Si potrebbe costruire una storia
dell'abitare, dei cambiamenti degli stili di vita e delle forme delle
relazioni familiari, attraverso il racconto dell'evoluzione di quei
luoghi della casa indispensabili allo svolgimento della attività
quotidiane; cioè con il gusto e le mode che hanno definito ed
influenzato i bagni e le cucine, da quando questi sono apparsi come
ambienti tecnici imprescindibili tra le mura domestiche. Una linea
ininterrotta, ma estremamente variegata, di evoluzione ed adeguamenti
tecnici, di scoperte ed innovazioni, di riti e miti casalinghi che,
da un lato, va dal focolare - sinonimo degli stessi principi che
infondono l'abitare privato - fino alle moderne cucine che, come
obbedienti maggiordomi, pur senza fattezze umane, comandate a
distanza o addirittura in totale autonomia, assolvono al bisogno
primario della preparazione dei cibi necessari all'uomo; e che,
dall'altro lato, procede da luoghi impudici dove assolvere a taluni
bisogni fisici primari - all'origine del tutto esterni alla casa
proprio per sottolineare la distanza dai più civili luoghi pubblici
e di relazione - fino ai contemporanei e sofisticati ambiti per
l'igiene e il benessere, il relax e la cura della propria forma
fisica ed estetica.
La storia degli interni domestici degli
anni dal secondo dopoguerra ad oggi, se letta attraverso i
cambiamenti che hanno subìto tali spazi, racconta delle metamorfosi
politiche e sociali, dell'evoluzione del ruolo della donna
nell'ambito della famiglia, della figura del padre-capofamiglia,
dell'autodeterminazione dei figli in formazione, delle forme di
rappresentazione dello status economico e delle relazioni interne ed
esterne ai nuclei parentali. Non solo, tali luoghi, per quanto tra i
più vicini alla forma dell'uomo, ai suoi gesti, influenzati quindi
da dettami ergonomici e dimensionali, sono quelli dove ha avuto più
spazio l'evoluzione tecnologica, lo sviluppo della tecnica applicata
alla vita quotidiana, dove per prima si è affermata la domotica,
dove l'apparizione di semplici strumenti e utensili ha modificato
abitudini e capacità, dove le mutazioni della forma degli oggetti e
degli spazi hanno saputo rappresentare nuove strutture sociali,
sistemi di legami, affermazioni di principi e di idee sull'uomo.
Bagni e cucine sono, dagli anni '50 in
poi, la dotazione impiantistica e tecnica indispensabile per
affermare il livello di benessere e l'esigenza di salubrità
necessari per procedere verso uno sviluppo sociale, per introdurre
norme comportamentali ed igieniche e per materializzare un'idea di
progresso capace di riscattare gli anni bui delle guerre, di
cancellare le differenze economiche, oltre che la naturale distanza
tra la città e la campagna, tra il centro e la periferia, distanza
mitica e culturale più che fisica e geografica.
Già negli anni '60, e poi nei '70,
sulla scia di modelli comportamentali importati, a volte anche solo
immaginati o conosciuti solo attraverso pubblicità, film, telefilm e
riviste patinate, le cucine in particolare, ma anche i luoghi
demandati all'igiene personale, assumono una forma idonea a
assecondare legami e relazioni in evoluzione, ruoli e gerarchie in
fase di cambiamento. Se la cucina del dopoguerra in Italia è quella
del film “Un americano a Roma” di Steno dove Alberto Sordi
intavola il famoso dialogo con il suo piatto di “maccheroni”,
quella degli anni successivi, aperta sul soggiorno-tinello, talvolta
con il banco per la colazione a dividere l'angolo cottura dalla zona
di consumazione dei pasti, vuole imitare, in ritardo rispetto ai
modelli originali, quelle in cui si svolgono le vicende familiari
della famiglia Bradford (protagonista del telefilm omonimo) o dei
Cunningham (nella celebre serie televisiva Happy Days) che diviene un
esempio a cui una società, che intende rompere i ruoli e i ritmi
scanditi dalle abitudini imposte da tipologie sociali consolidate,
guarda con attenzione per materializzare le proprie aspirazioni.
L'apertura e la messa in relazione di
alcuni ambienti della casa, l'annullamento di luoghi propri di
tradizioni considerate ormai passate, il diverso proporzionamento
degli stessi, divengono l'immagine fisica della rivoluzione di
costumi, del portato culturale di ideologie e di innovativi fenomeni
artistici e letterari.
