Un
edificio di grandi dimensioni, sviluppato prevalentemente in altezza
è definito “grattacielo”, traduzione letterale del termine
inglese skyscraper
con
il quale, agli inizi del XX secolo, erano chiamati gli edifici a
torre alti “oltre il consueto”. Un grattacielo è quindi un
fabbricato multipiano tipologicamente identificato che ripropone,
senza rinunciarci, le caratteristiche distributive del modello a
torre di cui prevede un ulteriore incremento verticale, aumentando
il volume a parità di impronta al suolo. Non ha caso, sin dalle
prime realizzazioni, esso viene considerato la soluzione
economicamente più vantaggiosa per lo sfruttamento intensivo dei
lotti edificabili nel tessuto della città. Città della quale non
altera l'impianto e le relazioni, anzi, in un certo senso, le
consolida amplificandone le ragioni, e di cui, invece, modifica la
morfologia - lo skyline
- e
quindi la percezione.
I
primi grattacieli, agli inizi del secolo scorso, fanno dell'altezza
la loro ragione, e, tuttavia, fruiti a quota stradale, essi non
propongono particolari innovazioni relazionandosi con l'uomo
attraverso modalità consolidate: il perimetro murario, le aperture,
i materiali e le finiture. Essi non alterano e non discutono il ritmo
scandito dalla maglia stradale e dalla consistenza del lotto
confermando, attraverso i loro accessi, i tradizionali criteri di
accoglienza e di fruibilità. E' solo alzando lo sguardo, o meglio ad
una visione da lontano, che un grattacielo definisce una nuova forma,
anzi una diversa idea di spazio urbano, fatta di simboli autonomi,
tra loro giustapposti, a disegnare la forma del paesaggio. “Paesaggio
costruito” di cui, dall'interno, suggerisce una lettura
alternativa, pressoché zenitale, con cui svelare la forma dettata
dalla rete stradale e dagli edifici, quindi le regole stesse che
soggiacciono alla struttura compositiva e ai significati delle
diverse parti - strade, piazze, parchi o viali - che costituiscono la
città.
Il
“tipo architettonico” definito “grattacielo”, dalle prime
apparizioni fino alle più ardite soluzioni contemporanee, a livello
funzionale o spaziale determina lo sviluppo delle prestazioni di un
edificio “convenzionale”, mentre risulta essere originale ed
innovativo dal punto di vista concettuale, per il rapporto simbolico
che innesca tra il suo contenuto e l'ambiente che lo circonda.
All'interno,
rispetto la moltiplicazione banale delle funzioni dovute
all'accentuazione verticale, tali fabbricati ricercano
un'organizzazione non ripetitiva più adatta al volume, attraverso
sistemi differenti di funzioni alternate che individuano settori
specifici a diverse altezze. L'uso ibrido ad uffici e residenze, con
l'inserimento di funzioni collettive tra una sezione e l'altra, ad
esempio, è quello più ricorrente, riscontrabile nei primi
grattacieli di Chicago e New York dell'inizio del XX secolo, come nel
contemporaneo The
Shard, di Renzo
Piano a Londra.
Tale
principio multifunzionale non è tuttavia peculiare dei grattacieli
ed è analogo a quello che conforma, negli stessi anni, i grandi
blocchi edilizi - hof
- austriaci e tedeschi i quali, seguendo all'opposto un'estensione
orizzontale, cercano anch'essi, nella grande dimensione, di integrare
la funzione residenziale prevalente con strutture ad uso collettivo,
uffici, luoghi pubblici e servizi connessi alla vita della città,
approfittando degli spazi aperti delle corti inserite nel corpo
edificato. Ciò che distingue l'estensione verticale del grattacielo
da quella orizzontale dell'isolato
a corte
non è solo la “quantità” di suolo occupato, quanto piuttosto il
differente rapporto con la metropoli che tali strutture realizzano e
rilanciano come possibile “idea di città”. Lì dove i primi
occupano, prevalentemente, lo spazio di un lotto al pari delle
costruzioni tradizionali, senza alterare la forma urbana e, nel
contempo, senza prevedere particolari relazioni tra architettura e
spazio pubblico, i secondi, i grandi complessi a corte, con la loro
estensione e permeabilità, modificano la percezione, dilatando le
percorrenze e offrono, al loro interno, inedite spazialità e
attraversamenti che ricercano relazioni con il tessuto all'intorno.
