Più di dieci anni fa la rivista internazionale di architettura AREA si interessò e pubblicò alcune riflessioni teoriche sulla decorazione1 frutto di ricerche condotte, in ambito scientifico tra Napoli e Milano, a partire dalla metà degli anni '90; in un periodo cioè in cui gli esiti poco felici e le critiche al post-modern avevano praticamente escluso dalla prassi progettuale qualsiasi riferimento stilistico creando un diffuso consenso verso un atteggiamento minimalista ritenuto scevro da linguaggi2.
Erano tempi in cui parlare di stile, di apparati decorativi, di ornamento, di matrici ordinatrici, di linguaggio architettonico, significava essere indicati come fautori di un ritorno al passato. Anni in cui, inoltre, le uniche vere sperimentazioni linguistiche erano prodotte dalla ricerca tecnologica – high tech – ovvero dall'esperienza di nuove forme espressive autonome.
Insomma, ora come allora, persiste l'incertezza su cosa si debba realmente intendere per decorazione in architettura o nel design, confondendo la ricerca di un carattere espressivo e di una grammatica comunicativa atta a relazionarsi col mondo circostante, con una presunta mancanza di “purezza” della forma essenziale.
Forma pura che in realtà non esiste in quanto la decorazione, in architettura, “è per principio superflua, ma la sua superfluità, lungi dal renderla eliminabile, mostra l'esistenza di un necessario che travalica lo stesso principio di funzione, […] chiunque cerchi di eliminarla si troverà inesorabilmente, e a volte angosciosamente, davanti al suo fantasma”3.
In tale contesto storico e critico si manifestano nuove ricerche che invece fanno esplicito riferimento alla decorazione e al rapporto tra involucro e spazio e, in particolare, tra pelle dell'involucro e struttura dei margini. Architetture, come quelle di Herzog e De Meuron - solo per fare un esempio – che, già dalla fine degli anni '90, propongono un attento lavoro di analisi e di approfondimento sul rapporto tra superficie e spazio, tra “abito” e struttura costruttiva, tra narrazione e comunicazione.
Tale tipo di ricerca, non relativa solo all'architettura, ma applicata anche nel campo del disegno degli interni, dei complementi di arredo e del design, permette di focalizzare l'attenzione direttamente sui valori e sulle potenzialità del portato espressivo della scrittura delle superfici, della decorazione. A partire dalla presa di coscienza della sua possibile autonomia rispetto al corpo che la supporta, del doppio livello di comunicazione dato cioè dalle necessità tecniche costruttive rispetto a quelle descrittive e comunicative, si assiste a sperimentazioni che sempre più entrano nel merito delle regole e delle ragioni stesse dei fenomeni stilistici e decorativi.
Lo studio di pattern storici, basandosi sulla consuetudine e riconoscibilità di forme derivanti dalla tradizione, introduce il concetto di fuori scala di dettagli grafici delle decorazioni, l'estrapolazione di singoli segni, l'inversione di pieni e vuoti, di positivo e negativo, la materializzazione di tracce solo bidimensionali in superfici e oggetti che guadagnano lo spazio e conquistano una fisicità del tutto inedita.
In questi ultimi anni si assiste ad una inversione di tendenza anche del mercato edilizio ed arredativo che, facendo proprie tali indicazioni, propone prodotti e componenti costruttive (reti stirate, lamiere microforate, vetri serigrafati), finiture per gli interni (rivestimenti personalizzabili con texture e disegni a scelta), oggetti di design (oggetti fuori scala, trasformazione di pezzi esistenti, ridisegno della tradizione), istallazioni multimediali ed artistiche (scenografie urbane mutevoli, comunicazione interattiva) che sempre più entrano in contatto con i luoghi di vita quotidiana, agendo sulla decorazione come strumento per sottolineare i contenuti ed i sensi dell'abitare.
Tale atteggiamento non persegue l'obiettivo di proporre uno stile della contemporaneità, non cerca di suggerire linguaggi e parole capaci di essere compresi da tutti, quanto piuttosto consente di identificare insiemi di “utenti” che scelgono criticamente e indossano l'“abito” che ritengono più opportuno per mettere in scena il loro tempo. Si tratta quindi più della definizione di uno status architettonico, del rapporto cioè tra il singolo e i suoi simili, declinato attraverso la forma dello spazio e degli oggetti; relazione instabile ed effimera, soggetta alle variazioni del gusto e delle mode, capace tuttavia di recuperare importanti modalità del fare, talvolta trascurate o marginalizzate.
2 Va infatti sottolineato che un linguaggio, per così dire, più essenziale, dalle linee rigorose, non è un linguaggio “non decorativo”, non realizza cioè spazi o oggetti non decorati, è semplicemente un tipo di decorazione geometrica riferita a materiali e colori, trame e texture che nel complesso realizzano un aspetto più severo.
3R. Masiero, Elogio della decorazione contro la superficialità, in Rassegna 41/1 marzo 1990, I sensi del decoro.