cos'è architettura & co.

architettura & co. è stato pensato da paolo giardiello per mettere a disposizione di tutti, in particolare dei suoi studenti, i propri scritti, ricerche e riflessioni sull'architettura. il blog contiene testi pubblicati, versioni integrali di saggi poi ridotti per motivi editoriali, scritti inediti o anche solo riflessioni e spunti di ricerche. per questo non ha un ordine determinato, non segue un filo logico, ma rappresenta solo la sequenza temporale di occasioni in cui parlare di architettura, prima di farla "parlare", come invece dovrebbe, normalmente, essere.

20 febbraio 2014

Raccontare fiabe col legno



Molti rimarranno delusi da quanto sto per dire, ma la fiaba dei tre porcellini e del lupo che distrugge le loro case, con un soffio, è falsa. Personalmente non credo infatti che, come ci narra la favola, la casa in mattoni debba essere considerata quella capace di “durare” di più tra quella in paglia del primo fratellino e quella in legno del secondo. So che questa è un'opinione difficile da condividere, nessuno è infatti portato a supporre che una costruzione in mattoni possa essere più fragile di una in legno e, soprattutto, di una in paglia; non ritengo tuttavia che la “morale” del racconto ci voglia condurre a calcolare l'effettiva robustezza dei tre materiali, la mera resistenza ai carichi verticali o orizzontali. Tra l'altro, proprio dal punto di vista della stabilità della struttura portante alle sollecitazioni del vento, giusto per rimanere in tema con la storia, non è vero che quella in mattoni, tra le tre case, sia quella in grado di offrire maggiore sicurezza al suo abitante. Certi venti sono così impetuosi, così inarrestabili, che chi deve costruire un riparo in loro presenza preferisce assecondarli piuttosto che arginarli, lasciare che, senza fare danni, attraversino i margini che racchiudono lo spazio, piuttosto che fermarli con elementi sempre più rigidi. In luoghi dove i venti sono costanti e violenti le strutture sono, al contrario di quanto si possa immaginare, leggere, flessibili e soprattutto permeabili, disposte a piegarsi senza spezzarsi, ad aprirsi e spostarsi piuttosto che a soccombere alle forze esterne.
Non solo, oltre tali considerazioni di tipo strutturale e morfologico, si deve riconoscere che la casa apparentemente più “robusta” non sia anche la più la più idonea a rappresentare durevolmente i suoi “contenuti”, i criteri cioè legati ai principi dell'abitare, agli usi, alle abitudini, alle tradizioni e ai riti di chi sceglie di vivere in quei determinati ambienti.
I “principi dell'abitare”, infatti, a cui i due schemi fanno riferimento - uno apparentemente debole come la tenda e l'altro forte e fermo dettato dalla stabilità come una struttura in pietra o in laterizio - sono chiaramente diversi: logiche insediative, assimilabili agli archetipi della capanna e della grotta, che si basano su presupposti culturali, sociali e antropologici divergenti.
Uno impostato sulla persistenza di riti e comportamenti che prescindono dal luogo, dalla delimitazione dello spazio e dalla saldezza del margine; l'altro basato invece sulla stabilità dell'ambiente perimetrato, fondato e radicato in un determinato contesto di cui diventa parte integrante, di cui è interpretazione e sintesi.
Il primo modo di abitare prevede la labilità della forma dell'involucro, al limite della sua inconsistenza, a fronte di una permanenza dei valori insediativi, delle relazioni interpersonali e dei legami sociali che rendono un luogo qualsiasi (in cui si è) un “luogo domestico”; l'altro suggerisce una chiarezza della forma dello spazio, una morfologia significante, ma palesa anche una difficoltà ad adeguarsi alle mutazioni culturali, alle variazioni del gusto e delle aspettative della società. Paradossalmente ciò che è più stabile fisicamente rischia un'obsolescenza precoce dei contenuti, mentre ciò che è strutturalmente indefinito ma tradizionalmente riconosciuto, conserva e preserva i significati condivisi più a lungo.
Tra questi due estremi, tra la massima labilità e l'apparente fermezza, tra il nomadismo e la stanzialità, la fiaba da cui siamo partiti, inserisce la casa in legno che, effettivamente, si pone in equilibrio tra i due principi, tra i diversi modi di interpretare il senso di abitare, contemplandoli entrambi.
La casa in legno esprime con efficacia una cultura definibile della “leggerezza insediativa”, in cui è evidente la capacità di leggere ed eleggere i luoghi e lo spazio secondo principi di flessibilità, trasformabilità e adattabilità, ma anche di interpretare un luogo, di dare forma compiuta allo spazio domestico, di comunicare con chiarezza le aspettative tanto del singolo quanto della collettività, e inoltre di sapersi rendere autonoma dal contesto, di astrarsi cioè dalla natura, pur reinterpretando le sue logiche più intime.
La cultura di edificare con il legno i luoghi dove vivere è spesso paragonata a quella dei grandi costruttori di imbarcazioni, di coloro cioè che sono capaci di definire uno spazio da abitare mobile, in grado di viaggiare, di esprimere cioè, una stabilità di significati in ogni luogo, senza mai risultare ad esso estraneo.
La nostra cultura mediterranea, purtroppo, ci porta naturalmente a credere, alla lettera, alla fiaba dei tre porcellini, ad assecondare la cultura della solidità, della stabilità e del recinto che delimita e racchiude i sensi della natura. Il legno viene letto in maniera superficiale più come espressione “tipica” di determinate regioni che per le sue potenzialità tecnologiche e costruttive che lo rendono un materiale adatto ad assolvere appieno le esigenze contemporanee.
Costruire con il legno significa confrontarsi con un materiale nobile e complesso, capace di dare forma ad idee ardite e sofisticate, lievi e adattabili, in grado di avvolgere l'uomo in una atmosfera carica di storia, tradizione e valori, densa di racconti profondi, scritti con venature flessuose e nodi immobili.