Parallelamente l'affermarsi di modelli
derivati dalla cultura nord-americana e nord-europea portano, per
quanto concerne il bagno, ad una sempre più precisa distinzione tra
lo spazio dedicato e gli utenti dello stesso. Non esiste più solo un
bagno per ogni esigenza, ma vengono definiti il bagno di
rappresentanza per gli ospiti, quello di servizio per i domestici o
per le funzioni di lavanderia, quello per i figli, spesso posto tra
le rispettive camere da letto, ed infine quello dei genitori che
diviene ad uso esclusivo e, quindi, privato con accesso direttamente
dalla camera matrimoniale. Il gusto, lo stile, le finiture e le
stesse dotazioni variano così sulla base di considerazioni che
tendono ad adeguare l'ambiente alle aspettative della tipologia di
utente, al suo modo di vivere il concetto di intimità e di
benessere, di accoglienza o di raccoglimento.
Da ciò, è evidente che la
rivoluzionaria “mini-cucina” spostabile di Joe Colombo del 1963
rappresenta la chiara volontà di distinguere il lato tecnico-pratico
di alcune azioni che si svolgono nello spazio domestico dai luoghi
dove tali azioni si devono sviluppare. I progetti di blocchi
funzionali di Colombo, come quelli successivi di Sottsass del 1972,
intendono infrangere la stretta correlazione tra l'ambiente dove
cucinare e gli arredi, le strutture e gli impianti indispensabili a
tale operazione. I “macroggetti”, proposti con forza in quegli
anni, vogliono promuovere l'idea che non è necessaria una “stanza”
dove cucinare, ma che lo sono solo gli strumenti per farlo, i quali
possono essere collocati, a seconda delle abitudini, della cultura e
delle tradizioni, in luoghi diversi della casa, tenendo conto delle
occasioni, della quantità di spazio, del numero di componenti
familiari. Tale impostazione progressista, corrispondente ad un
auspicato cambio di stile di vita diffuso, in linea con principi
tendenti a rinnovare una tradizione percepita come troppo ingombrante
e comunque tendente a rallentare l'evoluzione del gusto, delle mode,
delle relazioni tra gli individui, non trova un immediato riscontro,
pur se comunque innesca un processo capace di porre in discussione
l'idea di spazio-monofunzionale, soprattutto di coincidenza tra
luoghi specifici dell'ambiente domestico e sistemi arredativi
consolidati e determinati.
Sono proprio gli arredi, intesi nelle
loro composizioni stabilite dalla tradizione, che entrano in crisi e
che, più che allestire luoghi dove svolgere riti sempre uguali a sé
stessi, cominciano a proporsi essi stessi come suggeritori di azioni
e di funzioni da svolgere, cioè come attrattori in grado di ispirare
l'uso e di risolvere bisogni e necessità. Il “macroggetto”
infatti non è solo un oggetto plurifunzionale, di una scala maggiore
rispetto ad un semplice pezzo di arredo, ma è altresì un elemento
capace di costruire, definire e determinare il significato dello
spazio al suo intorno.
A partire da tali considerazioni, dalla
crisi del mobile di arredamento e dall'avvento prepotente dei pezzi
iconici di design, anche i luoghi della casa a carattere più
prettamente tecnologico cominciano a perdere di unità, scardinando
l'idea di sistema omogeneo e inseparabile, e si propongono come
elementi autonomi, spesso separati, dal forte carattere espressivo,
invadendo ambienti diversi al fine di suggerire modalità
comportamentali e opportunità relazionali altrimenti impensabili.
La cucina propone i suoi
elettrodomestici principali a vista, in vari luoghi della casa, come
poli attrattori capaci di invitare alla convivialità, ad un piacere
condiviso di ciò che altrimenti è solo un impegno imprescindibile
della vita familiare; così il bagno separa le componenti
tradizionali distinguendo riservatezza e socialità di alcune azioni
legate al benessere, alla cura della propria immagine, alla ricerca
di un tempo da dedicare ad un riposo fisico che diviene meditativo e
riflessivo. Il bagno e la cucina si scompongono, perdono l'idea di
strumenti tecnologici inespressivi ed esaltano la funzione di ogni
singola parte che viene proposta come protagonista di ambiti
spaziali, capace di caratterizzare luoghi e di ispirare azioni che
prima non venivano considerate essenziali alla costruzione del
proprio quotidiano, ma solo assolte in quanto “bisogni primari”.
