cos'è architettura & co.

architettura & co. è stato pensato da paolo giardiello per mettere a disposizione di tutti, in particolare dei suoi studenti, i propri scritti, ricerche e riflessioni sull'architettura. il blog contiene testi pubblicati, versioni integrali di saggi poi ridotti per motivi editoriali, scritti inediti o anche solo riflessioni e spunti di ricerche. per questo non ha un ordine determinato, non segue un filo logico, ma rappresenta solo la sequenza temporale di occasioni in cui parlare di architettura, prima di farla "parlare", come invece dovrebbe, normalmente, essere.

08 maggio 2013

fare luce o essere luce?





Ci sono lampade che “fanno luce”, com'è naturale aspettarsi, altre che, invece, vanno oltre tale compito essenziale e divengono, esse stesse, "luce". La differenza tra “fare luce” ed “essere luce” è significativa: alcuni corpi illuminanti infatti riescono (solo) a produrre la luce adeguata a determinate necessità, situazioni e funzioni, altri invece si "inventano" atmosfere, toni, effetti di luce ed ombra, sfumature di colori capaci di andare oltre i bisogni, proponendo caratteri e sensi che pervadono gli spazi, segnandoli e definendoli. Non solo, ciò che "fa luce" di solito è un oggetto dalla morfologia e dai tratti precisi e segnati, è un prodotto visibile e riconoscibile, tanto che si può dire che lo sforzo del progettista, in questi casi, è rivolto proprio all'oggetto, al suo aspetto e figurazione, quindi al "manufatto" inteso come elemento che "supporta le lampadine"; ciò che "è luce", invece, rinuncia ad una sua propria forma, cerca quasi di smaterializzarsi, di annullare la propria presenza fisica a vantaggio della luce che diffonde. Elemento semplice e, a volte, astratto che trascende e omette il suo lato tecnico con cui, tuttavia, plasma e disegna l'ambiente, lo spazio, lo cela o lo mette in risalto, lo sfuma o lo esalta, lo nega o lo conferma. Insomma, volendo ulteriormente accentuare tale suddivisione, il designer di ciò che “fa luce” disegna il prodotto, la cosa che illumina, colui che invece pensa e realizza ciò che "è luce", progetta l'ambiente, o meglio predispone e concepisce precise e dettagliate "ambientazioni". Prevede cioè alterazioni dello spazio preesistente, immaginando vere e proprie "scene" di vita pervase di senso e contenuto, dettate e definite dalla luce, modificando ed innovando totalmente l'habitat quotidiano, riscattandolo dal suo anonimato, facendolo diventare forma e sostanza di precise narrazioni, di bisogni e di necessità estetiche.
Il panorama dei sistemi illuminanti è sempre stato diviso, pur inconsapevolmente, in queste due categorie, ma negli ultimi anni si è assistito ad un fenomeno inaspettato: il passaggio a nuovi sistemi di illuminazione, l'abbandono progressivo dei bulbi ad incandescenza a favore, prima delle lampadine a risparmio energetico fluorescenti dalle forme bizzarre quanto improbabili, poi dei LED aggregati in diversi modi, ha comportato il necessario adeguamento delle normali armature illuminanti già in commercio evitando, tuttavia, il loro stravolgimento. A ciò va aggiunto anche il proliferare di prodotti, promossi come nuovi, in realtà semplicemente “derivati” da lampade famose e riconoscibili a cui sono stati imposti i nuovi elementi tecnologici. Questa deriva ha caratterizzato una impasse nella definizione di nuovi corpi illuminanti e quindi sempre più ad una tensione verso il disegno di “lampade” piuttosto che di “luce”, ad esclusione, ed è facile comprendere la ragione, di prodotti molto tecnici per situazioni specifiche (commercio, ufficio, esterni) che si sono lentamente appropriati dei nuovi mezzi offerti dal mercato.
Da poco si assiste finalmente ad una inversione di tendenza: molti nuovi prodotti nati intorno ai più sofisticati ed innovativi sistemi illuminanti, oggetti pensati per i LED e con i LED e non adattati a tale tecnologia. Progetti di design coerenti con le richieste di un mercato sempre più esigente ma anche specializzato e le possibilità derivanti dalle nuove frontiere della ricerca tecnologica. Passeggiando tra gli stand si perdevano di vista le forme delle lampade o il disegno delle strutture e rimanevano impressi nella retina solo aureole di luce, linee e geometrie ardite, coni e fasci, insomma luce come sostanza dello spazio abitato e non come effetto. Luce per ogni esigenza, rigorosamente controllata, luce per ogni bisogno o necessità, calcolata e verificata, ma in ogni caso luce, quasi a prescindere dai sistemi fisici in grado di produrla. Luci che controllano finanche la loro stessa "assenza", che disegnano cioè anche le ombre, proponendo sulle superfici che delimitano lo spazio disegni in chiaroscuro più affascinanti e presenti degli stessi elementi che li producono che, al contrario, fanno di tutto per sparire, per mimetizzarsi, o addirittura per compenetrarsi nelle pareti e nei soffitti. Il LED, punto discreto e isolato, aggregato ora in linea, ora in superfici, si addensa e si dirada, si flette e si torce, componendo quasi spontaneamente, come i singoli pixel di una immagine digitale, il volto dello spazio desiderato.
E' evidente che si è all'inizio, ma il percorso è stato intrapreso e per colui che progetta gli interni, non il designer o il tecnico, ma proprio l'architetto o l'arredatore, si aprono nuove opportunità per creare sensazioni e condizioni in cui far vivere l'uomo. La luce artificiale, com'è stata per secoli quella naturale, torna ad essere vero e proprio "materiale da costruzione", mezzo attraverso il quale ottenere il soddisfacimento di bisogni non solo fisici e misurabili, ma anche psicologici e del tutto personali. Insomma di nuovo uno strumento per costruire lo spazio, per pensare una architettura capace di emozionare e di raccontare, dove raccogliere sogni e desideri, avvolgendoli in un abbraccio - di luce - morbido e sensuale.