L'apertura di un vano nel margine che
delimita fisicamente lo spazio interno dell'architettura - per
accedere, per prendere luce, per areare gli ambienti, per guardare il
paesaggio - è un momento del progetto che spesso viene frainteso -
ovvero non preso nella giusta considerazione - dai giovani studenti
in formazione. Nel migliore dei casi, quando l'operazione non avviene
in maniera del tutto casuale e incontrollata, essi si pongono il
problema di una corretta organizzazione delle “bucature” in
prospetto, tentando di gestire il rapporto tra vuoti e pieni al fine
di articolare l'immagine dell'involucro architettonico.
Molto più difficile è instillare in
loro il principio che le aperture, i vani, le vedute, debbano
derivare dal progetto degli interni, dall'organizzazione dello spazio
e dall'uso che di esso si intende suggerire, ma anche dalla
disposizione degli arredi, dai percorsi e dai movimenti che l'uomo
compie “nella” architettura; oltre che dall'esposizione, dall'uso
della luce naturale, dal controllo della ventilazione, dal grado di
intimità o di partecipazione richiesto dalla funzione,
dall'ambiente, dalla natura o dal costruito in cui il progetto è
calato. Insomma ciò che meraviglia gli studenti è che le aperture
ed i vani architettonici non siano solo “buchi nel muro” e che
gli infissi, i serramenti, le tende, gli scuri o le persiane, siano
strumenti attraverso i quali ottenere, non solo le prestazioni
richieste all'ambiente, ma la qualità stessa dello spazio,
dell'atmosfera; che servano cioè a costruire il significato del
luogo che si sta progettando.
Il progetto di architettura infatti
utilizza le aperture per dare forma al rapporto che si intende
instaurare tra l'interno e l'esterno, attraverso finestre e vani
realizza l'idea dello spazio, costruisce l'immagine pubblica e
privata che la società attribuisce a quel determinato manufatto, a
quel luogo dove vivere.
Per tale ragione il tema delle
“bucature” non si esaurisce nel giusto dimensionamento e nella
corretta disposizione dei vani architettonici, in quanto il disegno
stesso del serramento contribuisce in maniera sostanziale ad
esplicitare le ragioni psicologiche ed estetiche capaci di esprimere
e rappresentare le corrette relazioni tra interno ed esterno.
Il progetto dei serramenti influenza il
linguaggio architettonico: la ricerca sulle parti trasparenti; sui
materiali, spessori e forma dei montanti; sulle ferramenta e sulle
parti meccaniche; sui coprifilo o comunque sui nodi di giunzione con
le pareti; comporta la definizione delle “parole” adeguate per
esprimere i concetti e i sensi di cui l'architettura intende farsi
carico.
Non si tratta di definire un
“dettaglio” tecnologico, quanto di riuscire a usare la tecnica,
come ogni altra componente costruttiva, all'interno di un chiaro
processo capace di esprimere il significato stesso dell'architettura,
le sue ragioni, la sua interpretazione del tempo, attraverso segni,
simboli e parole proprie delle società che l'hanno immaginata e
vissuta.
Un esempio limite di come il disegno
dell'infisso possa condizionare l'immagine del volume architettonico
lo si può ritrovare nella discussa ricostruzione della Casa
Moholy-Nagy di Walter Gropius a Dessau dello studio Bruno, Fioretti,
Marquez che ha inteso riproporre fedelmente i volumi architettonici
esterni della casa realizzata nel '25 per i docenti della Bauhaus,
alterarne gli spazi interni adeguandoli a esigenze espositive,
proponendo tuttavia una rarefazione, fino all'annullamento, dei
dettagli e delle finiture. In tale ricostruzione non solo non sono
più presenti ringhiere, pluviali o scossaline, ma anche gli infissi
diventano dei muti vetri opachi, posti a filo esterno della muratura,
a memoria delle vetrate e finestre originali. L'effetto plastico
esterno è volutamente alterato e all'interno il rapporto tra spazio
e luce diviene straniante in quanto le aperture non hanno più nessun
rapporto con l'organizzazione spaziale, proponendo un'immagine
inquietante.
foto:
Casa Moholy-Nagy, Walter Gropius,
Dessau 1925, ricostruzione dello studio Bruno, Fioretti, Marquez.