03 febbraio 2014

... e tu scrivimi, scrivimi se ti viene la voglia... (De Gregori)

Non so perché ho messo la lettera ricevuta sul blog. Forse non dovevo, ma mi è sembrata così "importante" da non poterla tenere solo per me. Non è infatti una lettera "personale", non tratta di me, ma parte dall'occasione del mio libro per parlare di "cose" che ci interessano. Di architettura, di didattica, di scuola e di relazioni tra le generazioni. Insomma troppo importante per tenerla solo per me. Per cui l'ho condivisa, ringraziando personalmente l'autrice, di cui ho preservato tuttavia la privacy. E dal numero di quanti l'hanno letta devo dire che l'avete molto apprezzata.

Chi scrive un libro sa che qualcuno lo leggerà, e in fondo può anche non importargli se piace o non piace. Ci sono le statistiche di vendita che fanno capire se il libro vende molto o poco, ci sono le critiche e le recensioni. Questo vale però per i libri-libri. "Lettera e non solo" non è un vero libro. Vuole effettivamente aprire un dialogo, provocare e stimolare, suggerire e ricevere riscontri. Insomma è un frammento aperto di un dialogo impossibile.
Per questo non posso che essere felice che a tratti divenga un dialogo vero. Molti mi hanno scritto, anche solo due righe, ma anche molto studenti si sono presentati a chiedere di essere seguiti per una tesi di laurea o un loro esame a seguito del libretto. Insomma molto timidamente, molto meno di quanto mi aspettassi certo, ma comunque il modo irriverente di rivolgermi al lettore un minimo ha rotto il muro tra lettore e scrittore. Tra chi dice quello che vuole e chi si ritrova quelle pagine in mano.

Per cui davvero vorrei che tutti scrivessero le loro lettere. Non a me direttamente, ma ai propri amici,  a genitori che li mantengono agli studi, o a nessuno in particolare come ho fatto io. Ma scrivere quello che si pensa, quello che si immagina possa e debba essere il mestiere dell'architetto. E prima ancora quello dello studente di architettura.
Io, per quanto mi riguarda, sarò sempre pronto a leggere tutto di tutti.
Grazie.