegandola - la 5th Avenue all'interno, giungendo ad una nuova forma e ad un nuovo senso dello spazio per fruire e godere dell'arte.
La ricerca attuale sul modello spaziale del grattacielo, oltre il confronto con la dimensione e la morfologia sempre più spinta, propone un mutamento dei sensi, da quelli propri dell'architettura, a quelli di un frammento di spazio urbano racchiuso in una forma sintetica, insomma ipotizzando una “città-verticale”, anomala e, a volte alternativa, rispetto a quella storica, ma che con questa è intenzionata ad instaurare un nuovo dialogo.
Un edificio che vuole assumere in sé tutti i contenuti della città è una struttura architettonica che, al di là della sua dimensione, intende porre il proprio contenuto in continuità logica e di modalità d'uso con le ragioni dello spazio urbano, rinunciando ad una forma tradizionale e cercando di capire le ragioni e i modi dell'abitare collettivo di cui vuole offrire l'interpretazione più attuale.
La concentrazione di sensi propri dello spazio urbano all'interno del manufatto architettonico, finalizzato ad un migliore rapporto tra luoghi domestici privati e ambiti di relazione collettivi, da un punto di vista teorico, tende a mettere in discussione la città così come concepita storicamente. Tale logica progettuale implica, di riflesso, una rarefazione del tessuto urbano, un suo parziale diradamento e dissipazione.
Ne sono un esempio le proposte di città di Le Corbusier e Wright in cui, rispetto ad edifici polifunzionali di nuova concezione sempre più complessi funzionalmente, la città costruita all'intorno si riduce, fino al limite di smaterializzarsi. In tali proposte i grandi complessi, a volte quasi sospesi, vengono distribuiti su una trama rada di verde e strade, un reticolo di connessioni, di percorsi e spazi aperti, un sistema simbiotico tra costruito e natura progettata.
Le Unité d'Habitation di Le Corbusier non sono, infatti, solo edifici complessi e polifunzionali, ma sono parte di una innovativa idea di spazio antropizzato, enunciato a partire dal progetto della Ville Radieuse, in cui, come nella Broadacre City di F.L. Wright, il dissolvimento dello spazio urbano storicamente concepito, non passa attraverso l'annullamento delle relazioni umane quanto, piuttosto, nella distruzione dei legami consolidati tra densità e distribuzione, tra forma del territorio e dimensione dell'architettura.
Idea assimilabile anche alle proposte successive degli Archigram i quali, proprio a partire dal rapporto tra la singola cellula abitativa e le sue possibili aggregazioni, cercano di suggerire forme inedite di città, inconsuete quanto a volte "instabili", basate su relazioni sociali sostanziali e non formali, su rapporti e convergenze esistenziali, in grado anche di offrire una nuova idea di spazio pubblico, una nuova forma espressiva di collettività.
Quello che infatti comporta il concetto di edificio-città, nel momento in cui esso cerca, al proprio interno, di proporre una diversa relazione tra lo spazio pubblico e quello privato, tra il domestico e il collettivo, relazione non funzionale quanto piuttosto di sensi e significati, è proprio la perdita di consistenza della città a favore di un nuovo rapporto tra individuo, spazio e natura costruita, insomma tra esigenze pratiche comuni e bisogni individuali.
E' rispetto alla città storica consolidata, cioè all'inserimento di edifici-città in tessuti urbani tradizionali, che invece la sovrapposizione di sensi e regole tra modi diversi di leggere ed interpretare le relazioni sociali si concretizzano in una stratificazione disomogenea di layer, in una gerarchia di funzioni oltre che dei comportamenti dei singoli individui. L'innovazione non cancella la memoria e pertanto è la compresenza di sensi antichi e nuovi modi di vivere che conforma l'ambiente costruito.
La varietà di funzioni analoghe o alternative portano ad esprimere le ragioni che relazionano i luoghi funzionali, valutando a fondo le necessità e soprattutto le aspirazioni dell'uomo. Elevare funzionalmente all'interno di una struttura complessa un corridoio a strada, un ballatoio a piazza, un ascensore a vero mezzo di trasporto, non è sufficiente; quello che un edificio-città persegue è l'estensione del privato nel pubblico, l'allargamento dei sensi del domestico fino alla loro piena condivisione. I collegamenti da utili possono così diventare “significativi”, luoghi espressione di contenuti, attraverso forme innovative capaci di disciplinare la trasformazione delle percezioni della società in continua evoluzione. Dentro e fuori, privato e pubblico, utile ed effimero, attraversare e giungere in un luogo, sono azioni non più descrivibili secondo schemi o tipi consueti.
