cos'è architettura & co.

architettura & co. è stato pensato da paolo giardiello per mettere a disposizione di tutti, in particolare dei suoi studenti, i propri scritti, ricerche e riflessioni sull'architettura. il blog contiene testi pubblicati, versioni integrali di saggi poi ridotti per motivi editoriali, scritti inediti o anche solo riflessioni e spunti di ricerche. per questo non ha un ordine determinato, non segue un filo logico, ma rappresenta solo la sequenza temporale di occasioni in cui parlare di architettura, prima di farla "parlare", come invece dovrebbe, normalmente, essere.

19 ottobre 2012

shopping spaces



L'architettura delinea il volto della funzione, la mostra, la esprime; essa non risponde quindi solo a bisogni pratici ma si conforma in modo da comunicarne i contenuti. “La forma” infatti “non segue la funzione né può limitarsi a riflettere specularmente la struttura soggiacente, perché ha da svolgere un ruolo più importante: la rappresentazione dell'idea che sottende l'operaii.
Nel passato, rispetto alle funzione commerciale, la ricerca architettonica, partendo dai dati oggettivi del problema – esigenza di involucri chiusi, necessità di una forma riconoscibile coerente con la grafica corrispondente, spazi interni liberi e flessibili – è riuscita sempre a individuare i linguaggi più adatti agli spazi di vendita e di esposizioneiii.
Nella contemporaneità, invece, il mercato esige strutture sempre più complesse, non solo “negozi” ma luoghi capaci di incarnare l'immagine voluta dalla pubblicità, contenitori in grado di trasmettere, attraverso la forma costruita, l'idea stilistica, la qualità del prodotto, l'aggiornamento tecnologico, in definitiva la capacità della merce di incidere nelle proiezioni e nelle scelte di vita della società.
E' infatti evidente che ormai coloro che investono nella riconoscibilità di un marchio hanno come “obiettivo non quello di produrre i prodotti ma di produrre i consumatori, cioè di attrarre gli individui e di trasformarli in attori del suo mondoiv, al punto che gli stessi acquirenti si tramutano in inconsapevoli veicoli pubblicitari, in esempi viventi di una specifica way of life.
Trovare il linguaggio per tali luoghi, capirne il significato da trasmettere, non volendo solo assecondare le strategie del mercato, significa ricerca morfologia, linguaggio e tecniche di una architettura del tutto nuova, individuare cioè spazi e forme “significanti” in grado di ridare “autenticità” ai desideri dell'uomov.
Questo può avvenire restituendo ai luoghi (segnati dall'essere ormai privi di tale accezione e riconosciuti invece come “nonluoghi”) la possibilità di avere ancora identità, riconoscibilità e capacità comunicativa, al di là delle esigenze commerciali; tornando cioè a essere luoghi per l'uomo dove poter svolgere bisogni individuali, innescare processi di comunicazione, ricevere indicazioni e informazioni, potendo interagire ed intervenire autonomamente.
Quando il mercato vuole mettere ordine e agisce come luogo del potere e la merce come sua forma astratta, ecco che allora i luoghi dell'attraversamento diventano espressioni, in forma di oggetti, orari e regole dell'ordine istituzionale […] A questo punto la contraddizione tra l'ordine standardizzato della merci in uno spazio senza qualità e senza finalità, e la ricerca di percorsi individuali che parta dallo spazio interiore di ciascuno diventa opposizione del reale. Diventa rivolta contro l'Ordinevi.
Attualmente invece i luoghi di vendita palesano evidenti problemi di linguaggio. La grande distribuzione spesso si presenta sotto forma di anonimi contenitori tecnologici funzionali, circondati da sconfinati parcheggi, privi di carattere architettonico. Manufatti banali, dagli interni inquietanti caratterizzati da linguaggi roboanti in cui è perduta ogni corrispondenza tra esterno ed interno, tra forma e funzione, tra contenuto e immagine, anche a causa dell'estrema labilità e flessibilità degli spazi interni, della polifunzionalità e della temporaneità. Spazi introversi che non cercano un rapporto con l'esterno e che sono descrivibili solo attraverso i loro marchi e la grafica aziendale.
L'architettura, in questi casi, viene a mancare, relegata ad un ruolo “scenografico”, asseconda acriticamente le richieste del mercato o della pubblicità, non riuscendo a definire con precisione un lessico contemporaneo per tali contenitori funzionali.
Definire un linguaggio architettonico è invece possibile, ricercando un senso condiviso della funzione, un modo comune di intendere gli spazi, evidenziando le ragioni che conducono un fruitore in un determinato luogo e i motivi che lo invitano a restare e a tornare. Quello da eludere è che le strategie commerciali, le modalità di promozione dei prodotti o dei marchi, si sostituiscano al progetto di architettura, al disegno dell'habitat, auspicando invece che affianchino, arricchendole, le discipline demandate alla costruzione degli spazi destinati all'uomo: “il territorio”, infatti, “è il luogo di un ciclo finito della parentela e degli scambi – senza soggetto ma senza eccezioni: ciclo animale e vegetale, ciclo di beni e ricchezze, ciclo della parentela, ciclo delle donne e del rituale – dove non c'è soggetto e tutto si scambia”.vii
i Cfr. Giardiello P., iSpace. Oltre i nonluoghi, Letteraventidue, Siracusa, 2011
ii Gravagnuolo, B., “Semper e lo Stile”, in Semper G., Lo Stile, Laterza, Roma-Bari 1992, p. 369.
iii Si pensi, ad esempio, ai Magazzini Schocken di Erich Mendelson a Stoccarda del 1926-1928, ai Magazzini Rudolf Petersdorff di Erich Mendelson a Breslavia del 1927-1928, ai Grandi Magazzini La Rinascente di Franco Albini a piazza Fiume a Roma del 1957-1961, ai Magazzini De Bijenkorf di Marcel Breuer e A. Elzas a Rotterdam del 1957, al Centro Commerciale El Corte Inglés a Plaza Catalunya a Barcellona di Luis Blanco Soler del 1962.
iv Codeluppi, V., Il potere della marca: Disney, McDonald's, Nike e le altre, Bollati Boringhieri, Torino 2001, p. 28.
vSi veda a tal proposito il caso dei flagship store e flagship building, cioè di esercizi commerciali ed edifici emblematici di un marchio, come i progetti di Koolhaas per Prada, di UNStudio per Louis Vuitton, di Sheppard Robson per Armani, di SANAA per Christian Dior, di Toyo Ito per Tod's e di Lot-Ek per Puma.
vi Ilardi M., “La politica, il mercato, l'individuo ovvero la chiacchiera, l'ordine, la distruzione”, in Desideri P., Ilardi M. a cura di, Attraversamenti. I nuovi territori dello spazio pubblico, Costa & Nolan, Genova 1997, p. 8.
vii Baurillard, J., Simulacre et simulation, Èditions Galilée, Parigi 1981, trad.it. Simulacri e impostura. Bestie, Beaubourg, apparenze e altri oggetti, Pgreco, Milano 2009, p. 125.