Prima di descrivere l'interno urbano è
opportuno concordare su alcune definizioni. L’interno
architettonico non è meramente ciò che è dentro l'involucro
murario, non è cioè uno spazio chiuso, contenuto e delimitato, esso
è piuttosto un luogo capace di accogliere i principi di difesa e
intimità, l'affermazione dell'istinto primario di conservazione e
protezione dell'uomo, è quindi un’estensione dell’essere, la
dimensione materiale dei suoi desideri.
L’interno più che percepibile
sensorialmente è un ambito culturalmente riconoscibile, spazio
significante attraverso il quale capire il mondo e mostrarsi ad esso.
Uno spazio può pertanto definirsi
“interno architettonico” non perché chiuso o perimetrato, quanto
piuttosto se portatore dei sensi di riparo, privatizzazione e
protezione, accoglienza e condivisione.
Comparativo e superlativo
dell'aggettivo “interno” sono infatti “interiore” e “intimo”,
il che fa comprendere, anche da un punto di vista lessicale, che
progettare l'interno significa definire gli aspetti psicologici,
personali, emozionali e culturali dell'abitare.
Coerentemente, l'interno urbano non ha
bisogno di particolari definizioni capaci di assolvere l'apparente
contraddizione tra ciò che è “dentro” o “fuori” l'involucro
architettonico: interni nel tessuto urbano sono quegli ambiti capaci
di ispirare principi di intimità, valori di appartenenza al luogo,
culturalmente condivisi.
L'interno urbano è uno spazio
relazionale, luogo di scambio, comunicazione ed espressione, dove
riconoscersi e farsi conoscere; è quindi uno spazio sociale
portatore di valori individuali, ovvero uno spazio intimo espressione
dell'idea di collettività.
Ciò che permette di usare gli spazi
dell'architettura sono i sistemi arredativi. Arredare significa
infatti rendere agevole l’uso dello spazio, dotarlo spazio di
attrezzature, strumenti, utensili necessari allo svolgimento delle
attività umane e al soddisfacimento dei bisogni, bisogni non solo
primari, ma anche psicologici, rappresentativi e di identificazione
con l’ambiente costruito.
Per analogia “arredo urbano” non è
solo l'insieme delle strutture che permettono di svolgere, negli
spazi della città, determinate funzioni, quanto piuttosto tutto ciò
che è in grado di corroborare i valori ed i sensi propri degli
interni urbani, che permette cioè di dare forma alle relazioni tra
uomo e spazio, tra uomo ed uomo, tra spazio e spazio.
Ciò che tali definizioni vogliono
affermare è che gli elementi tipici dell'arredo urbano non sono
pensati solo per assolvere i bisogni espressi dagli utenti quanto per
materializzare i principi e i comportamenti a tali bisogni
sottintesi: una panchina non è solo uno strumento dove sedersi ma
uno spazio minimo dove raccogliersi singolarmente ovvero dove
costruire una fugace intimità con altri fruitori del luogo.
Non solo, così come l'arredamento non
è una prassi progettuale distinta o autonoma rispetto al progetto di
architettura, anzi ne è l'aspetto più intimo e dettagliato - la
forma dell'abitare - di cui tenere in conto già nella fase primitiva
di ideazione, così l'arredo urbano non può essere considerato altro
dall'idea di impianto della città e di uso e senso dei luoghi
collettivi.
La posizione, la dimensione, il
materiale, così come le logiche compositive, morfologiche,
linguistiche, devono discendere, per continuità o discontinuità,
dalla trama del tessuto viario, dalle texture dei materiali,
dall'ordine dei volumi e delle strutture di cui sono parte
integrante.
Secondo tale impostazione è evidente
che progettare gli interventi necessari all'uso degli spazi dei centri storici significa, da un lato, capirne la storia, la
stratificazione, le modificazioni, dall'altro, valutarne l'uso
odierno e i sensi di cui esso è portatore nella contemporaneità.
Solo così è possibile rifuggire da
ogni deriva stilistica del passato, dalla sovrapposizione di parti
autonome, e giungere un una valutazione di integrazione coerente di
parti contemporanee frutto di una rilettura attenta dei valori della
storia.