Facciamo un paragone tra realtà
virtuale e materiale, tra spazio potenziale e fisico, tra strumenti
divenuti di uso comune per la comunicazione e luoghi concreti per le
relazioni.
Gli apparecchi multimediali
contemporanei con cui accedere a “contatti” immateriali – ma
comunque concreti – sono dotati, com'è noto, di una parte di
sistema dato e comune a tutti gli apparecchi che contempla, tuttavia,
la possibilità di essere personalizzato nella sua gestione e nella
sua visualizzazione. Gli smartphone o
i tablet, ad esempio, hanno una consistenza fisica e un
sistema operativo che li rendono tutti uguali, ma sono altresì
predisposti per essere, nell'interfaccia con l'utente, totalmente
“customizzabili”, resi cioè unici dalla volontà
dell'utilizzatore che se ne impossessa, agendo su di esso, attraverso
scelte che gli sono proprie, che fanno di quello strumento il proprio
personale oggetto.
Questa fu, all'inizio, la filosofia dei
prodotti Apple che, dietro il suffisso “i” dei suoi prodotti
(iMac, iPhone, iPad), non solo celava il termine “interactivity”
ma anche “I”, inteso come io, proprio perché capaci di
avere un carattere unico e riconoscibile. Oggi tutto questo è
acclarato tanto che, tale modo di intendere un prodotto, altrimenti
banalmente funzionale o espressivo, ha influenzato ogni tipo di
oggetto capace di avere una relazione esclusiva con il suo
utilizzatore; sistemi manipolabili – in fase di acquisto o di
utilizzo – più che “cose” determinate: dalle automobili, che
possono essere scelte in infinite configurazioni e varianti, fino a
tutti quei prodotti digitali che prevedono il “riconoscimento”
del profilo dell'utente e quindi l'adattamento ai diversi gusti e
abitudini dei vari potenziali fruitori. Tale modalità, che rende i
prodotti sempre più disponibili ad una interazione reale e profonda
con l'uomo, è stata concretamente recepita anche dal mondo del
furniture design, degli oggetti che invadono gli spazi
domestici, concepiti non più solo per assolvere determinati bisogni
ma anche per soddisfare esigenze di gusto e, soprattutto, di
rappresentazione del modo di concepire i luoghi di svolgimento della
vita.
L'architettura invece, per molti versi,
è ancora condizionata da presunte ideologie che la ingessano in una
inutile rincorsa a tipizzare i comportamenti, ovvero si svuota di
ogni contenuto innovativo, perde la sua funzione di immaginare nuovi
e più aggiornati stili di vita, rimanendo vittima delle esigenze di
un mercato che vede la banalità come obiettivo tranquillizzante per
rispondere ad una utenza priva di reali richieste. In particolare
l'architettura domestica, quella che ha costruito nel dopoguerra i
gusti e le aspettative della società odierna, che ha saputo fare
ricerca anche nelle maglie stringenti delle esigenze del mercato
immobiliare, sembra essersi chiusa in posizioni di retroguardia. A
parte pochi esempi virtuosi, tesi comunque a innovare le relazioni
tra i fruitori più che le loro effettive azioni, cede alla
tentazione di essere solo edilizia, prodotto standardizzato per un
consumo veloce e privo di particolari pretese.
Oggi il progetto di interni o si
rivolge ad una fascia di utenti che si possono permettere un progetto
“su misura”, che equivale ad una sartoria d'eccellenza prossima
all'alta moda, oppure si è stabilizzato su standard del tutto
scollegati dalla realtà domestica quotidiana; cioè o risponde in
maniera dettagliata a esigenze chiaramente espresse, oppure si svuota
di contenuti al fine di essere il mero contenitore tecnologico di
oggetti aggiunti ma non integrati.
Quello che invece l'architettura, ed il
progetto di interni in particolare, dovrebbe oggi prevedere è una
base di dotazioni certe e una flessibilità di utilizzo, nonché di
adattamento al gusto e alle mode.
L'interattività, di cui allo slogan
della Apple ai suoi esordi, rimane ancora la chiave per spostare
l'attenzione dalle cose agli utenti, dalla tecnologia al suo
utilizzo, dalle prestazioni al benessere che deriva dal
soddisfacimento fisico e psicologico dei bisogni espressi.
Che significa “personalizzare” lo
spazio? Con tale termine non si vuole indicare la prassi arredativa o
allestitiva dello spazio. Anzi, proprio ritenendo che lo spazio
abitativo sul mercato non debba essere proposto “vuoto”, in
attesa di una qualsiasi definizione d'uso e di vita, ma già con un
suo carattere corroborato da contenuti profondi, non è quindi nella
mera disposizione di arredi e suppellettili che avviene l'atto di
identificazione tra l'uomo e il suo habitat privato. Rendere
adattabile e unico un luogo implica che esso preveda, già nella sua
ideazione, sufficienti margini di flessibilità e trasformabilità
che devono essere propri del suo carattere espressivo, affine cioè
ai suoi contenuti, oltre che una condivisione di scelte e soluzioni
in fase esecutiva.
Il progetto di interni contemporaneo
dovrebbe prevedere prestazioni garantite in un assetto potenzialmente
variabile, opportunità stabili in un sistema invece flessibile. I
luoghi domestici non sono, infatti, più fermamente stabiliti da
comportamenti uniformi e condivisi come un tempo, quando una stanza
vuota, una volta arredata con gli idonei mobili, assumeva
immediatamente la forma delle relazioni interpersonali previste dalla
funzione. L'abitare odierno è di per sé privo di schemi tipologici
capaci di assolvere modi di vita prestabiliti, ogni luogo è
inventato di volta in volta ed è in grado di assumere infinite
configurazioni sulla base di esigenze sempre dinamiche. La
miniaturizzazione degli apparati d'uso corrente, l'assenza di cavi e
connessioni, la portabilità di strumenti e oggetti, non prevedono
una loro collocazione determinata, invitano quindi a inventare gli
spazi che, comunque, non hanno più un confine fisico, ma che
risultano essere il punto di partenza da cui scrutare realtà
materiali e virtuali, attraverso cui conoscere e comunicare, in una
dimensione totalmente atopica.
Lo spazio domestico è forma
dell'abitare, ma se i principi dell'abitare non sono rappresentabili
da modalità univoche, non sono stabili e ripetitivi, allora lo
spazio stesso deve essere mutevole e interattivo, personalizzabile
nel senso più profondo di qualcosa che possa divenire, in ogni
momento, l'immagine di chi lo abita.
Permettere margini di personalizzazione
non significa, in definitiva, un progetto di architettura più
debole, piuttosto comporta il coraggio di immaginare scenari sempre
diversi in cui l'uomo, alla ricerca del proprio modo di essere, possa
rappresentare le proprie inquietudini e soddisfare le più intime
aspettative con maggiore forza, coerentemente con lo sviluppo della
società di cui è parte.