Non si può fare il mestiere dell'architetto senza osservare, analizzare, visitare, insomma studiare l'architettura. L'architettura di ogni tempo, di ogni regione, di ogni cultura è fonte di comprensione dei fenomeni della costruzione e del rapporto tra uomo e spazio. Tra le architetture studiate, tra gli autori incontrati alcuni lasciano il segno, lasciano, quello che si può chiamare, un insegnamento indelebile. Per questo nasce la voglia di divulgarlo, di comunicare agli altri le riflessioni scaturite dal confronto con le opere di chi ha saputo emozionarci. L'architetto che pubblica, che cura libri e monografie, può essere uno storico o un critico, allora divulgare è il suo mestiere. Se è invece un architetto operante, o anche un docente di una materia progettuale, allora egli pubblica per trasmettere a chi è come lui un progettista, un sapere appreso dall'analisi paziente e puntuale dal lavoro di altri architetti. E' un lavoro di condivisione, di messa in comune di ciò che è servito per capire il mestiere.
¿Cómo empezasteis, en cada uno de vuestros respectivos casos, las aventuras de AREA? ¿En qué momento estáis ahora? ¿Hacia dónde se dirige el sector?
Ho cominciato a collaborare con la rivista AREA nel 1997. La rivista era stata da poco affidata ad un giovanissimo direttore, Marco Casamonti, che si circondò di una redazione di giovani architetti e ricercatori impegnati all'università. Fu una avventura emozionante, AREA era una piccola rivista poco nota, e fare parte di quel gruppo ha significato confrontarsi con le grandi riviste del settore – Casabella, Domus, Abitare – che detenevano praticamente il monopolio dell'informazione di architettura. Piano piano la rivista si è affermata, sempre con lo stesso direttore alla guida, e cambiando vari editori, è oggi in reale competizione con le testate più note, è una rivista internazionale affermata. Certamente crescere ha significato perdere un poco della carica irriverente e a volte provocatoria degli inizi, oggi si è adeguata al mercato internazionale, è una rivista pubblicata e venduta in tutto il mondo, e deve rientrare in un modello, per così dire, divulgativo. Ora le riunioni non sono più fisiche, ma solo telematiche, e confesso di rimpiangere quelle giornate fiorentine passate tra l'architettura e una bistecca. La programmazione annuale avviene direttamente con l'editore e poi è demandata ai redattori la proposta di articoli e saggi all'interno del piano editoriale stilato. E' tutto meno improvvisato, più professionale. Il confronto infatti da un lato è con le grandi riviste internazionali, dall'altro è proprio con ciò che è troppo spontaneo, troppo improvvisato, e cioè con l'informazione sul web con il quale un prodotto cartaceo non può combattere ad armi pari. Diversi sono i costi, diversi i tempi di produzione, certamente diversi i prodotti finali. L'importante è che resti lo spirito originario di usare gli strumenti di comunicazione, l'editoria, per fare non solo informazione ma anche critica, ricerca, sperimentazione, insomma cultura.
¿En qué ha cambiado el mundo desde entonces y en qué habéis cambiado vosotros? ¿Cómo os ha cambiado editar?
Scrivere significa prima di tutto chiarire a sé stessi cosa si pensa. Poi implica capire cosa può interessare agli altri e come, eventualmente, indirizzare le aspettative di chi opera e vive il mondo dell'architettura. Insomma scrivere è un'operazione che va oltre le proprie idee, che pone, chi sceglie di impegnarsi in tal senso, in una condizione di interessarsi, preoccuparsi, del pensiero degli altri e di agire nella direzione di ampliare i possibili confronti, il dibattito critico e l'approccio culturale al problema.
Personalmente ho sempre avuto qualcuno con cui confrontarmi, ho lavorato sempre in società con altri colleghi e poi ho cominciato ad insegnare. Gli studenti sono un uditorio meraviglioso, critico e attento, sempre pronti a metterti di fronte le tue responsabilità. Scrivere è stata una conseguenza, è stato volere tentare di rivolgersi anche ad altri, esponendosi a critiche e ulteriori confronti.
Oggi scrivo di quello che maggiormente mi interessa, ma confesso che mi è servito molto anche scrivere “a tema”, ricevere cioè un tema dalla rivista o dall'editore e ricercare, in quell'argomento, qualcosa da dire che fosse, comunque, affine e all'interno delle mie convinzioni. E' stato un esercizio utile che mi ha fatto incontrare mondi che non avrei ricercato, conoscere autori che istintivamente non avrei approfondito. Rimanere ancora “stupiti” significa riconoscere di dovere studiare ancora molto, sempre.
¿Cómo ha influido, si es que ha influidlo en vuestra manera de proyectar o construir, el dirigir la revista o son actividades independientes?
Tutto ciò che si conosce, sia se lo si apprezza sia se lo si considera di scarso valore, influenza il progetto. Il progetto è la stratificazione delle nostre memorie e del nostro sapere, è la risposta alle esigenze oggettive della società filtrate tuttavia dal nostro personalismo essere. Pertanto sia la ricerca di opere emblematiche, di maestri, che la semplice conoscenza di quello che quotidianamente si fa intorno a noi, è servito per corroborare le convinzioni personali, ovvero per mettere in dubbio le più ferme certezze, cioè per rinnovarsi mettendosi di volta in volta in discussione. Questo non solo nel fare il mestiere, ma soprattutto nell'insegnare. Non si può insegnare ad avere principi irremovibili, sarebbe impedire la crescita personale di ognuno, si può solo insegnare il valore del dubbio. E' dai dubbi che si traggono le convinzioni, anche se temporanee, per affrontare ogni sfida. Che poi alcuni di tali principi restino stabili e fermi dentro di noi non è un punto di partenza, ma una valutazione da fare a cose fatte, alla fine, che speriamo sia il più lontano possibile.