cos'è architettura & co.

architettura & co. è stato pensato da paolo giardiello per mettere a disposizione di tutti, in particolare dei suoi studenti, i propri scritti, ricerche e riflessioni sull'architettura. il blog contiene testi pubblicati, versioni integrali di saggi poi ridotti per motivi editoriali, scritti inediti o anche solo riflessioni e spunti di ricerche. per questo non ha un ordine determinato, non segue un filo logico, ma rappresenta solo la sequenza temporale di occasioni in cui parlare di architettura, prima di farla "parlare", come invece dovrebbe, normalmente, essere.

31 gennaio 2013

C'era una volta un muro




"C'era una volta un muro", sarebbe un ottimo inizio per provare a raccontare, con semplicità, quasi si trattasse di una fiaba, a chi non vive con consuetudine il mondo dell'architettura, i principi, arcaici ma mai perduti, del costruire, del dare forma concreta ai principi dell'abitare. Un tempo dire muro, colonna o pilastro, non significava enunciare solo il nome di una componente strutturale, quanto suggerire un'idea di architettura, la possibile morfologia di uno spazio. Non solo, tale sostantivo sarebbe stato certamente accompagnato da un complemento di specificazione e cioè dalla precisazione del materiale con cui la struttura era concepita. Pertanto “c'era una volta un muro di pietra” sarebbe stata certamente una storia ben diversa da quella di un muro “di mattoni” o “di paglia” o “di terra cruda”.
I materiali storicamente sono stati quelli del luogo, quelli a portata di mano, noti nelle caratteristiche alle maestranze, adatti a sopportare il caldo o il freddo, la pioggia o la siccità in quel determinato territorio. I muri non sono mai stati tutti uguali in quanto ogni materiale, ogni spessore, ogni posa in opera lo avrebbe caratterizzato. Non si possono scegliere indifferentemente in quanto sono l'immagine stessa del luogo, l'idea che esso propone e che di esso si ha, lo strumento per radicare quel manufatto al territorio e, nel contempo, per rappresentarlo.
Questo, chi costruisce, lo ha sempre saputo, non solo per edificare in maniera conveniente e coerente, si direbbe oggi rispettando l'ambiente, ma anche per sfruttare al meglio il portato simbolico dei sistemi costruttivi, i linguaggi dei materiali e della loro posa in opera.
Perché la tecnica, vera o presunta, sostanziale o anche solo immaginata come rivestimento, su cui si basa la composizione strutturale diviene l'immagine stessa del carattere, la forma significante del manufatto da realizzarsi. Non a caso in architettura si parla di “decorazione tettonica” e cioè del linguaggio scaturente dalla corretta disposizione dei materiali secondo regole proprie della buona costruzione. La disposizione del materiale condiziona il pattern geometrico che suggerisce un proprio ordine e quindi la regola con cui misurare e comprendere lo spazio.
Costruire implica quindi prendere atto della "natura espressiva dei materiali", della loro capacità di rendere espliciti i sensi di cui nel tempo sono stati portatori, da quelli strutturali a quelli simbolici, narrativi ed evocativi. Lo spazio architettonico è definito infatti dalla struttura e si carica dei contenuti che questa suggerisce attraverso le proprietà del materiale con cui è realizzata, le matrici geometriche connesse alla sua posa in opera e la composizione derivante dalle regole costruttive.
In un'epoca in cui il principio del rivestimento è andato oltre il semplice scollamento tra materiale e struttura portante, e ha raggiunto una autonomia linguistica e narrativa attraverso tecniche e materie estranee alla storia del costruire, tornare a comprendere il portato dei materiali della tradizione significa prevedere una permanenza dei valori originari, ovvero un adeguamento dei loro significati arcaici. Per questo abbandonare il pregiudizio del muro quale supporto ingenuo di significati provenienti da altre forme espressive e tornare a far coincidere la sua sostanza di supporto necessario alla costruzione con il racconto dei sensi dello spazio che racchiude, significa radicalizzare il ruolo dell'architettura che altrimenti rischia di essere diluito in un mondo governato solo dal segno, dall'immagine.
Così un muro può essere davvero un muro, come un principe o un re in una favola, e cioè come un personaggio archetipo di cui ben si conosce il ruolo e il carattere, e svolgere adeguatamente il proprio compito non ibridato né compromesso da altre considerazioni aggiunte, il ruolo di diaframma di separazione tra spazio e spazio, tra interno ed esterno, tra natura ed artificio.
"C'era una volta un muro, capace di definire uno spazio privato, distinto dalla natura, dove accogliere e raccogliersi e con cui raccontare agli altri quello in cui si crede e ciò che si spera di diventare", potrebbe essere una bella storia da raccontare.