Il significato etimologico del termine
“tipo” è riassumibile nel concetto di “impronta”, pertanto è
comprensibile che, per chi studia i valori dell'interno
architettonico, non conti tanto l'aspetto, la dimensione, la
morfologia della traccia visibile, di “ciò che rimane impresso”,
quanto invece interessi tutto ciò che è in grado di definire, di
produrre, di sostanziare tale “stampo” tangibile. Il progetto
dell'interno, infatti, non si pone come fine la forma dell'involucro
che delimita lo spazio (pur intervenendo sulle sue specificità) ma
lo spazio stesso, inteso come materia, come sostanza corporea
determinata delle esigenze fisiche e psicologiche dell'uomo.
Le teorie semiotiche applicate
all'architettura, che considerano cioè l'architettura un segno
dotato di significato e forma significante, ritengono che la parte
fisica tangibile del manufatto architettonico rappresenti il
“significante”, mentre ciò che lo determina concettualmente, ciò
che lo conforma, sia il suo “significato” che risiede nello
spazio interiore, in ciò che non è materico ma che rappresenta la
ragione più profonda per cui l'architettura si pone in essere.
L'architettura degli interni, per usare
una definizione canonica, ricerca e studia il significato
dell'architettura, e cioè i valori dello spazio abitato, i rapporti
che si instaurano tra gli utenti e l'ambiente costruito; quindi non
il tipo inteso come impronta, ma ciò che ha impresso, costruito e
determinato quella forma, tutto quello che ha plasmato dall'interno
la materia affinché costruisse tali margini e strutture percepibili
e fruibili: la forma della vita dell'uomo.
Non è infatti qualcosa di materiale,
di misurabile, di rappresentabile che determina lo spazio da abitare,
è la necessità che ha l'uomo di insediarsi, le sue esigenze,
aspettative e speranze, sogni e ambizioni, consuetudini e relazioni
che sostanziano il vuoto rintracciabile in un qualsiasi involucro,
rendendolo, grazie ai contenuti, “spazio architettonico”, “spazio
da abitare”, attraverso la modellazione dell'invaso che ne diventa
l'impronta leggibile e codificabile.
Per le discipline degli interni, quelle
che contribuiscono al progetto dell'interno architettonico, il tipo,
inteso come modello fisico della struttura architettonica che
definisce lo spazio, ha relativa importanza, se non come espressione
formale di quei “modelli di vita” che sono il vero oggetto di
interesse, e delle ragioni dell'abitare che li hanno determinati. E'
quindi ad un diverso sistema logico entro cui ordinare i luoghi di
vita che, chi progetta l'architettura vista dall'interno –
espressione con cui è stata definita la disciplina sin dalla
fondazione della facoltà di architettura napoletana – fa
riferimento: un sistema che parte dall'uomo, dalla società che in
cui vive, dalle sue abitudini e dalle usanze del suo tempo e del
luogo in cui è. Modello, per quanto immateriale, che è
“progettabile”, in quanto determinato dalle scelte oggettuali e
materiche che lo renderanno possibile.
Tipo architettonico e modello di vita,
nel tempo, non sono sempre andati di pari passo: i modi di abitare
spesso si sono dovuti adattare a forme di spazio, ad impianti
compositivi obsoleti, tuttavia resistenti e persistenti, così come
innovazioni linguistiche e distributive sono state proposte troppo in
anticipo sui tempi che hanno accettato con riluttanza le innovazioni
suggerite dagli architetti.
Solo per fare un esempio, lo spazio
domestico, dalla fine dell'Ottocento a oggi, ha visto cambiamenti di
stili di vita, di relazioni sociali, di convivenza, supportate da
innovazioni tecniche e tecnologiche sempre più incalzanti, oltre che
spesso impensabili, che hanno inciso a fondo nel modo di intendere il
modello di “casa” contemporanea. I cambiamenti che gli oggetti,
gli strumenti tecnologici, le dotazioni domestiche, i mezzi di
comunicazione hanno imposto all'organizzazione dell'alloggio, hanno
alterato la concezione dei luoghi in cui vivere e conseguentemente le
modalità relazionali, le azioni, le abitudini, le modalità di
informazione e apprendimento; in una parola la cultura contemporanea.