Il
superamento dei confini, fisici e concettuali, tra architettura e
ambiente urbano, avviene infatti solo quando la costruzione, di
grandi come di modeste dimensioni, si propone come un prolungamento
coerente, ovvero alternativo e critico, del pubblico verso il privato
e, viceversa, della città verso i luoghi più intimi e sensibili.
Emblematico
è il caso del Museo Guggenheim a New York di Frank Lloyd Wright che,
con la sua struttura a spirale, sembra quasi voler prolungare
-piegandola - la 5th Avenue all'interno, giungendo ad una nuova forma
e ad un nuovo senso dello spazio per fruire e godere dell'arte.
La
ricerca attuale sul modello spaziale del grattacielo, oltre il
confronto con la dimensione e la morfologia sempre più spinta,
propone un mutamento dei sensi, da quelli propri dell'architettura, a
quelli di un frammento di spazio urbano racchiuso in una forma
sintetica, insomma ipotizzando una “città-verticale”, anomala
e, a volte alternativa, rispetto a quella storica, ma che con questa
è intenzionata ad instaurare un nuovo dialogo.
Un
edificio che vuole assumere in sé tutti i contenuti della città è
una struttura architettonica che, al di là della sua dimensione,
intende porre il proprio contenuto in continuità logica e di
modalità d'uso con le ragioni dello spazio urbano, rinunciando ad
una forma tradizionale e cercando di capire le ragioni e i modi
dell'abitare collettivo di cui vuole offrire l'interpretazione più
attuale.
La
concentrazione di sensi propri dello spazio urbano all'interno del
manufatto architettonico, finalizzato ad un migliore rapporto tra
luoghi domestici privati e ambiti di relazione collettivi, da un
punto di vista teorico, tende a mettere in discussione la città così
come concepita storicamente. Tale logica progettuale implica, di
riflesso, una rarefazione del tessuto urbano, un suo parziale
diradamento e dissipazione.
Ne
sono un esempio le proposte di città di Le Corbusier e Wright in
cui, rispetto ad edifici polifunzionali di nuova concezione sempre
più complessi funzionalmente, la città costruita all'intorno si
riduce, fino al limite di smaterializzarsi. In tali proposte i grandi
complessi, a volte quasi sospesi, vengono distribuiti su una trama
rada di verde e strade, un reticolo di connessioni, di percorsi e
spazi aperti, un sistema simbiotico tra costruito e natura
progettata.
Le
Unité
d'Habitation
di
Le Corbusier
non sono, infatti, solo edifici complessi e polifunzionali, ma sono
parte di una innovativa idea di spazio antropizzato, enunciato a
partire dal progetto della Ville
Radieuse,
in cui, come nella Broadacre
City
di F.L. Wright, il
dissolvimento dello spazio urbano storicamente concepito, non passa
attraverso l'annullamento delle relazioni umane quanto, piuttosto,
nella distruzione dei legami consolidati tra densità e
distribuzione, tra forma del territorio e dimensione
dell'architettura.
Idea
assimilabile anche alle
proposte successive degli Archigram i quali, proprio a partire dal
rapporto tra la singola cellula abitativa e le sue possibili
aggregazioni, cercano di suggerire forme inedite di città,
inconsuete quanto a volte "instabili", basate su relazioni
sociali sostanziali e non formali, su rapporti e convergenze
esistenziali, in grado anche di offrire una nuova idea di spazio
pubblico, una nuova forma espressiva di collettività.
