Molti rimarranno delusi da quanto sto
per dire, ma la fiaba dei tre porcellini e del lupo che distrugge le
loro case, con un soffio, è falsa. Personalmente non credo infatti
che, come ci narra la favola, la casa in mattoni debba essere
considerata quella capace di “durare” di più tra quella in
paglia del primo fratellino e quella in legno del secondo. So che
questa è un'opinione difficile da condividere, nessuno è infatti
portato a supporre che una costruzione in mattoni possa essere più
fragile di una in legno e, soprattutto, di una in paglia; non ritengo
tuttavia che la “morale” del racconto ci voglia condurre a
calcolare l'effettiva robustezza dei tre materiali, la mera
resistenza ai carichi verticali o orizzontali. Tra l'altro, proprio
dal punto di vista della stabilità della struttura portante alle
sollecitazioni del vento, giusto per rimanere in tema con la storia,
non è vero che quella in mattoni, tra le tre case, sia quella in
grado di offrire maggiore sicurezza al suo abitante. Certi venti sono
così impetuosi, così inarrestabili, che chi deve costruire un
riparo in loro presenza preferisce assecondarli piuttosto che
arginarli, lasciare che, senza fare danni, attraversino i margini che
racchiudono lo spazio, piuttosto che fermarli con elementi sempre più
rigidi. In luoghi dove i venti sono costanti e violenti le strutture
sono, al contrario di quanto si possa immaginare, leggere, flessibili
e soprattutto permeabili, disposte a piegarsi senza spezzarsi, ad
aprirsi e spostarsi piuttosto che a soccombere alle forze esterne.
Non solo, oltre tali considerazioni di
tipo strutturale e morfologico, si deve riconoscere che la casa
apparentemente più “robusta” non sia anche la più la più
idonea a rappresentare durevolmente i suoi “contenuti”, i criteri
cioè legati ai principi dell'abitare, agli usi, alle abitudini, alle
tradizioni e ai riti di chi sceglie di vivere in quei determinati
ambienti.
I “principi dell'abitare”, infatti,
a cui i due schemi fanno riferimento - uno apparentemente debole come
la tenda e l'altro forte e fermo dettato dalla stabilità come una
struttura in pietra o in laterizio - sono chiaramente diversi:
logiche insediative, assimilabili agli archetipi della capanna e
della grotta, che si basano su presupposti culturali, sociali e
antropologici divergenti.
Uno impostato sulla persistenza di riti
e comportamenti che prescindono dal luogo, dalla delimitazione dello
spazio e dalla saldezza del margine; l'altro basato invece sulla
stabilità dell'ambiente perimetrato, fondato e radicato in un
determinato contesto di cui diventa parte integrante, di cui è
interpretazione e sintesi.
Il primo modo di abitare prevede la
labilità della forma dell'involucro, al limite della sua
inconsistenza, a fronte di una permanenza dei valori insediativi,
delle relazioni interpersonali e dei legami sociali che rendono un
luogo qualsiasi (in cui si è) un “luogo domestico”; l'altro
suggerisce una chiarezza della forma dello spazio, una morfologia
significante, ma palesa anche una difficoltà ad adeguarsi alle
mutazioni culturali, alle variazioni del gusto e delle aspettative
della società. Paradossalmente ciò che è più stabile fisicamente
rischia un'obsolescenza precoce dei contenuti, mentre ciò che è
strutturalmente indefinito ma tradizionalmente riconosciuto, conserva
e preserva i significati condivisi più a lungo.
Tra questi due estremi, tra la massima
labilità e l'apparente fermezza, tra il nomadismo e la stanzialità,
la fiaba da cui siamo partiti, inserisce la casa in legno che,
effettivamente, si pone in equilibrio tra i due principi, tra i
diversi modi di interpretare il senso di abitare, contemplandoli
entrambi.
La casa in legno esprime con efficacia
una cultura definibile della “leggerezza insediativa”, in cui è
evidente la capacità di leggere ed eleggere i luoghi e lo spazio
secondo principi di flessibilità, trasformabilità e adattabilità,
ma anche di interpretare un luogo, di dare forma compiuta allo spazio
domestico, di comunicare con chiarezza le aspettative tanto del
singolo quanto della collettività, e inoltre di sapersi rendere
autonoma dal contesto, di astrarsi cioè dalla natura, pur
reinterpretando le sue logiche più intime.
La cultura di edificare con il legno i
luoghi dove vivere è spesso paragonata a quella dei grandi
costruttori di imbarcazioni, di coloro cioè che sono capaci di
definire uno spazio da abitare mobile, in grado di viaggiare, di
esprimere cioè, una stabilità di significati in ogni luogo, senza
mai risultare ad esso estraneo.
La
nostra cultura mediterranea, purtroppo, ci porta naturalmente a
credere, alla lettera, alla fiaba dei tre porcellini, ad assecondare
la cultura della solidità, della stabilità e del recinto che
delimita e racchiude i sensi della natura. Il legno viene letto in
maniera superficiale più come espressione “tipica” di
determinate regioni che per le sue potenzialità tecnologiche e
costruttive che lo rendono un materiale adatto ad assolvere appieno
le esigenze contemporanee.
Costruire con il legno significa
confrontarsi con un materiale nobile e complesso, capace di dare
forma ad idee ardite e sofisticate, lievi e adattabili, in grado di
avvolgere l'uomo in una atmosfera carica di storia, tradizione e
valori, densa di racconti profondi, scritti con venature flessuose e
nodi immobili.