Chi ha cominciato a lavorare professionalmente negli anni '80 si ricorderà di quanto, alcuni comuni componenti per l'edilizia, fossero inadeguati alle aspettative dei progettisti che dovevano ricorrere a sperimentazioni artigianali per risolvere taluni nodi, dal valore non solo tecnico bensì linguistico ed estetico, fondamentali nella definizione del senso dell'interno architettonico.
E' negli anni '90 che il mercato comincia a proporre su larga scala soluzioni innovative per problemi ordinari, come ad esempio sistemi per porte scorrevoli a scomparsa, dotate di una cassa metallica in continuità con le pareti, oppure porte “invisibili” dal telaio in alluminio molto sottile; costruendo così una reale alternativa all'uso banale di controtelai, telai, coprifilo, binari e cassonetti.
La porta, nella ricerca di un linguaggio dell'architettura, col suo dettaglio tecnico della cornice, e quindi di un componente nato per celare la congiunzione di tre materiali distinti - muro, controtelaio e telaio – rappresenta una tradizionale modalità del fare basata sul dissimulare, con un elemento estraneo, il punto di attacco più difficile.
Storicamente infatti, la soluzione per mettere in relazione due parti dai comportamenti diversi, è quella di cancellare il punto dolente e di proporre alla vista un nuovo componente - la mostra per la porta, il battiscopa per il pavimento, il gessolino per il soffitto, il salvaspigolo per un angolo di un mobile o di un rivestimento - il cui disegno, evidente e spesso ricco, lo assolve dall'essere un pezzo aggiunto per mettere in ombra un attacco di complessa risoluzione. Nodo tecnologico di incontro non solo tra materiali diversi ma anche tra professionalità distinte, tra artigiani da coordinare e far collaborare in cantiere.
Tutto questo finalmente sparisce nella contemporaneità con elementi sempre più innovativi che, nel nome dell'essenzialità della forma, rendono, in maniera sofisticata, “non visibile” tale punto di contatto tra parti mobili e fisse, tra materiali e funzioni differenti.
La ricerca architettonica, tuttavia, difronte a tale problema - come detto sia tecnico che di linguaggio espressivo - ha provato a rispondere non solo con soluzioni atte a non evidenziare tali punti di frizione, ma anche con modalità tese a mostrare tutte le parti partecipanti al processo costruttivo cercando, nella giustapposizione dei diversi elementi, una chiarezza espressiva, onesta e palese, tale da divenire, essa stessa, forma del dettaglio.
Rimanendo nell'ambito del problema dell'attacco tra la porta e la parete, c'è chi, nel nome della tettonica, della costruzione capace di divenire forma espressiva, ha lasciato in vista tutte le parti in gioco, palesandole, e rendendo la stratificazione un motivo decorativo.
Mi riferisco a quella tradizione del moderno dove, la ricerca di un linguaggio scaturente dall'onestà dei processi costruttivi, ha sperimentato nel tempo soluzioni del tutto innovative. Esemplare è in tal senso la scuola scandinava dove - dalla generazione di Asplund, Lewerentz, Aalto, passando a quella di Fehn, Utzon, Pietilä, fino ai contemporanei Hølmebakk, Hille, Jensen & Skodvin - l'onestà tettonica e l'essenzialità dei materiali naturali usati come struttura e non come rivestimento, hanno definito un modo di pensare ed intendere l'architettura più che un semplice metodo operativo.
Proprio gli infissi, sia interni che esterni, sono lo specchio più evidente di tale ragionamento sulla costruzione. Gli elementi “a perdere”, quelli cioè destinati a non essere lasciati a vista, vengono eliminati, quelli a contatto con l'uomo invece vengono esaltati, ed i distacchi tra sistemi diversi vengono enfatizzati e sottolineati. La porta che troviamo in Lewerentz come in Fehn e come ancora in Hille, nasce dalla giustapposizione di un telaio in legno avente lo stesso spessore della muratura in mattoni o in cemento e di un filo di neoprene o di silicone nero a creare un giunto elastico, nel punto più delicato, tra materiali che si comportano diversamente. Ancora più estreme sono le finestre (fisse) dove il solo vetro, sorretto da pinze metalliche, è sovrapposto alla muratura senza telaio alcuno e distanziato da un sottile strato di neoprene.
Tali dettagli diventano il manifesto di un intento culturale. Quello della riduzione e della semplificazione dei passaggi strutturali, quello dell'uso dell'indispensabile e della chiarezza costruttiva che diventa onestà espressiva.
Pertanto, a fronte del mercato dell'edilizia che offre soluzioni sempre più sofisticate e di qualità, è responsabilità del progettista scegliere le tecnologie adeguate a corroborare l'idea di architettura che intende proporre. La scelta del “non vedere” equivale a quella del “mostrare” purché ogni parte della costruzione sia coerente all'intento che si desidera comunicare. La tecnologia, in definitiva, rappresenta il mezzo e non il fine della narrazione architettonica.