Quello
che infatti comporta il concetto di edificio-città, nel momento in
cui esso cerca, al proprio interno, di proporre una diversa relazione
tra lo spazio pubblico e quello privato, tra il domestico e il
collettivo, relazione non funzionale quanto piuttosto di sensi e
significati, è proprio la perdita di consistenza della città a
favore di un nuovo rapporto tra individuo, spazio e natura costruita,
insomma tra esigenze pratiche comuni e bisogni individuali.
E'
rispetto alla città storica consolidata, cioè all'inserimento di
edifici-città in tessuti urbani tradizionali, che invece la
sovrapposizione di sensi e regole tra modi diversi di leggere ed
interpretare le relazioni sociali si concretizzano in una
stratificazione disomogenea di layer,
in una gerarchia di funzioni oltre che dei comportamenti dei singoli
individui. L'innovazione non cancella la memoria e pertanto è la
compresenza di sensi antichi e nuovi modi di vivere che conforma
l'ambiente costruito.
La
varietà di funzioni analoghe o alternative portano ad esprimere le
ragioni che relazionano i luoghi funzionali, valutando a fondo le
necessità e soprattutto le aspirazioni dell'uomo. Elevare
funzionalmente all'interno di una struttura complessa un corridoio a
strada, un ballatoio a piazza, un ascensore a vero mezzo di
trasporto, non è sufficiente; quello che un edificio-città persegue
è l'estensione del privato nel pubblico, l'allargamento dei sensi
del domestico fino alla loro piena condivisione. I collegamenti da
utili possono così diventare “significativi”, luoghi espressione
di contenuti, attraverso forme innovative capaci di disciplinare la
trasformazione delle percezioni della società in continua
evoluzione. Dentro e fuori, privato e pubblico, utile ed effimero,
attraversare e giungere in un luogo, sono azioni non più
descrivibili secondo schemi o tipi consueti.
Essendo
sintesi di relazioni e connessioni è evidente che tali “città
verticali” non hanno una forma o una dimensione prestabilita,
eppure è proprio a partire dal loro essere “fuori scala” che
l'immaginario collettivo le ha viste come l'incarnazione di un
possibile futuro dove attuare nuove forme di vita e di relazioni.
Un
grattacielo non è solo una "grande"
architettura, esemplificativa di soluzioni strutturali, distributive,
linguistiche e stilistiche proprie di un edificio di rilevante scala,
ma è - e questo è il senso del racconto - la vera impalcatura che
unisce, e separa, un frammento complesso di umanità. Edificio che
non prende la forma di una torre qualsiasi, ma di una vera e propria
piramide sociale, ben definita nei rapporti e nella gerarchie, nei
servizi e nelle opportunità.
Ogni
aggregazione complessa di proprietà private, connesse da parti
comuni o pubbliche, sottende infatti un'idea di socialità che può
essere della gerarchia e della divisione in classi, ceti o categorie
e ruoli, ovvero davvero porsi come forma della condivisione,
dell'appartenenza e della compartecipazione collegiale e democratica.
Un edificio-città, qualunque sia la sua dimensione, localizzazione o
morfologia, mette in contatto le esigenze e le aspirazioni di
individui distinti, vive al suo interno dinamiche che innescano
relazioni, e a volte anche conflitti, propri di complesse compagini
sociali i cui legami associativi e assistenziali diventano
l'espressione della vita privata e delle esigenze collettive.
Gli
stessi elementari edifici residenziali plurifamiliari, quando non
sono la banale aggregazione di appartamenti senza alcuna forma
significante, sono la manifestazione palese di una idea di pluralità,
articolata intorno a percorsi e a spazi che ne rappresentano la
ragione stessa; esemplificazione del rapporto che si instaura tra
riservatezza e partecipazione, tra indipendenza e responsabilità.