In tale scenario, la “cultura
dell'abitare” è riuscita a tenere il passo delle innovazioni della
tecnica, conformando gli spazi ai nuovi modi di relazionarsi con gli
oggetti e tra le persone, solo fin quando il “nuovo” è stato
“accoglibile” da ciò che già c'era, dai modelli abitativi
consolidati, spesso seguendo e non anticipando i cambiamenti,
comunque ammettendo una profonda revisione dei sui principi. E' con
il nuovo millennio che la cultura tecnologica ha imposto una tale
accelerazione che ha del tutto stravolto stili e modelli di vita,
richiedendo nuovi scenari abitativi che la cultura architettonica
contemporanea fatica a definire, a immaginare, alterando l'instabile
equilibrio tra tradizione e innovazione, tra revisione e rivoluzione.
La “tradizione”, intesa come il
fluire continuo e ininterrotto della storia, implica il passaggio da
un antecedente ad un conseguente attraverso un processo di
“conservazione e innovazione” grazie al quale è possibile
inserire il passato nel presente. Il processo di “innovazione”
comporta che ciò che appartiene al passato non sia mai stabile o
inamovibile e che grazie al processo di mutamento ed evoluzione i
valori originari giungano nel presente. Anche la “rivoluzione”,
diretta o indiretta, indotta o causale, tecnologica, civile, politica
o morale, per quanto proclami cesure con tutto ciò che l'ha
preceduta, in realtà non è mai un definitivo momento di rottura col
passato in quanto, compito di ciò che è rivoluzionario, non è
quello di annullare ogni memoria, ma di operare delle scelte ben
precise, selezionare, secondo il proprio punto di vista, quanto deve
essere abbandonato e quanto rinnovato, rivalutato e rinvigorito nei
contenuti, su cui fondare il nuovo. Ogni rivoluzione “sceglie”,
non cancella, esattamente come la tradizione che “seleziona”, tra
ciò che resiste al tempo, quello che merita di essere consegnato al
futuro. Le due azioni, in fondo, coincidono.
Questa puntualizzazione, per affermare
che la cosiddetta “rivoluzione informatica” e digitale che
caratterizza l'attualità – e che ha messo in discussione ogni tipo
o modello abitativo – è solo un momento di cambiamento e non di
perdita del portato tradizionale al quale l'architettura è chiamata
a dare forma coerente, costruendo spazi intesi come scena di vita e
non come contenitori, privi di significato, di oggetti sempre nuovi.
Spazi che forse non devono esprimere valori sociali e individuali
troppo diversi dal passato ma che certamente – e in questo si
devono porre in chiave rivoluzionaria selezionando ciò che intendono
traghettare verso il futuro – devono avere morfologie, dimensioni e
relazioni inedite, coerenti col presente.
Il modello oggi da perseguire, rispetto
la stabilità e la permanenza dei comuni valori dell'abitare
tipologicamente intesi, é quello di offrire una “instabilità
progettabile”, una mutevolezza controllata, una variabilità
espressiva capace di conformare spazi flessibili e mutevoli. Luoghi
definiti dove sperimentare sensazioni ed emozioni e non dove subire
stimoli indotti o obbedire a comportamenti genericamente codificati,
dove incrementare gli incontri e l’affermazione delle proprie
scelte individuali e non dove amplificare le proprie solitudini
attraverso l’iterazione di ritualità posticce, dove comunicare e
conoscere, dove studiare e mettere in gioco le proprie esperienze
vissute.
Il “modello” del prossimo futuro
dovrà essere capace di dare vita a spazi reali, fisici e tangibili,
in cui riuscire a ricostruire il dinamismo, la flessibilità e la
creatività insita nei “luoghi virtuali” che già invadono e
condizionano i nuovi sistemi di relazioni sociali e di comunicazione.
