Uso questo esempio perchè ritengo che definisca un modo di pensare diffuso, quello cioè che i nuovi modelli di abitare coincidano come le prestazioni degli edifici, che i contemporanei spazi residenziali si possano costruire grazie alla capillare dotazione di apparecchi sempre più sofisticati in grado da renderne più efficiente e comoda la gestione. Non a caso, ognuno di questi apparecchi ricevuti in regalo mi invita a comprare altri strumenti analoghi capaci di sempre più sorprendenti interazioni e quindi artefici di una gestione sempre più efficiente, ecologica e “personale” della casa.
Eppure confesso che da quando li ho ricevuti – e diligentemente istallati – i miei regali giacciono pressocchè inutilizzati in giro per la casa, occupando inutilmente spazio sugli scaffali delle librerie: l’assistente risponde a tono correttamente solo a domande così banali di cui non se ne percepisce l’effettiva necessità, il termostato, dopo che ha cercato di imporre le sue regole circa la temperatura, l’apertura delle finestre, il ricambio d’aria e le fasce orarie, è stato ridotto ad uno sproporzionato interruttore del tutto analogo a quello antiquato che avevo prima, l’autoparlante è così piccolo che, puntualmente, non lo trovo quando mi serve e alla fine continuo a tenere il volume del vecchio impianto hifi al massimo in modo che si senta in tutta la casa (e non solo). Se dovessi limitarmi alla mia esperienza potrei quindi affermare, senza ombra di dubbio, che la domotica non rappresenta il modo per dare forma ai nuovi modi di vivere lo spazio domestico; infatti, alla luce della rivoluzione digitale che viviamo, la tecnologia non da senso alle nuove esigenze di chi l’ha accolta in pieno e, altresì, non invita o suggerisce un cambiamento o un rinnovamento a coloro che non l’hanno accettata del tutto.
Come chiarisce Alessandro Baricco nel suo libro The game[1], non ci dobbiamo chiedere come risolvere le conseguenze della rivoluzione digitale ma comprendere le ragioni che hanno permesso, e in fondo voluto, che tale rivoluzione avvenisse. Lo scrittore infatti sposta il problema dal come affrontare le conseguenze sociali, relazionali e comunicative derivanti dalla diffusione, oltre il prevedibile, delle tecnologie digitali, tanto da considerarle invasive, al fatto che tali soluzioni erano desiderate, sperate e che quindi sono state progettate e concepite proprio per modificare il mondo in cui viviamo, alterarne le regole, costruire nuovi scenari e modelli sociali.
Eppure, se la rete, i social, l’e-commerce hanno modificato le nostre abitudini tanto da cambiare ritmi, regole, riti quotidiani, modi di comunicare e di interagire con gli altri, gli spazi dove tutto questo avviene, i luoghi dove si svolge la vita dei nuovi utenti digitali, sono rimasti pressoché uguali a se stessi, sono diventati la scena, spesso fuori contesto, delle nuove relazioni e interazioni, siano essere virtuali che reali.
Lo spazio domestico, per quanto arricchito di dotazioni capaci di prestazioni prima inimmaginabili, sebbene connesso a chiunque e ovunque, non ha accolto nessuna riflessione sui comportamenti suggeriti dalle nuove tecnologie, non ha indagato le nuove necessità nè provato a dare forma ai nuovi bisogni, non esplicitamente espressi, ma comunque evidenti; soprattutto non si è posto il problema di rappresentare, comunicare e trasmettere i nuovi “stili di vita” individuando i caratteri espressivi della contemporaneità.
I linguaggi e le nuove morfologie che caratterizzano l’architettura, come gli oggetti e le suppellettili, come l’aspetto degli interni, producono innovazioni formali perchè autonomamente portatrici di un valore espressivo, eppure scisse dai contenuti dei principi che sostanziano l’abitare.
A supporto di tali affermazioni, e per maggiore chiarezza, aggiungo una ulteriore esperienza personale sempre legata alle festività appena terminate: avendo viaggiato in Marocco ho avuto la possibilità, in diverse città, di conoscere e apprezzare la casa tradizionale di questo Paese, dimore sia ricche che molto umili basate sullo stesso principio – stanze e ambiti funzionali gerarchicamente organizzati intorno ad un vuoto centrale, spesso su più livelli –, abitazioni oggi destinate soprattutto ad accogliere i turisti che intendono soggiornare nelle parti antiche – nelle medine – di tali contesti urbani. Ebbene, tali case esprimono ancora oggi, con estrema chiarezza, una cultura dell’abitare che è coerente con le abitudini, i riti domestici, la cultura, i ruoli dei generi, la religione, per non dire del clima, dei materiali e della tradizione artistica e decorativa; cultura dell’abitare che è però cambiata nelle esigenze contemporanee. Per quanto i riad a disposizione dei turisti vengano adeguati all’uso temporaneo attraverso l’aggiunta di servizi igienici derivati dalla cultura europea e dotati di impianti di climatizzazione, è evidente che essi vengono utilizzati per evocare un’atmosfera che soddisfi l’immaginario del turista; tali dimore non corrispondono più nè alle esigenze tecniche nè a quelle sociali della popolazione locale che, attenta ai valori della tradizione, è comunque inserita nella cultura globale digitale. Le nuove abitazioni che il mercato offre, con riferimento particolare a quelle rivolte ad una fascia acquisitiva medio/bassa, propongono tipologie edilizie correnti, del tutto simili a quelle europee, che niente hanno a che fare con le tradizioni abitative locali e, al contempo, ancora non riescono ad assecondare i modelli di vita suggeriti dai nuovi comportamenti. Tale situazione, evidente quanto stridente in tali Paesi, è comunque un problema internazionale, investe il nord come il sud del mondo, l’oriente come l’occidente; è una condizione in cui i modelli abitativi si ripetono sempre più schematicamente e banalmente, riducendo l’aderenza alle aspettative della società, rinunciando a dare forma alla cultura del tempo, offrendosi come mezzi per soddisfare bisogni primari, dove l’aderenza agli stili di vita in evoluzione è demandata a meccanismi in grado di gestire e assecondare le abitudini odierne.
La casa oggi viene vista come uno strumento inespressivo, forse uno dei più antiquati, bisognoso di un upgrade prestazionale, in cui svolgere attività imprescindibili, e di cui si farebbe volentieri a meno: dormire, cibarsi, lavarsi, lavorare, insomma vivere.