Il viaggioi
è sempre scandito da luoghi, dal luogo di partenza e di arrivo e da
tutti quelli che si attraversano. Con maggiore precisione è
possibile dire che il viaggio è sempre un percorso che, nel
passaggio da un luogo ad un altro, attraversa territori e spazi
diversi, a volte alternativi, in ogni caso concatenati tra loro, che
conduce in definitiva da una architettura ad un'altra: a partire
dalla propria dimora, attraverso stazioni ferroviarie, aeroporti,
porti, autogrill, stazioni di servizio, parcheggi, utilizzando
strade, gallerie e ponti, fermandosi in alberghi, pensioni, motel,
capanni, campeggi o ancora case, fino ad arrivare alla meta
prescelta, sia essa un luogo costruito – città, villaggio o paese
– o un frammento antropizzato della natura. Alcuni di questi
luoghi, di queste architetture, si attraversano solamente, altre ci
accolgono, altre ancora ci servono per proseguire il cammino, alcune
di esse sono private, altre pubbliche, ma solo alcune sono parte
integrante del viaggio, ragione e fine dello spostamento da un luogo
ad un altro.
Tra queste quelle pubbliche e di
passaggio, veri e propri strumenti che permettono di realizzare il
viaggio, sono definiti “luoghi di transito”. Tali spazi sono
quelli che introducono nella dimensione del viaggio, che compiono il
rito di “estrarre ed astrarre” il viaggiatore dalla sua vita
quotidiana e di portarlo in una condizione fisica di spostamento da
un luogo ad un altro che è, comunque, una nuova dimensione
psicologica e personale, di cambiamento e di modificazione del ritmo
esistenzialeii.
I luoghi di transito non sono però la
“ragione” del viaggio, essi introducono al viaggio, spesso ne
rappresentano l'inizio e la fine, a volte anche le tappe intermedie.
In tali luoghi si entra in contatto, si prende, si lascia o si cambia
il mezzo di trasporto che condurrà alla meta realizzando, così, il
tempo proprio del viaggio, sono cioè gli spazi che segnano il
passaggio tra il ritmo consueto della vita e la dimensione temporanea
del viaggiare, del muoversi nel mondo.
Viaggio che, col passare del tempo, ha
perso parte del suo fascino e della sua attrattiva originari, in
quanto non più momento raro ed eccezionale della vita.
Fino a pochi anni fa era il viaggiare
stesso che emozionava e stupiva, la condizione fisica e psicologica
di lasciare il luogo sicuro e conosciuto della propria dimora
permanente per avventurarsi verso luoghi e mete da conoscere e da
inventare.
Il viaggio, invece, nella
contemporaneità è a tutti gli effetti uno strumento, un mezzo per
giungere in un posto, ovvero per passare da un determinato stato ad
un'altra condizione, fisica o mentale, di cui si ha necessità o
anche solo desiderio.
Per tale ragione le stazioni, i porti o
gli aeroporti non sono più i “templi” dedicati al viaggio ma
sono semplicemente dei “portali” – intesi sia nell'accezione
comune del linguaggio di internet - di siti che rimandano ad altri
siti – sia nel senso classico di “porta” attraverso la quale
introdursi verso nuove realtà – semplici soglie che segnano il
passaggio da una condizione di staticità ad una dinamica propria
dello spostarsi nel territorio.
Questo senso del movimento – della
velocità – ha pervaso, all'origine, il linguaggio stesso di tali
architetture e dei relativi ambienti, che ha cercato di
materializzare, attraverso linee orizzontali tese e sfuggenti,
sottolineature e tagli espressionisti, il senso futurista, l'ideale
mitico del viaggio e dei nuovi mezzi di trasporto. Oggi tutto questo
non ha più quella carica dirompente ed innovativa e quindi, in
quanto semplici spazi da attraversare per breve tempo, in quanto
ambiti della consuetudine e della quotidianità, gli odierni luoghi
di transito sono strumenti utili e comuni, contenitori funzionali
atti a svolgere le azioni necessarie alla preparazione del viaggio.
Sempre più spesso, con il loro linguaggio, più che suggerire la
velocità o il movimento, sottolineano l'accoglienza e l'ospitalità,
come si addice ai luoghi in cui si è ricevuti quando si lascia il
proprio spazio privato.
I luoghi di transito sono quindi sempre
più lontani dalle stazioni ferroviarie o dagli aeroporti di soli
trent'anni fa e hanno assunto una conformazione e un'organizzazione
simile agli attuali centri commerciali dove l'omologazione delle
offerte, ha creato la totale assenza di identità e carattere che un
tempo distinguevano tale tipo di infrastrutture.
Con l'auto, col treno, con la nave o
con l'aereo si viaggia invece in un unico infinito luogo, privo di
caratterizzazioni che ne indichino l'appartenenza, privo di un
linguaggio esteriore, sovraccarico di segni e stili all'interno,
sempre uguali per conformazione, organizzazione e offerta.