Per
questo, non è una forzatura teorica vedere nello schema compositivo
di un sistema di aggregazione di unità abitative, non solo la
soluzione dei bisogni dei singoli, ma anche la realizzazione di
un'idea capace di dare forma allo "stare insieme", di
restituire un significato all'adesione alle regole e al disegno
politico, culturale e sociale del luogo in cui si vive.
Oggi
quindi un edificio-città non è tale per la sua struttura o
linguaggio, ma per la rete di relazioni che è in grado di innescare.
Non è, come già detto, un problema di forma dello spazio, di
nobilitare cioè i ballatoi a viali, gli androni e i pianerottoli a
piazze, le terrazze a belvederi, i porticati a stoá,
quanto la necessità di elevare gli elementi distributivi di una
architettura, che tale resta, a parti significanti di un vivere
pubblico. Un ambiente costruito dove fondare i sensi di una nuova
socialità capace di diffondere il senso del domestico oltre i limite
del privato e, nel contempo, demonumentalizzando i luoghi tipici del
vivere comune, renderli “strumenti” per assolvere le aspettative
individuali. La città attuale, infatti, non è più solo quella
progettata, è ormai un sistema complesso di relazioni e scambi,
spesso immateriali, comunque disgregati e diffusi, che ancora devono
trovare la forma ed il lessico comprensibili a tutti. Volendo
quindi superare la dialettica tra “edifici grandi” e “città in
miniatura”, tra contenitori polifunzionali e relazioni sociali da
essi derivanti, è opportuno individuare valori, propri dei tempi in
cui si vive, con cui determinare sia le ragioni dello spazio
domestico che della struttura che lo contiene, nonché del tessuto
sul quale essi insistono. Valori intesi nella duplice accezione di
strumenti e di obiettivi, di fine e mezzo, indispensabili
a definire
un corretto approccio metodologico al progetto, come, ad esempio: la
ripetizione, l'identità, la percezione, la partecipazione,
l'efficienza e la libertà.
La
ripetizione
è un valore negativo quando rappresenta l'interpretazione banale di
un impianto reiterato senza criterio se non quello funzionale,
creando nell'uomo disagio e perdita di comprensione dei luoghi che
abita. È controproducente quanto estende oltre il limite
sopportabile misure distanze e sequenze. Essa assume, invece, un
valore positivo se intesa come opportunità, come rottura di limiti o
vincoli preconcetti, specialmente se riferita a sensazioni,
percezioni od emozioni. La ripetizione va perseguita quando si
intende come estensione di condizioni dell'essere, dei principi quali
quelli del domestico, dei valori del privato o della condivisione, a
tutto l'insieme, quando cioè si è in grado di evitare la banale
zonizzazione funzionale, la separazione di comportamenti, la replica
di spazi morfologicamente privi di connotazione a favore della
moltiplicazione di luoghi significanti e della comunicazione dei
contenuti.
Ripetizione
quindi della presenza dell'uomo in ogni azione o fase di vita
affinché possa lasciare traccia, riconoscibile, di sé e indicare
comportamenti e attività ai suoi simili.
La
percezione
è un valore che va visto sotto differenti aspetti. Intesa come
leggibilità dall'esterno implica la riconoscibilità, l'identità,
del proprio habitat oltre che la comunicazione di quello che si è.
La percezione dallo spazio privato dell'ambiente circostante comporta
invece una gerarchia di significati tesi a filtrare e guidare la
comprensione del mondo.
Per
questo la lettura dall'esterno non deve restituire una immagine
sovrapposta o in contrasto con il significato rappresentato dalla
vita che si svolge all'interno. Non è necessario perseguire una
forma precostituita, cioè una forma relativa ad un unico senso
espresso dal manufatto, esso deve piuttosto restituire la complessità
e la molteplicità che contiene in una forma sintetica e leggibile
che chiarisca le ragioni che raggruppano quel determinato numero di
fruitori in un unico luogo.
Dall'interno
invece c'è da considerare una percezione “dall'interno
dell'interno” e una “dall'interno dell'esterno”.
