I più attenti e curiosi tra i visitatori del sito archeologico di Pompei, certamente sono quelli che si chiedono, perplessi, di fronte alle rovine degli edifici dell'antica città, la ragione per cui le strutture murarie realizzate con tanta cura e maestria – pareti in tufo con ricorsi in mattoni, in mattoni rossi e tufo giallo e grigio posto ad opus reticulatum, in pietra lavica e tufo giallo, in pietra calcarea bianca e vulcanica grigia – fossero celate alla vista da sistemi decorativi sovrapposti, da superfici in intonaco dipinto, da lastre di rivestimento in marmi preziosi, da stucchi a bassorilievo a loro volta ornati. La sapienza costruttiva di quelle popolazioni capaci di configurare manufatti complessi e articolati si palesa, infatti, nell'articolazione elegante e sofisticata delle strutture capaci di rappresentare, attraverso la corretta ed adeguata posa in opera dei materiali, un valore estetico derivante direttamente dalla tettonica, dalla descrizione dei comportamenti e della disposizione delle materie, dalla loro grana, colore e texture risultante dall'opportuno posizionamento.
Tale palese “racconto” della costruzione, tuttavia, non è ritenuto, in tale contesto culturale, “degno” di essere lasciato alla vista, viene considerato un corpo “nudo” (da nascondere) privo dell'abito adeguato al ruolo o alla destinazione dell'edificio. Il significato espresso direttamente della tettonica non viene considerato sufficiente a trasmettere i valori della funzione, i sensi dell'abitare, di vivere in quegli spazi, tanto da dover ricorrere ad una sovrascrittura, ad una sovrapposizione di contenuti, alla esplicitazione di sensi attraverso la conformazione dell'apparato decorativo. Le pitture declinate nei diversi “stili pompeiani”, i rivestimenti in materiali preziosi quanto fragili e non idonei alla costruzione, hanno il ruolo di dichiarare un sistema di segni, un vero e proprio linguaggio, ritenuto più confacente ai significati di cui devono essere portatori.
Eppure, in molti casi, i sistemi decorativi sono comunque desunti dalla tettonica, non più reale ma sublimata, idealizzata e non compromessa con la statica ma usata solo come espressione di un contenuto, anche se attraverso un ordine soggiacente, veri e propri tracciati regolatori, comunque desunti dalla costruzione intesa come fare sapiente e non come mero calcolo strutturale.
La decorazione, nella sua accezione di valore aggiunto indispensabile, riscatta la sua forma e la sostanza con cui è concepita dalle incombenze materiali e diviene pura espressione di valori che, comunque, sono assimilabili alle ragioni prime dell'edificare gli spazi, coerentemente con le aspettative di vita dell'uomo. Le trame dei trattamenti superficiali, i colori delle materie, le texture derivanti dal disegno della disposizione delle singole parti, le componenti assurte a segni riconoscibili di uno stile codificato, non sono più soggette alla contingenza costitutiva ma esemplificano l'estrapolazione dei valori simbolici e rappresentativi dell'atto stesso del costruire, dell'edificare limiti materiali capaci di dare forma allo spazio proporzionato sulle esigenze fruitive e funzionali della società.
Il visitatore che tra 2000 anni visiterà un parco archeologico contenente il nostro presente, si troverà di fronte ad una situazione non dissimile da quella di Pompei. Anche la nostra contemporaneità diffusamente affida la rappresentazione dei contenuti a rivestimenti, a facciate sovrapposte a strutture del tutto indipendenti che definiscono l'aspetto esteriore, il vestito più adeguato dell'opera costruita, la cui struttura, non sempre, è paragonabile per qualità di materiali e manifattura a quelle prodotte nel passato, e molto spesso, invece, sono approssimative e di scarso valore, dettate solo dall'economia e dalla povertà dei sistemi edilizi più diffusi.
Analogamente, come nella prassi più professionale la struttura non è confrontabile con quella controllata da sapienze costruttive antiche, così anche il rivestimento stesso, la decorazione per definirla con maggiore precisione, non persegue più, a differenza di quella pompeiana portata ad esempio, l'intento di sublimare il racconto dei significati propri dell'opera, ma rappresenta solo una modesta ed essenziale posa in opera basata su standard edilizi diffusi quanto esclusivamente derivanti dalla loro tecnica costruttiva ed efficenza prestazionale.
L'abito sovrapposto, più che espressione mediata di contenuti reali, diviene, nel migliore dei casi, la manifestazione dell'adesione ad una moda e al gusto, spesso inconsapevole, del tempo. La trama e la disposizione delle parti componenti non hanno il fine di costruire un ordine e una capacità di proporzionare e misurare il manufatto, ovvero un linguaggio denso di segni significanti che elaborano un contenuto complesso capace di veicolare le ragioni stesse dell'opera, ma solo la configurazione di una forma ritenuta, per similitudine, riconoscibile e quindi capace di trasmettere un senso di appartenenza ad uno stile effimero e superficiale.
Le superfici che racchiudono lo spazio interno, così come quelle che definiscono l'esterno del contenitore architettonico, oltre il concetto di “prestazione” dell'involucro, dovrebbero farsi carico di rappresentare il sistema espressivo con cui veicolare i contenuti che derivano dalla attualizzazione e specificazione dei contenuti funzionali calati nelle dinamiche in divenire della società a cui sono destinati. La scelta dei materiali e della loro posa in opera, la disposizione degli stessi a costruire trame significanti, non dovrebbe essere dettata dalla contingenza, imposta da ragioni di capitolato o di efficienza, dovrebbe piuttosto produrre un sistema simbolico capace di configurare un linguaggio attuale quanto comprensibile, sostituendo i valori della contingenza strutturale e costruttiva e adeguandoli ai contenuti che l'uomo intende esprimere.
Altrimenti, se così non fosse, mentre noi apprendiamo dal nostro passato, studiando l'esistenza di uomini capaci di gestire perfettamente le tecniche ma di ritenerle, tuttavia, insufficienti a diventare forma espressiva dei luoghi da abitare, capaci di individuare i mezzi più elevati per comunicare il proprio tempo ricorrendo a contaminazioni con l'arte e l'artigianato, le generazioni che verranno invece, analizzando attentamente il nostro presente, dovranno dedurre che, in un tempo ricco di conoscenze e di controllo dei processi, pur se sensibili alla sostenibilità e ai consumi, pervasi da una attenzione al benessere fisico e alla salute, l'umanità aveva smesso di raccontarsi attraverso i luoghi in cui aveva scelto di vivere. Insomma che, dimentichi del passato, generazioni con a disposizione mezzi mai immaginati prima, non sentivano più il bisogno di comunicare, attraverso la forma del proprio habitat, le ragioni del loro essere e permanere nel mondo, attenendosi esclusivamente alla corretta esecuzione delle pratiche quotidiane. In definitiva che esseri intelligenti e dotati di cultura tecnologica non avevano più niente da raccontare su di sé, sulla propria vita, non avevano sogni a cui dare forma e, forse, avevano smesso di credere nella costruzione di un discorso condiviso e profondo sul significato di futuro.