Tali luoghi virtuali, privi di sostanza materiale, nati inizialmente
sulle consuetudini e sulla comprensione del mondo, plasmati
dall'esperienza e dalla conoscenza sensoriale, si sono poi evoluti e
consolidati in una dimensione mentale più che fisica, di rapporti
aperti e liberi più che di gerarchie sociali. I cyber-luoghi, da
emanazione della realtà, oggi sono gli strumenti per influenzarla,
modificarla, concepirla in maniera innovativa. La realtà materiale
oggi non può prescindere dell'interazione appresa nella dimensione
virtuale, dallo scambio tra cose e cose, tra persone e persone, e tra
cose e persone, diventato consuetudine.
L'interattività implica, infatti, la
possibilità di scegliere, di costruire autonomamente il sistema di
azioni e informazioni di cui si necessita, conformando, a proprio
piacimento, oggetti o spazi in cui il fruitore, da spettatore
passivo, diventa artefice delle scelte che intende fare e del
carattere dell'ambiente in cui desidera vivere. Una interattività
reale, e non usata come mero slogan, può portare a luoghi e modelli
di vita diversi da fruitore a fruitore, di giornata in giornata,
insomma a spazi “progettati” di volta in volta da ogni
visitatore.
E' evidente che la società odierna
richiede spazi in cui vivere, con soddisfazione, qualsiasi
condizione: sia di anonimato volontario, sia di partecipazione
attiva, scegliendo se interagire e quando, per esprimersi o per
comunicare con altri. Gli stessi nonluoghi, ritenuti unanimemente
privi di identità spaziale, con le loro deformazioni della realtà,
con la banalizzazione dei sistemi relazionali, hanno
involontariamente assecondato e dato forma al mutare delle attese
della società ben più dei più nobili “luoghi”, prodotti da una
architettura sempre più distante, negli ultimi anni, dai desideri
elementari, ma condivisi, dei singoli individui.
Le potenzialità dell'interazione tra
uomo e spazio, tra conformazione fisica di questo e scelte personali,
possono riferirsi ai comportamenti propri della virtualità,
suggerendo una partecipazione diretta del singolo, affinché la parte
privata, che si vuole demandare al pubblico, sia controllata e
misurata direttamente dall'utente e non filtrata da strategie
imposte.
Chi progetta non può più arroccarsi
nei propri confini disciplinari e perdere di vista le potenzialità –
compresi i rischi – delle modalità di relazione desunte da modelli
immateriali. L'obiettivo è di annullare confini tra esperienze
considerate distinte, rendere personali ed interattivi i luoghi
collettivi, espandere il senso di appartenenza e del privato,
permettere cioè agli spazi dell'architettura, che già di per sé
realizzano un'emozione sensoriale, cognitiva e percettiva complessa e
completa, di assecondare sogni e speranze in tempo reale, traducendo
la tecnica in eventi utili alla significazione e declinazione, in
tutte le sue forme, dello spazio da abitare.
E' quindi indispensabile rintracciare
modelli abitativi carichi di personalità, non più concentrati
asettici di funzioni dove assolvere solo bisogni, ma luoghi
significanti dove trascorrere in maniera creativa e libera il proprio
tempo. E' compito di chi progetta e di chi fa ricerca spostare
l'attenzione dalla tipologia e morfologia del luogo alla sua
flessibilità e adattabilità, dalla comunicazione diretta tra luogo
e utente alla possibilità di tessere relazioni e connessioni inedite
con lo spazio in cui si è, e nel contempo con altri spazi analoghi
dotati delle stesse potenzialità, dalla delimitazione e
perimetrazione di funzioni definite alla apertura verso esigenze e
bisogni attraverso i quali comprendere la realtà e comunicare il
proprio essere tra gli altri, dove coltivare l’utopia di un
ambiente adatto a tutti e capace di raccontare adeguatamente il
proprio tempo.
L'architettura che é sempre stata in
prima linea nel dare risposte alle richieste dell'uomo oggi si trova
a rincorrere uno sviluppo delle aspettative e dei rapporti sociali
imprevisto e forse sottovalutato. Il progetto di interni, proprio per
la sua vicinanza all'uomo può contribuire ad abbandonare ricerche
eccessivamente autoreferenziali e autorappresentative e portare
nuovamente il dibattito verso soluzioni efficaci, a misura d'uomo,
calzanti con i suoi desideri, rivoluzionarie per semplicità e
coerenza con quanto richiesto dalla società in cui viviamo.