Essendo sintesi di relazioni e connessioni è evidente che tali “città verticali” non hanno una forma o una dimensione prestabilita, eppure è proprio a partire dal loro essere “fuori scala” che l'immaginario collettivo le ha viste come l'incarnazione di un possibile futuro dove attuare nuove forme di vita e di relazioni.
Un grattacielo non è solo una "grande" architettura, esemplificativa di soluzioni strutturali, distributive, linguistiche e stilistiche proprie di un edificio di rilevante scala, ma è - e questo è il senso del racconto - la vera impalcatura che unisce, e separa, un frammento complesso di umanità. Edificio che non prende la forma di una torre qualsiasi, ma di una vera e propria piramide sociale, ben definita nei rapporti e nella gerarchie, nei servizi e nelle opportunità.
Ogni aggregazione complessa di proprietà private, connesse da parti comuni o pubbliche, sottende infatti un'idea di socialità che può essere della gerarchia e della divisione in classi, ceti o categorie e ruoli, ovvero davvero porsi come forma della condivisione, dell'appartenenza e della compartecipazione collegiale e democratica. Un edificio-città, qualunque sia la sua dimensione, localizzazione o morfologia, mette in contatto le esigenze e le aspirazioni di individui distinti, vive al suo interno dinamiche che innescano relazioni, e a volte anche conflitti, propri di complesse compagini sociali i cui legami associativi e assistenziali diventano l'espressione della vita privata e delle esigenze collettive.
Gli stessi elementari edifici residenziali plurifamiliari, quando non sono la banale aggregazione di appartamenti senza alcuna forma significante, sono la manifestazione palese di una idea di pluralità, articolata intorno a percorsi e a spazi che ne rappresentano la ragione stessa; esemplificazione del rapporto che si instaura tra riservatezza e partecipazione, tra indipendenza e responsabilità.
Per questo, non è una forzatura teorica vedere nello schema compositivo di un sistema di aggregazione di unità abitative, non solo la soluzione dei bisogni dei singoli, ma anche la realizzazione di un'idea capace di dare forma allo "stare insieme", di restituire un significato all'adesione alle regole e al disegno politico, culturale e sociale del luogo in cui si vive.
Oggi quindi un edificio-città non è tale per la sua struttura o linguaggio, ma per la rete di relazioni che è in grado di innescare. Non è, come già detto, un problema di forma dello spazio, di nobilitare cioè i ballatoi a viali, gli androni e i pianerottoli a piazze, le terrazze a belvederi, i porticati a stoá, quanto la necessità di elevare gli elementi distributivi di una architettura, che tale resta, a parti significanti di un vivere pubblico. Un ambiente costruito dove fondare i sensi di una nuova socialità capace di diffondere il senso del domestico oltre i limite del privato e, nel contempo, demonumentalizzando i luoghi tipici del vivere comune, renderli “strumenti” per assolvere le aspettative individuali. La città attuale, infatti, non è più solo quella progettata, è ormai un sistema complesso di relazioni e scambi, spesso immateriali, comunque disgregati e diffusi, che ancora devono trovare la forma ed il lessico comprensibili a tutti. Volendo quindi superare la dialettica tra “edifici grandi” e “città in miniatura”, tra contenitori polifunzionali e relazioni sociali da essi derivanti, è opportuno individuare valori, propri dei tempi in cui si vive, con cui determinare sia le ragioni dello spazio domestico che della struttura che lo contiene, nonché del tessuto sul quale essi insistono. Valori intesi nella duplice accezione di strumenti e di obiettivi, di fine e mezzo, indispensabili a definire un corretto approccio metodologico al progetto, come, ad esempio: la ripetizione, l'identità, la percezione, la partecipazione, l'efficienza e la libertà.
La ripetizione è un valore negativo quando rappresenta l'interpretazione banale di un impianto reiterato senza criterio se non quello funzionale, creando nell'uomo disagio e perdita di comprensione dei luoghi che abita. È controproducente quanto estende oltre il limite sopportabile misure distanze e sequenze. Essa assume, invece, un valore positivo se intesa come opportunità, come rottura di limiti o vincoli preconcetti, specialmente se riferita a sensazioni, percezioni od emozioni. La ripetizione va perseguita quando si intende come estensione di condizioni dell'essere, dei principi quali quelli del domestico, dei valori del privato o della condivisione, a tutto l'insieme, quando cioè si è in grado di evitare la banale zonizzazione funzionale, la separazione di comportamenti, la replica di spazi morfologicamente privi di connotazione a favore della moltiplicazione di luoghi significanti e della comunicazione dei contenuti.
Ripetizione quindi della presenza dell'uomo in ogni azione o fase di vita affinché possa lasciare traccia, riconoscibile, di sé e indicare comportamenti e attività ai suoi simili.