Il mito del viaggio, oltre che dalle
stazioni ferroviarie, è stato espresso dalle stazioni di servizio,
dagli autogrill e dai motel che hanno punteggiato le grandi
direttrici autostradali, nate in Italia nel secondo dopoguerra,
divenute la vera icona della sua rinascita, ricostruzione e sviluppo.
L'auto interpreta il viaggio per tutti,
il raggiungimento di uno status sociale che si traduce nella
possibilità di vivere nuove opportunità di vita grazie alla
raggiunta mobilità attraverso il proprio Paese. L'autostrada segna
fisicamente il territorio, rende visibile la traccia lasciata da
coloro che viaggiano, unisce regioni differenti e quindi consente, a
chi viaggia in auto, di partecipare ad un rito collettivo, di essere
parte del progresso, della conoscenza, dei riti della modernità.
Per tale ragione il sistema
autostradale è da considerarsi, non l'insieme di vari luoghi di
transito, ma un unico e compatto luogo di transito a scala nazionale,
non la somma di infrastrutture e piccole architetture, ma un unico e
gigantesco progetto diffuso capace di unire e modificare parti di
territorio distanti tra loro.
Non è un caso che in origine, per tali
luoghi di transito, è immediato l'uso del linguaggio della
modernità, e di strutture all'avanguardia. Non si tratta solo di
tradurre la velocità in forma, di significare lo spostamento o il
viaggio, ma di segnalare quanto la rete capace di unire l'intera
nazione sia una concreta svolta verso il futuro. Futuro in cui
credere, futuro di prosperità e ricchezza e, come tale, il
linguaggio moderno di autogrill e motel, in Paesi come l'Italia,
viene declinato ad un livello sofisticato e prezioso, divenendo
l'ostentazione di un lusso alla portata di tutti.
“Nel 1960 la rivista Life
presenta l'autogrill Pavesi a Lainate sull'autostrada Milano Laghi
come espressione di un italian luxury che rende evidente e
spettacolare in questo paese, più che altrove, la rinnovata
prosperità economica”iii.
Le architetture della mobilità non
sono espressione diretta della funzione – invero banale e
ripetitiva – , non sono la declinazione dei caratteri stilistici o
costruttivi del luogo, sono davvero la forma del sentimento che essi
esprimono prima ancora della funzione che rivestono: sono la forma
del progresso economico e tecnologico, sono la rappresentazione di
uno stile di vita che cambia e di nuove opportunità che si
prospettano.
“L'adozione programmatica del
registro costruttivo moderno costituisce una premessa decisiva per lo
sviluppo di un'identità italiana dell'architettura autostradale.
Diversamente, nell'esperienza americana, la generale familiarità con
le tecnologie moderne non impedisce l'impiego diffuso di tecniche e
materiali tradizionali, coerenti con una immagine architettonica
convenzionale ed espressione della middle-class americana,
solo in alcuni casi revisionata attraverso incursioni nel linguaggio
dell'international style, nel tentativo di aggiornare
l'iconografia ricorrente dei diner e dei grill. […]
Gli edifici a ponte […] nel panorama italiano stabiliscono
un'imponenza figurativa del segno architettonico e ingegneristico
clamorosamente contrapposto – quale icona di modernità – alla
misura domestica del paesaggio rurale circostante”iv.
Per questo il linguaggio delle
architetture autostradali si propone, sin dall'inizio, moderno,
razionale, tecnologico, tanto era evidente la distanza tra il
contesto e la rete stradale, tra la memoria dei luoghi e
l'immaginazione di un sistema di trasporti non paragonabile a niente
prima di allora.
Il moderno, quando è stato uno stile,
quando ha saputo essere un codice capace di tradurre in segni le
potenzialità di tecnologie innovative, ha sempre saputo dare forma
al rinnovamento, alla trasformazione, al divenire. Questo fin quando
lo stupore permane, la novità persiste, fino a quando cioè è
necessario trasformare la consuetudine in linguaggio, lo stato di
fatto in forma del quotidiano.
La leggibilità e la visibilità dei
luoghi che scandiscono il viaggio, palesando autonomia linguistica,
innovazione funzionale e ostentando tecnologie d'avanguardia,
diventano, non per mimesi ma per contrasto, l'immagine del contesto,
interrompendo la continuità del paesaggio e proponendo l'unicità
della funzione autostradale.
Comunque, sin dalla loro prima
apparizione, le architetture delle infrastrutture hanno dichiarato il
loro essere luoghi di vendita e servizi, e quindi destinati al
commercio, tanto da essere addirittura identificati attraverso il
nome stesso dello sponsor (Pavesi, Motta, Agip, Esso), fondendo in un
unico segno significante sia la loro destinazione mercantile che il
contenuto. La pubblicità e la riconoscibilità come luogo di vendita
non ha cioè mai offuscato il loro essere, anche luoghi di sosta, di
ristoro, di rifornimento, di riposo, di accoglienza, capaci di
tradurre queste esigenze in forme condivise e accettate, attraverso
un linguaggio adatto a rappresentarli.
