L'interesse
della Facoltà di Architettura di Napoli verso il recupero e la
valorizzazione dei cosiddetti "centri minori" è
testimoniato, sin dalla fine degli anni '90, dalle ricerche
effettuate dal gruppo di studiosi dell'area degli interni che,
attraverso pubblicazioni, tesi di laurea, seminari e workshop, hanno
cercato di affrontare, sia dal punto di vista metodologico, che
nell'impostazione teorica e culturale, il tema del riuso di
architetture, paesi, località e territori abbandonati o in parte
dismessi. Da quelle prime esperienze, originali, innovative ma anche
acerbe e anticipatrici, la questione dei piccoli centri, è oggi
divenuta di grande attualità; affrontata con differenti modi e
finalità, mostra con chiarezza fallimenti e successi di cui la
critica, il mercato, e la ricerca non possono non tenere in conto.
Il
recupero dei borghi o dei villaggi abbandonati non è più quindi
solo un problema disciplinare o scientifico, ma è un vero e proprio
caso imprenditoriale, un obiettivo politico, una necessità sociale
di cui si deve conoscere l'evoluzione per poterne immaginare le
prospettive.
Quest'ultimo
decennio è testimone quindi di teorie e di prassi, di esperienze e
di realizzazioni da cui possiamo estrapolare alcuni momenti che hanno
indirizzato e caratterizzato sia la ricerca che il progetto.
Una
fase, alla quale, in parte, ha contribuito anche la ricerca prodotta
dalle università, è stata proprio quella del riconoscimento
dei valori
di tali luoghi perduti. I fenomeni che causano l'abbandono infatti,
siano essi di tipo sociale, economico o culturale, prescindono dal
giudizio di valore su ciò che viene lasciato e fermano la loro
attenzione solo sulle ragioni scatenanti il processo, derivanti delle
opportunità o delle motivazioni pragmatiche che lo giustificano.
Tale fase di recupero dei valori è quindi uno stadio necessario, di
carattere introspettivo, di analisi, percezione e attivazione della
memoria collettiva e individuale e di presa di coscienza della storia
(quella con la “s” minuscola) vista attraverso il fluire
ininterrotto delle tradizioni.
Altro
momento fondamentale è quello che consente di riflettere e
intervenire sulla attribuzione
di nuovi contenuti,
e cioè sull'identificazione e definizione di principi, valori e
sensi atti a colmare il vuoto causato dal progressivo abbandono.
Vuoto fisico e fruitivo ma anche mentale e culturale; quindi la
scelta di destinazioni d'uso e indicazioni funzionali capaci di
adattarsi alle forme private del proprio contenuto e di restituirgli
nuovi e attuali significati. Questa fase è certamente la più
complessa in quanto prevede una valutazione non settoriale ma
pluridisciplinare: non esistono infatti soluzioni univoche capaci di
soddisfare le problematiche connesse alla rivitalizzazione di tali
luoghi se non derivanti dalla sintesi di analisi scaturenti da più
punti di vista tra loro relazionati.
Infine
vi è la fase operativa, o propedeutica alla progettazione, per la
quale è necessario definire le strategie
metodologiche
atte a raggiungere gli obiettivi prefissati. Tale circostanza, sempre
in evoluzione, negli ultimi anni ha prodotto alcune tra le
riflessioni più interessanti: la distinzione concettuale tra
recupero e restauro, l'indicazione di linee culturali condivise dalla
critica quanto dalla collettività, il contributo di tecnologie
innovative, la sensibilità verso la sostenibilità e la adeguatezza
delle soluzioni tecniche da adottare.
Le
esperienze recenti rappresentano la materializzazione del crescente
interesse verso il recupero dei caratteri distintivi dei luoghi
attraverso la riappropriazione di tracce e testimonianze costruite,
di spazi da riportare all'uso, nonché mostrano variegati ed
interessanti approcci operativi, a volte anche divergenti, ma pur
sempre criticamente validi e sostenibili.
Quello
che invece appare contraddittorio e a volte discutibile, dei casi
realizzati e che a distanza di pochi anni palesa alcuni limiti, è il
percorso che ha portato alla scelta di funzioni idonee e quindi
l'attribuzione di significati innovativi capaci di rivitalizzare non
in maniera temporanea, e soprattutto con coerenza, i manufatti
storici e tradizionali, l'ambiente costruito e il territorio, su cui
si è intervenuti. Scelte non sempre perfettamente ponderate, ovvero
a volte accolte senza una necessaria valutazione critica, hanno
portato a dover oggi riflettere ancora su tale tema.
Partendo
infatti dalle ragioni dell'abbandono di tali centri minori si è
dato, troppo in fretta, per scontato che essi non potessero più
rappresentare un adeguato luogo dove vivere, dove risiedere, il che
ha comportato che gli investitori, come anche le ricerche, si sono
orientate verso l'identificazione di nuove e diverse funzioni
compatibili con la forma dei luoghi. La mutazione di tali borghi in
alberghi diffusi, in resort
o in ogni caso in luoghi esclusivamente di vacanza, così come il
tentativo di trasformarli in centri commerciali o in raffinate
location
per la promozione di prodotti o manifatture particolari, non ha dato
ovunque l'esito sperato. L'eccessiva proliferazione e, talvolta,
errate valutazioni hanno creato il preoccupante fenomeno ora di
mancato utilizzo del bene anche dopo il suo recupero materiale, ora
di sovrapposizione di funzioni non sempre coerenti con lo spazio
della preesistenza. Il problema della giusta destinazione d'uso non
va infatti visto né misurato solo alla scala del manufatto edilizio
o del tessuto urbano. La ricaduta di tale scelta va, per esempio,
valutato verso la fruibilità del bene che non può essere interdetta
a chi non è un utente diretto di tale funzione, le relazioni che si
innescano con il contesto sociale del territorio circostante in
quanto non può essere un luogo distinto o avulso dalle dinamiche
complessive, la ricaduta in termini di sviluppo, economia, servizi e
promozione, ed infine l'integrazione e la diffusione anche in termini
di cultura e formazione intesa come riscatto e avanzamento
dell'intera popolazione.
Ciò
che infatti è criticabile di molti casi realizzati è il passaggio
da un sistema aperto ed integrato appartenente al borgo, inteso come
luogo di vita, a quello esclusivo e privato, elitario o settoriale
delle funzioni commerciali, turistiche o museali.
Il
vero recupero infatti non è solo quello fisico quanto piuttosto
quello del soddisfacimento di bisogni e necessità utili allo
svolgimento della vita nel quotidiano dell'intera collettività.
Ecco
che quindi, le ricerche a suo tempo intraprese oggi devono accogliere
esperienze e riflessioni, slegandosi dalle ragioni del "come"
e del "dove" e affrontando quelle del "perché" e
"per chi".
Il
recupero di borghi o villaggi, di conventi o palazzi deve oggi andare
oltre la risoluzione, pur corretta, di problematiche specifiche -
proprie dell'architettura, del restauro, dell'arte -
deve
liberarsi da scelte a volte miopi in nome di una autonomia economica
e sostenibilità temporale dell'intervento e deve rivolgersi al
recupero non delle cose ma di ciò che tali cose possono
rappresentare per l'uomo in termini di sviluppo e progettazione del
suo futuro.