La percezione è un valore che va visto sotto differenti aspetti. Intesa come leggibilità dall'esterno implica la riconoscibilità, l'identità, del proprio habitat oltre che la comunicazione di quello che si è. La percezione dallo spazio privato dell'ambiente circostante comporta invece una gerarchia di significati tesi a filtrare e guidare la comprensione del mondo.
Per questo la lettura dall'esterno non deve restituire una immagine sovrapposta o in contrasto con il significato rappresentato dalla vita che si svolge all'interno. Non è necessario perseguire una forma precostituita, cioè una forma relativa ad un unico senso espresso dal manufatto, esso deve piuttosto restituire la complessità e la molteplicità che contiene in una forma sintetica e leggibile che chiarisca le ragioni che raggruppano quel determinato numero di fruitori in un unico luogo.
Dall'interno invece c'è da considerare una percezione “dall'interno dell'interno” e una “dall'interno dell'esterno”.
La prima delle due è la più innovativa da perseguire. Non più solo la chiarezza di percorsi e del sistema connettivo delle funzioni principali, ma una percezione sensibile e ragionata di luoghi attrattivi dove svolgere e soddisfare bisogni primari o anche solo esigenze ludiche e ricreative. La percezione dell'interno significa esplicitare il sistema di relazioni che tengono insieme il contenuto stesso dell'opera, mostrare e palesare scelte e suggestioni capaci di guidare il fruitore in attività che non prevedono luoghi esclusivi ma ambienti rappresentativi contemporaneamente di valori privati e pubblici di modalità sia dell'interno che dell'esterno.
La percezione dell'esterno dall'interno rappresenta inoltre non un momento passivo di contemplazione del territorio e dell'ambiente ma la fase attiva in cui riconoscersi parte di un tutto in una continuità di sensi ed emozioni.
La partecipazione rende l'uomo protagonista delle ragioni che soggiacciono al passaggio tra la città e lo spazio domestico, tra l'esterno e l'interno, tra il modo di vivere il pubblico e quello di costruire il proprio privato. Un rapporto fatto di compromissioni con l'intorno, che analizza e definisce il flusso di stimoli e contatti, tracciando il confine invalicabile dell'intimità.
Partecipare significa riscattarsi dalla passiva obbedienza agli stimoli indotti dall'habitat costruito, dalle regole globalizzanti ed unificanti e porsi in una relazione critica con i propri spazi di vita trasformandosi da fruitore passivo in protagonista attivo, artefice e costruttore dei luoghi in cui vivere, imprimendo il senso e definendo il carattere stesso da esprimere.
L'efficienza, non intesa come efficienza di prestazioni, è l'esigenza di integrare i propri bisogni primari ad altri di tipo collettivo. E' quindi la possibilità di contaminare l'intimità con relazioni misurate e mirate, tese a creare una rete di connessioni e di scambi, non ancora del tutto pubblica, ma tuttavia non più esclusivamente privata. Esigenze proprie della vita odierna in cui alcune azioni, non sono dovute o obbligate, ma sono “scelte” e danno forma al personale “stile di vita”. Modalità desunte dalla contaminazione tra abitudini proprie dei luoghi immateriali - spazi non fisici ma virtuali che tuttavia oggi regolano, in chiave del tutto originale, relazioni e comunicazioni - ed esperienze reali e sensoriali che necessitano di ambienti concreti e tangibili.
È l'uomo infatti che deve suggerire come usare la tecnologia o le potenzialità delle tecniche innovative, non la quantità ma il modo in cui esse devono essere erogate e distribuite.
Infine la libertà, intesa come capacità di suggerire e non di imporre, evitando di risolvere in forma stabile, lasciando piuttosto infiniti gradi di scoperta e di invenzione nella fruizione degli spazi, nel modo di usare gli interni, di scegliere i percorsi, nella caratterizzazione degli ambienti e nella flessibilità dei componenti che li realizzano.
L'architettura ha sempre dato con i suoi spazi costruiti margini di libertà o di oppressione, ma la libertà cui ci si riferisce è la traduzione in forma materiale di possibilità immaginate, di volontà espresse e quindi di opportunità da raggiungere. Lo spazio delle libertà è uno spazio che non impone ma che si adatta a ciò che l'uomo vi imprime o vi cerca. È lo spazio progettato capace però di essere declinato e interpretato di volta in volta, di essere strumento e non icona dei sentimenti della società.
Per far questo non c'è bisogno di proiezioni nel futuro, di immaginare l'inimmaginabile, ma solo di restituire all'architettura il suo storico compito, di dare forma, criticamente, ai sogni dell'uomo contemporaneo.