La fantascienza, come
genere letterario e cinematografico, cerca di immaginare il futuro,
con la particolarità però di dare forma a condizioni auspicate o
anche temute, attraverso il linguaggio del proprio tempo. Ciò che
accade è che scenari e condizioni differenti dalla realtà assumano
un aspetto desunto dalla comprensione dei limiti o delle potenzialità
del presente. Il linguaggio che definisce il futuro sperato è spesso
quello dedotto dall'attualità mentre i contenuti sono una proiezione
deformata del presente.
A tal proposito si
osservi un recente film di fantascienza, Passengers
(2016, trailer ufficiale: https://youtu.be/WvqxcK4gUh0), di Morten Tyldum, ambientato in una astronave, la Avalon,
diretta verso il pianeta Homestead II, con il suo carico di
colonizzatori sottoposti a sonno criogenico.
Ciò che interessa, al di
là della trama, è il progetto degli spazi interni dell'astronave,
il loro stile e soprattutto le modalità di uso che evocano. Lo
scenografo, Guy Hendrix Dyas, più che ad un linguaggio contemporaneo
espressionista, futuribile e innovativo – alla Zaha Hadid, o Ben
van Berkel, o Coop Himmelblau – per sua stessa ammissione, si
ispira a forme e decorazioni wrightiane oppure direttamente ad
ambientazioni tipiche del genere Science Fiction. Interessante però
non è tanto lo “stile” degli ambienti privati o comuni
dell'astronave, quanto il tipo di uso che essi rivelano. Lo spazio
domestico, per quanto fluido e tecnologico, è riconoscibile nelle
sue funzioni tradizionali, come il bar che evoca un'aria quasi déco,
grazie anche ai raffinati modi del robot barista Arthur, mentre
quello che lascia sorpresi è l'ambiente comune per la consumazione
dei cibi che, per quanto dominato da sofisticate macchine erogatrici
di pietanze e bevande, appare come una fredda ed impersonale mensa
aziendale.
C'è da chiedersi come mai
il night club sia un luogo accogliente e invitante, le camere da
letto e le cabine private siano dimensionate sulle esigenze di
raccoglimento ed intimità, il cinema, come la piscina e gli spazi di
collegamento comuni siano tradizionali e privi di particolari
innovazioni, finanche il luogo delle macchine criogeniche sia un
ambiente confortevole, discretamente illuminato da pilastri a fungo
ispirati agli uffici della Johnson Wax di F. Ll. Wright, mentre la
consumazione del cibo sia prevista in una sala immensa, quasi senza
fine, con anonimi tavoli in sequenza, sotto un controsoffitto
luminoso che omogenizza indistintamente lo spazio. Insomma non è
chiaro perché il rito del mangiare sia visto solo come un atto
collettivo necessario da consumare in uno spazio privo di intimità,
perché non sia considerato come un momento conviviale, sociale o
rituale, al pari di quello del bere.
Inoltre gli spazi
dell'astronave, si comprende dalla storia, offrono una offerta
differenziata legata al valore del biglietto acquistato, da quello di
classe turistica fino a quello di lusso. Differenti sono le cabine,
proporzionate le possibilità di accesso agli svaghi e ai lussi,
mentre la classe diversa offre solo un menù più o meno ricco da
consumare, comunque, sempre nello stesso luogo. Una rigida gerarchia
basata sul potere acquisitivo, sul valore del biglietto, modifica i
prodotti da gustare ma non offre alternative al luogo dove assumerli.
Questo dato rilevato,
lungi da volere trovare una spiegazione che forse è insita nella
trama, lascia riflettere su quanto il progetto di architettura
rispetto ai luoghi del cibo, da quelli dove comprarlo fino a quelli
dove degustarlo, tralasciando la rincorsa alle tecnologie digitali
che caratterizzano il nostro tempo, debba ancora riflettere, al di là
delle forme e delle prestazioni, sul valore e sul significato che
l'atto del mangiare riveste nella nostra società, sulle relazioni e
sulla trasmissione dei contenuti connessi alla convivialità e alla
capacità evocativa di sapori della tradizione, sulla profondità dei
riti e sul valore culturale dei miti legati al cibo.