Cold War Kitchen” – non tanto sulle forme o le tecnologie esposte, quanto sul fatto che la cucina, per quanto proponesse soluzioni ancora ben lunghi dal poter essere effettivamente realizzate, in realtà suggeriva, sulla base dei principi tayloristi di efficienza, produttività e ottimizzazione, un modello di casalinga, e quindi di famiglia, improntato al controllo, quasi di “stampo militare”, di ogni azione del quotidiano. In un’ottica gerarchica delle relazioni private, come di quelle pubbliche, quanto messo in mostra delineava una visione del mondo fatta di compiti e responsabilità, di capacità di controllo e comando, gestito da uomini e donne formati per svolgere i compiti assegnati dall’ordine politico.
Il modello americano della casalinga – ovviamente bianca, della classe media ed eterosessuale come sottolinea Sarah Kember in un suo saggio[1] – assume, nella sua della casa del futuro, con felicità e con soddisfazione, il ruolo di gestione e controllo di utensili e apparati sofisticati e capaci di modificare il suo ruolo in ambito domestico, affermando quindi un nuovo modello di vita – non solo personale ma dell’intera società – in cui il benessere sarebbe giunto grazie alla tecnologia che avrebbe reso sempre più semplice la gestione e lo svolgimento di compiti e di obblighi quotidiani.
Le sperimentazioni e le previsioni più avanzate rispetto agli scenari di vita del futuro, in quegli anni, immaginano forme e materiali nuovi, fino ad allora mai usati in ambito edilizio – House of the Future di Alison e Peter Smithson (1956), General Motors Kitchen of Tomorrow nel film Design for dreaming (1956), Monsanto House of future (1957) – che vedono nell’innovazione tecnologica l’unica possibilità di influire e definire i nuovi stili di vita.
Se da un lato è oggettivo che nel dopoguerra l’avvento degli elettrodomestici per la casa cambia radicalmente il ruolo della casalinga, affrancandola da lavori pesanti e ripetitivi, dall’altro è pur vero che il miglioramento della condizione lavorativa in ambito familiare non coincide con un effettivo riconoscimento del valore della figura femminile, né di una diversa visione del mondo. La conquista del tempo libero di ogni componente della famiglia, grazie alla semplificazione di lavori domestici, di spostamenti e di comunicazione per mezzo di ingegnosi strumenti innovativi, non innesca quel processo di evoluzione della società in chiave di maggiore libertà, cultura e conoscenza. Il beneficio derivante dalle nuove macchine è indotto e controllato dallo Stato che, nel creare l’aspettativa e indurre il bisogno, ne afferma l’indispensabilità pur limitandone i vantaggi, affinché essi coincidano con la rappresentazione della società che vuole promuovere. La tecnologia infatti non determina o rende possibile automaticamente il futuro, inteso come evoluzione della società e dei principi su cui essa si fonda; essa in realtà definisce visioni possibili che appartengono al presente e che sono gestite da chi la produce e la controlla.
[1] S. Kember , Sexing the smart home, in E. Steierhoffer, J. McGuirk, Home futures, Design Museum Publishing, London 2018, p. 276.