Indicazioni che in realtà erano già
state chiaramente esposte da Le Corbusier con la disposizione del
bagno padronale di Ville Savoye (1928/31) ma che necessitano di quasi
quaranta anni per trovare un'accoglienza effettiva nell'idea
condivisa e diffusa di spazio domestico.
L'architettura, rileggendo il valore di
ogni comportamento e le percezioni derivate dalla sua fruizione,
rende palesi i contenuti dello spazio, i significati e non solo i
valori pratici e funzionali e, da questa coincidenza tra sensi ed
espressione, raggiunge, in alcuni illuminati esempi, una perfetta
aderenza alle regole di svolgimento della vita richieste dalla
società.
Gli anni '80 e l'inizio dei '90 sono,
in architettura, gli anni del post-moderno, movimento che, negli
interni, porta ad un ritorno - più che a stili che comunque vengono
riletti e reinterpretati - a organizzazioni spaziali, ad impianti
tipologici, che guardano alla tradizione, ad un'idea di cucina come
centro delle relazioni più strette, espressione e forma di uno stile
di vita globale che vorrebbe invece mostrare radici locali; insomma a
quel modello perfettamente rappresentato dalle varie campagne
pubblicitarie del Mulino Bianco che dal 1982 fino al 1997 fanno
corrispondere alla “famiglia felice” un'immagine spaziale legata
a valori di strutture sociali consolidate, ad ambienti ampi, spaziosi
dove riunirsi e trascorre insieme i ritmi della giornata,
contemporanei pur se con chiari riferimenti a modalità d'uso
appartenenti al passato.
A fronte di tale condizionamento, che
trova riscontro nell'effetto pratico di un ritorno a cucine e bagni
di impostazione tradizionali, declinati in ambienti sempre più ampi,
tra la fine degli anni '90 e l'inizio del nuovo millennio, si assiste
anche al progressivo ritorno a spazi domestici sempre più ridotti,
ad ambienti domestici essenziali e spesso anche transitori. La
cultura del nomadismo e i nuovi modelli sociali (single, famiglie
separate, lavoro non stabile) riportano la ricerca architettonica
verso una miniaturizzazione degli spazi che impone, naturalmente, una
nuova riflessione sui luoghi a carattere prettamente funzionale.
Una generale semplificazione e
contenimento delle superfici abitabili introduce il ricorso
necessario ad una flessibilità totale degli ambienti, ad una
essenzialità delle dotazioni e quindi anche ad una rarefazione di
alcune componenti, con conseguente annullamento degli spazi
corrispondenti. L'abitare al minimo fa sì che cucine e bagni vengano
ripensati alla luce di un'armonica gestione di spazi, un tempo
considerati angusti, e trovano posto in anfratti, nicchie, armadi e
recessi che però, una volta aperti e messi in relazione con il resto
della casa, assumono l'opportuna dimensione per svolgere le funzioni
deputate. Pannelli scorrevoli, porte a scomparsa, letti ribaltabili e
divani movibili permetto l'apparizione improvvisa di piani cottura o
di lavabi, di elettrodomestici, di pezzi igienici o di docce.
Soprattuto lo spazio non è più bloccato, non esistono luoghi
deputati, ogni minima superficie è in grado di rispondere
agevolmente a diverse funzioni, a seconda delle configurazioni poste
in opera grazie all'inedito posizionamento, o ai movimenti, degli
oggetti di arredo, non più stabili né prevedibili.
La casa non è più una aggregazione di
“stanze” monofunzionali ma, grazie anche alle necessità indotte
dallo spazio minimo, diviene la scena flessibile dove svolgere eventi
legati alla vita quotidiana, attraverso l'introduzione, o anche solo
la disponibilità, di apparati semplici ed essenziali, di ambiti e
ambienti fortemente relazionati tra loro, di oggetti polifunzionali e
polivalenti, disegnando intorno all'uomo, alla dimensione del suo
corpo, ai suoi movimenti, spazi comodi e utili, luoghi evocativi e
rispondenti alle sue aspirazioni.
L'idea stessa di cohousing,
affermatasi negli ultimi anni, nell'immaginare nuove forme di
socialità, scardina la sacralità e l'inamovibilità di alcuni
luoghi funzionali, rende condivisi, e quindi anche fuori dall'ambito
privato, alcuni degli spazi tecnici principali, così da innalzare il
livello prestazionale, ridurre i costi di gestione ma, soprattutto,
innescando processi relazionali desunti da un'idea di comunità
duttile e tollerante.