La
prima delle due è la più innovativa da perseguire. Non più solo la
chiarezza di percorsi e del sistema connettivo delle funzioni
principali, ma una percezione sensibile e ragionata di luoghi
attrattivi dove svolgere e soddisfare bisogni primari o anche solo
esigenze ludiche e ricreative. La percezione dell'interno significa
esplicitare il sistema di relazioni che tengono insieme il contenuto
stesso dell'opera, mostrare e palesare scelte e suggestioni capaci di
guidare il fruitore in attività che non prevedono luoghi esclusivi
ma ambienti rappresentativi contemporaneamente di valori privati e
pubblici di modalità sia dell'interno che dell'esterno.
La
percezione dell'esterno dall'interno rappresenta inoltre non un
momento passivo di contemplazione del territorio e dell'ambiente ma
la fase attiva in cui riconoscersi parte di un tutto in una
continuità di sensi ed emozioni.
La
partecipazione
rende l'uomo protagonista delle ragioni che soggiacciono al passaggio
tra la città e lo spazio domestico, tra l'esterno e l'interno, tra
il modo di vivere il pubblico e quello di costruire il proprio
privato. Un rapporto fatto di compromissioni con l'intorno, che
analizza e definisce il flusso di stimoli e contatti, tracciando il
confine invalicabile dell'intimità.
Partecipare
significa riscattarsi dalla passiva obbedienza agli stimoli indotti
dall'habitat costruito, dalle regole globalizzanti ed unificanti e
porsi in una relazione critica con i propri spazi di vita
trasformandosi da fruitore passivo in protagonista attivo, artefice e
costruttore dei luoghi in cui vivere, imprimendo il senso e definendo
il carattere stesso da esprimere.
L'efficienza,
non intesa come efficienza di prestazioni, è l'esigenza di integrare
i propri bisogni primari ad altri di tipo collettivo. E' quindi la
possibilità di contaminare l'intimità con relazioni misurate e
mirate, tese a creare una rete di connessioni e di scambi, non ancora
del tutto pubblica, ma tuttavia non più esclusivamente privata.
Esigenze proprie della vita odierna in cui alcune azioni, non sono
dovute o obbligate, ma sono “scelte” e danno forma al personale
“stile di vita”. Modalità desunte dalla contaminazione tra
abitudini proprie dei luoghi immateriali - spazi non fisici ma
virtuali che tuttavia oggi regolano, in chiave del tutto originale,
relazioni e comunicazioni - ed esperienze reali e sensoriali che
necessitano di ambienti concreti e tangibili.
È
l'uomo infatti che deve suggerire come usare la tecnologia o le
potenzialità delle tecniche innovative, non la quantità ma il modo
in cui esse devono essere erogate e distribuite.
Infine
la libertà,
intesa come capacità di suggerire e non di imporre, evitando di
risolvere in forma stabile, lasciando piuttosto infiniti gradi di
scoperta e di invenzione nella fruizione degli spazi, nel modo di
usare gli interni, di scegliere i percorsi, nella caratterizzazione
degli ambienti e nella flessibilità dei componenti che li
realizzano.
L'architettura
ha sempre dato con i suoi spazi costruiti margini di libertà o di
oppressione, ma la libertà cui ci si riferisce è la traduzione in
forma materiale di possibilità immaginate, di volontà espresse e
quindi di opportunità da raggiungere. Lo spazio delle libertà è
uno spazio che non impone ma che si adatta a ciò che l'uomo vi
imprime o vi cerca. È lo spazio progettato capace però di essere
declinato e interpretato di volta in volta, di essere strumento e non
icona dei sentimenti della società.
Per
far questo non c'è bisogno di proiezioni nel futuro, di immaginare
l'inimmaginabile, ma solo di restituire all'architettura il suo
storico compito, di dare forma, criticamente, ai sogni dell'uomo
contemporaneo.