Nell'attualità le architetture per
l'autostrada, ma invero tutti i luoghi di transito, per essere
sostenibili e competitivi, hanno dato sempre più spazio alle
attività commerciali che, non dialogando adeguatamente con la
funzione primaria, finiscono per assorbirla, per privarla del proprio
portato simbolico, riducendo tutto ad un grande, infinito,
supermercato.
“Sfiorisce quindi l'idea della
stazione di servizio come monumento al mito della velocità e del
movimento continuo, e cresce allo stesso tempo il suo valore d'uso e
di mercato come luogo di sosta, di vendita, di svago, lungo un
tracciato che collega tutto e tutti”v.
Le attività
commerciali non solo hanno invaso fisicamente con negozi e punti
vendita tali luoghi ma li hanno anche omologati attraverso la
pubblicità onnipresente, gli schermi che trasmettono spot e le
comunicazioni audio che ricordano le varie offerte da non perdere.
“La prima domanda che ci si fa dopo
aver passeggiato intorno a questa quantità di roba è: ma la gente
la compra? La risposta è si. Perché è allegra e ben disposta e
alla fine di un'indecisione sa sempre rispondere: ma siamo in
vacanza! - proprio perché è già in vacanza. Non è un caso che il
percorso dei corridoi degli autogrill sia uno dei primi concepiti in
modo razionale per il consumo. E' uno dei primi che è stato
strutturato in modo che per uscire da un autogrill devi per forza
passare accanto a tutto – tutto – ciò che è esposto qui”vi.
In questa deriva
contemporanea in cui prevale la funzione commerciale mettendo in
ombra quella originaria legata al viaggio, i luoghi di transito non
sono più capaci di proporre un evidente linguaggio architettonico
così come è stato all'inizio della loro apparizione, non riescono
cioè a tradurre in forma il senso che gli è proprio - il viaggio -
ma solo a “contenere”, spesso in maniera anonima, l'insieme delle
funzioni commerciali.
“Anche
il concetto di viaggio
è stato pesantemente attaccato dalla
surmodernità: grandi nonluoghi posseggono ormai la medesima
attrattività turistica di alcuni monumenti storici. [...] Anche i
centri storici delle città europee si stanno sempre di più
omologando, con i medesimi negozi e ristoranti, il medesimo modo di
vivere delle persone e addirittura gli stessi artisti di strada”vii.
Forse però,
viste le aspettative della società odierna, la molteplicità dei
linguaggi, l'uso trasposto e mediato da altre forme espressive e di
comunicazione non è errato e corrisponde alla molteplicità
sfuggente e cangiante che caratterizza la forma dei nostri tempi.
“Gli
autogrill sanno benissimo com'è l'umore dei viaggiatori che fanno
una sosta sull'autostrada. Lo sapevano già quando sono nati insieme
alle autostrade, quando gli ingorghi e gli esodi non esistevano, ma
esisteva insieme alla nascita degli autogrill e delle autostrade –
preesisteva anzi – questa leggera euforia di essersi messi in
viaggio, del portabagagli carico di roba, della sosta per il caffè,
del controllo continuo del cielo per capire com'è il tempo, alza e
abbassa il finestrino, accendi e spegni il riscaldamento e tutto il
resto delle cose che man mano allontanano da casa, dalla solita vita,
in nome di una non identificata eccitazione, insensata – ma perché
dovrebbe essere sensata? E perché il traffico, l'esodo, gli
ingorghi, una coda per un incidente dovrebbero minare tutto questo?
In fondo il sentimento è: siamo tutti desiderosi di andare via. E
gli autogrill lo sanno. Conoscono perfettamente questo umore perché
sono modellati su di esso. Conoscono alla perfezione soprattutto la
conseguenza psicologica di questo umore […] il risultato di tutto
ciò, gli autogrill lo sanno, è un senso di diversità dalla vita
quotidiana [...]”viii.
Ciò che conta
nella ricerca finalizzata alla definizione dell'habitat umano, è
dare nuovamente a tali spazi una caratterizzazione, una misura,
un'atmosfera coerente con gli stati d'animo degli utenti viaggiatori,
attraverso soluzioni che rispondano alle sue esigenze psicologiche
prima ancora che ai suoi bisogni pratici. Caratterizzazione, misura,
atmosfera, sono termini che vogliono stimolare soluzioni adeguate
all'analisi delle emozioni, alle sensazioni e alle percezioni, alla
mutevolezza e alla diversità dei caratteri dei singoli e alla
varietà e eterogeneità degli utenti.
*Il presente testo è estratto da: Giardiello P., iSpace, oltre i nonluoghi, Letteraventidue, Siracusa, 2011.
ii
Cfr. Augé, M., Un
ethnologue dans le métro,
Parigi, 1986, trad. it. Un
etnologo nel metro, Elèuthera,
Milano 2005.
iii
Greco, L., Architetture
autostradali in Italia. Progetto e costruzione negli edifici per
l'assistenza ai viaggiatori,
Gangemi, Roma 2010, p. 17.
iv
Ivi, p. 18.
v
Ciorra P., op. cit., p. 42.
vi
Piccolo, F., “Tempo
di percorrenza troppo lungo”,
in
L'Italia spensierata,
Laterza, Roma/Bari 2007, p. 73.