Tale breve disamina cronologica vuole
in realtà rimarcare un principio che trova fondamento nell'attualità
e cioè che se comunemente i termini “bagno e cucina” indicano
sia gli oggetti che gli spazi, dove spesso gli uni sono contenuti
negli altri, oggi tale corrispondenza diretta non è più garantita
e, per esempio, una cucina - intesa come mobile dotato di strumenti
idonei a cucinare - può anche stare in soggiorno o in corridoio e,
analogamente, la cucina - intesa come spazio fruibile dove svolgere
la funzione di cucinare - non è più una “stanza” definita ma
può coincidere con una porzione, un sotto-ambito di un ambiente che,
in altri momenti della giornata, è destinato ad assolvere a
differenti necessità.
Da ciò si deduce che tali funzioni, a
cui normalmente si fa corrispondere sia un ambiente definito che un
sistema di attrezzature capaci di soddisfare i bisogni richiesti,
oggi non costruiscono più una relazione diretta e irrinunciabile tra
spazio-oggetti-azioni, cioè tra luogo, mobili e strumenti,
comportamenti e sensazioni derivanti dalle esigenze in continua
evoluzione e quindi vanno ripensati di volta in volta sulla base
delle richieste espresse dagli utenti.
Il panorama domestico contemporaneo
presenta, nei confronti di tali organismi funzionali, due
atteggiamenti paralleli, a volte coincidenti: quello della presenza
di elementi riconoscibili e quello dell'assenza di ciò che
comunemente è “a vista”. Assenza e presenza rispetto ad una
consuetudine morfologica e compositiva, organizzativa e funzionale,
tecnica e prestazionale, dove i singoli elementi deputati al
soddisfacimento dei bisogni ora appaiono come icone tecnologiche dal
design innovativo disposte in luoghi talvolta inconsueti, con ruoli
che vanno oltre la loro stessa funzione, ovvero vengono nascosti e
integrati ad altre strutture, grazie alla flessibilità delle
componenti e alla polifunzionalità degli ambienti e, quasi privi di
uno spazio proprio, entrano in relazione con altri elementi e con
l'uomo solo quando è richiesta la loro presenza attiva.
Il mercato produttivo delle componenti
tecniche e arredative di bagni e cucine oggi lavora sempre più nella
direzione della ricerca di uno stile, o di tutti gli stili possibili,
di un design stupefacente, di una innovazione tecnologica, di una
integrazione con il digitale attraverso la domotica, a partire da
questo l'architettura, la disciplina cioè che deve immaginare lo
spazio dove far svolgere la vita dell'uomo, può e deve farsi carico
di dare forma e regola ai comportamenti e alle relazioni
interpersonali in via di definizione. Se l'architettura dovesse
recedere da questo suo ruolo critico e propositivo nel contempo, il
solo disegno degli oggetti, le avanzate innovazioni di utensili e
strumenti, non saranno certo sufficienti a influenzare la vita
dell'uomo ma unicamente a rispondere alle sue primarie necessità, in
modo sempre più sofisticato, a volte addirittura anticipandone i
desideri.
Per tale ragione è indispensabile
osservare con attenzione i nuovi modelli sociali, le forme di
convivenza, le storie e le culture che compongono il complesso
scenario della collettività, il potere economico ed acquisitivo, la
quantità e la qualità del tempo libero, i fenomeni culturali e le
modalità di comunicazione al fine di trovare, nell'aspetto
antropologico e sociologico del dimorare, le indicazioni per il
corretto progetto dei luoghi.
La mancanza, o anche solo la
disattenzione, verso un pensiero vigile sui principi dell'abitare ha
portato, negli ultimi anni, ad uno scenario edilizio a volte privo di
ogni valutazione critica sulle necessità pratiche e incapace di
restituire un'immagine esteticamente convincente del nostro tempo,
della nostra cultura. Il mestiere dell'architetto, inteso non come un
semplice professionista ma come interprete e artefice dei contenuti
che regolano le relazioni tra gli individui, attento al processo di
produzione industriale e alla cultura del design che hanno saputo
utilizzare le innovazioni della tecnica, deve restituire anche al
processo edilizio, attraverso il progetto di architettura,
l'intensità necessaria al fine di definire e conformare l'habitat
più idoneo a soddisfare le aspirazioni e i bisogni della società
che verrà.