«Gli aspetti della
stratificazione probabilmente mi interessano più
delle viste inaspettate
che vengono generate dalle rimozioni,
non la superficie
staccata che rivela ma il margine sottile,
la superficie staccata
che rivela
il progresso
autobiografico della sua costruzione.
C'è un tipo di
complessità che deriva dal prendere una situazione
altrimenti del tutto
normale, convenzionale, anche anonima,
e ridefinirla,
ritradurla in letture molteplici e sovrapposte
di condizioni passate e
presenti.
Ogni edificio genera una
propria ed unica situazione».
G. Matta-Clark
Premessa (perché questo non è un
libro ma un taccuino di appunti)
Nel mese di maggio di quest'anno ho
tenuto alla Facultad de Arquitectura de Montevideo un ciclo di
lezioni intitolato Habitar la Preexistencia. La transformación
del sentido del espacio.
Il tema è stato concordato con i
docenti e con il decano della Facoltà, Gustavo Scheps, perché si
tratta di un argomento di grande attualità in America Latina a cui
la FADU di Montevideo, con le sue ricerche, intende dare risposta,
vista la crescente esigenza di valorizzazione del patrimonio
architettonico esistente.
La pratica di conservazione non è mai
avulsa da quella progettuale: abitare la preesistenza implica, oltre
gli ovvi interventi di adeguamento tecnologico e strutturale, al di
là dei nuovi assetti funzionali idonei all'uso contemporaneo, una
trasformazione del significato spaziale, dei contenuti e delle
ragioni stesse del manufatto riadattato. Non c'è mai una
modificazione dell'aspetto e della forma che non sia coerente con i
sensi rinnovati dell'interno, dello spazio abitabile, che è il fine
di qualsiasi operazione progettuale.
È innegabile che in Uruguay, come in
molti altri Paesi del continente sudamericano, negli ultimi decenni
la cultura del “nuovo” ha agito sul preesistente in maniera a
volte spregiudicata, sostituendo o alterando sensibilmente manufatti
architettonici o intere parti di città, testimonianze vive della
storia del luogo. Pressioni economiche e assenza di adeguate
normative hanno agito sulla mancanza di consapevolezza del valore del
passato, sulla voglia di cambiamento, operando senza una strategia
progettuale lungimirante.
All'opposto il progetto di architettura
in Italia è stato per troppi anni costretto tra la mancanza di
opportunità di immaginare il “nuovo” e un interesse, alle volte
eccessivo, alla tutela delle testimonianze del passato, attraverso
prassi talvolta solo conservative.
Le esperienze degli ultimi venti anni
hanno invece mostrato, in Europa come nelle Americhe, attitudini
diverse e spontanee, espresse attraverso una prassi, più che una
evidente metodologia, capace di mostrare le ragioni di ciò che
appartiene al passato, che chiede di essere attualizzato per
continuare a vivere accanto all'uomo.
Ho lavorato a
tale tema per molti anni, studiando e analizzando esempi e
esperienze, ho sperimentato soluzioni con gli studenti nei corsi
universitari e attraverso le tesi di laurea, ho scritto saggi e
articoli, partecipato a dibattiti e conferenze, senza tuttavia
trovare mai il tempo di fermare le idee in una riflessione esaustiva.
Questo anche perché il fenomeno era – ed è – in permanente
evoluzione, e qualsiasi enunciato viene in breve superato da
esperimenti o interventi critici che apportano continui
approfondimenti, aprendo nuovi scenari, teorici e pratici.
La ricca produzione critica apparsa
nell'ultimo decennio rappresenta in tal senso un compendio profondo,
esaustivo e sfaccettato dei vari punti di vista sull'argomento;
riporto in bibliografia, le esperienze che
ritengo rappresentino le tappe
fondamentali della definizione teorica del
tema.
Il seminario di Montevideo è stato
pertanto una occasione per tornare sui vari argomenti, per guardare
da una prospettiva storiografica i ragionamenti sviluppati in un arco
temporale lungo, cancellandone alcuni superati e integrandoli con
definizioni più attuali, organizzando le varie forme espressive in
un sistema logico compiuto, oltre la modalità più essenziale di
solito utilizzata per presentare gli argomenti agli studenti.
Il materiale raccolto, anche quello non
utilizzato per ragioni di tempo, è quello che presento in questo
piccolo libro, non ordinato secondo lo
schema proprio di un saggio critico, piuttosto come la sequenza di
spunti e riflessioni, di appunti e dubbi, che sono stati utili a
costruire il discorso delle tre lezioni tenute, in spagnolo, ad un
attento pubblico di studenti e colleghi.
Si tratta quindi di frammenti uniti e
disposti tra loro secondo la struttura espositiva delle conferenze, ricche di immagini, esempi e riferimenti in ambito artistico e
letterario che qui vengono omessi per ragioni editoriali.
La forma tipografica del volume,
infine, vuole raccontare, con chiarezza, la provenienza delle varie
riflessioni: ciò che è tratto da scritti personali, sia pubblicati
che inediti, (in maiuscoletto) e che, in parte, era riportato sulle
slide mostrate, in spagnolo; una sintesi (in carattere normale) di
ciò che è stato detto durante le lezioni e,
infine, alcune citazioni tratte dai testi a cui faccio
solitamente riferimento (in corsivo).
Pertanto è giusto che non ci si
aspetti da questo libro nulla di definitivo o di particolarmente
innovativo su un tema già abbondantemente trattato e in continuo
divenire, ma solo gli appunti raccolti in un ideale taccuino che si è
consolidato nel tempo, le tracce di un percorso logico e di ricerca,
lungo, appassionato e disomogeneo (niente affatto paziente) e
talvolta casuale, che ha avuto molti compagni di viaggio in questi
anni (tra cui i miei collaboratori e gli studenti, sempre attenti, di
tanti corsi dedicati a questi temi), con le quali è stato possibile
organizzare un discorso articolato, finalizzato a rintracciare modi e
ragioni di una specifica prassi progettuale. Giungendo, come spesso
capita, a porre domande più che a dare risposte definitive, ad
aprire nuove riflessioni, a indurre dubbi piuttosto che a racchiudere
il pensiero, proprio di un'attività così complessa, in rigidi
schemi (ideologici).
P.G.