cos'è architettura & co.

architettura & co. è stato pensato da paolo giardiello per mettere a disposizione di tutti, in particolare dei suoi studenti, i propri scritti, ricerche e riflessioni sull'architettura. il blog contiene testi pubblicati, versioni integrali di saggi poi ridotti per motivi editoriali, scritti inediti o anche solo riflessioni e spunti di ricerche. per questo non ha un ordine determinato, non segue un filo logico, ma rappresenta solo la sequenza temporale di occasioni in cui parlare di architettura, prima di farla "parlare", come invece dovrebbe, normalmente, essere.

25 gennaio 2014

Vestire lo spazio


L'esperienza di accompagnare un cliente dal rivenditore di rivestimenti, accessori e finiture può lasciare seriamente sbigottiti se si è un architetto che ha superato, anche di poco, la soglia dei 50 anni. Fino a pochi anni fa i materiali da costruzione o per rivestimento erano delle materie, i formati seguivano le ragioni della messa in opera, le prestazioni servivano per raggiungere obiettivi di confort ambientale. C'erano i materiali naturali, le manifatture artigianali e industriali, le soluzioni idonee a risolvere problemi ed esigenze tecnologiche specifiche.

Oggi non è più così e, accedere in uno showroom di componenti per l'architettura, è come entrare in un negozio di alta moda dove scegliere una stoffa o un modello di abito significa soddisfare una esigenza di stile piuttosto che assolvere il bisogno di proteggersi dal caldo o dal freddo.

L'architettura evidentemente, oggi, si offre nuda, un corpo perfettamente idoneo a soddisfare i bisogni che l'uomo esprime, e si lascia vestire dal gusto del tempo, dalla moda, dal capriccio del singolo progettista o fruitore che sia. Più precisamente la ricerca scorre su due binari diversi: quella finalizzata a costruire tale corpo - la struttura, gli impianti - e quella destinata all'individuazione e definizione di ciò che ricoprirà tale organismo, abito o pelle che sia, che a volte potrà risultare coerente con ciò su cui è posto, altre volte si renderà autonomo fino a negare le proprietà stesse dell'impalcato soggiacente.

Quello che un tempo era un semplice rivenditore di rivestimenti, di piastrelle, di pietre naturali, di facciate ventilate, che si limitava a fare considerazioni sulla manutenzione e durabilità, resistenza e usura dei materiali, lasciando al committente eventuali considerazioni sul gusto, è oggi un suggeritore di sogni da materializzare, un creatore di spazi intesi come set in cui fermare istantanee glamour di una vita sperata. A guardare bene tali luoghi, sempre più ricchi, sempre più attraenti, non c'è più un materiale che è o che fa se stesso, la pietra non è di pietra e il legno spesso è fatto di altro, per non parlare dei materiali innovativi, materiali sintetici, di ricerca, creati in laboratorio o derivati dal recupero di prodotti riciclati. Tutto è fatto con sostanze sofisticate e tecnicamente inappuntabili che imitano materiali che non si usano più o materie e tecniche desunte da altri settori: superfici come stoffe, come vetri, come metalli, come acqua o semplice luce. Ciò che storicamente è rigido e duro si ammorbidisce e avvolge, ciò che è stato sempre freddo diviene caldo e accogliente, ciò che era impalpabile oggi è solido e resistente. Frammenti di scenografie capaci di disegnare sensazioni, indurre emozioni, costruire l'irrealizzabile.

I formati stessi sono inquietanti, lastre dalle misure enormi, praticamente senza limiti, e spessori sottilissimi, impercettibili, ovvero inaspettatamente doppi grazie a sostanze leggerissime, cave, alveolari.

In tale offerta così allargata è sempre più necessario che il progettista rivendichi il suo ruolo di colui che è in grado di controllare l'intero processo costruttivo fino all'ottenimento di un effetto, di un risultato estetico e comunicativo, coerente e definito dai contenuti che l'architettura intende esprimere. L'architettura, i suoi spazi interni, la città stessa e il paesaggio costruito, storicamente sempre hanno cercato l'abito attraverso cui raccontarsi. Sia esso stile, decorazione o linguaggio, siano espressioni di derivazione tettonica, pittorica, grafica o artistica, in ogni caso costruire ha comportato la scelta di un aspetto formale capace di comunicare con l'uomo, in grado di tradurre in un sistema di segni chiari e comprensibili la descrizione dei contenuti impliciti nello spazio, nella forma, nelle misure e nelle armonie proprie della sua struttura.

Tale processo tuttavia, governato dal progettista, non è mai stato così alla portata di tutti come lo è oggi, non è stato mai tanto autonomo dall'idea complessiva, dal portato funzionale che l'architettura esplicita alla società per cui è pensata. Questo comporta che ciò che era “l'abito pensato per l'occasione”, e cioè la definizione stilistica e linguistica più adatta a quel manufatto, in quel tempo, in quel luogo, per quelle persone, possa diventare, in taluni casi, un vestito usa e getta, da cambiare col cambiare della moda, da sovrapporre, anche a costo di essere in contraddizione, alle aspettative del corpo architettonico. Se l'opportunità progettuale che ne deriva è quella di riuscire a seguire le prospettive sociali variabili e in evoluzione, di conformare l'informale, di congelare l'attimo in trasformazione, il pericolo invece che ne consegue è quello di una mancanza di controllo rigoroso attraverso il progetto; cioè che tale varietà ed offerta, tale immediatezza della tecnica, possa acclarare la scissione totale tra ciò che è e ciò che appare, tra il contenuto di quello che la società richiede come indispensabile per il soddisfacimento dei suoi bisogni e la forma, effimera e fine a sé stessa, con cui si palesa.