L'ingresso all'allestimento
all'Arsenale di Venezia di Cino Zucchi, il grande portale che
accoglie e invita alla mostra INNESTI/GRAFTING, materializza ed
esplicita - come sempre l'architettura deve fare - ben oltre le
dichiarazioni dall'autore, il tema che il curatore del Padiglione
Italia della Biennale Architettura di quest'anno ha voluto affrontare
nell'ambito dell'argomento generale scelto da Rem Koolhaas, Absorbing
Modernity.
Dal punto di vista teorico tale tema
rappresenta una costante, nuova e proficua, ricca di interessanti
declinazioni, che ha caratterizzato la cultura architettonica
dell'inizio di questo nuovo millennio.
E' infatti nel 2000 che in Olanda la
manifestazione Paradise Paradise (catalogo pubblicato nel
2003), con A manifesto for temporary architecture and flexible
urbanism, pone l'attenzione sul rapporto tra città consolidata e
piccole attrezzature temporanee, tra permanente ed effimero, tra ciò
che appartiene al passato e la sua possibilità di essere
rivitalizzato attraverso modificazioni minime, tra continuità
dell'esistente e nuove aggiunte discontinue, autonome e
riconoscibili. Simbolo di tale manifesto è stato il Parasite Las
Palmas a Rotterdam degli architetti Korteknie e Stuhlmacher
(progettato nel 2000 e realizzato l'anno successivo), un piccolo
volume architettonico innestato sulla cima del torrino scala di un
edificio industriale, divenuto simbolo dello skyline della città
olandese, fino al 2005 quando sono iniziati i lavori di
ristrutturazione dell'attuale Nederlands Foto Museum.
Da allora la cultura architettonica ha
preso coscienza di un fenomeno sempre presente nella tradizione
costruttiva, quella di modificare per innovare, di trasformare pur di
conservare la memoria, di sovrapporre per mantenere tutte le tracce
dell'evoluzione, di intervenire a volte anche in maniera irriverente
alterando le testimonianze del passato per dare forma espressiva
all'oggi. Ipotesi metodologica che, dopo lunghe e a volte sterili
riflessioni sullo “stile” capace di rappresentare la propria
epoca, è riuscita ad esprimere una civiltà nata dalla compresenza e
giustapposizione di tendenze provenienti da mondi diversi, capaci
tuttavia di convivere in un unico melting pot.
In Italia la critica ha guardato con
attenzione a tale fenomeno: solo per citare alcune tappe, già nel
2004 il sottoscritto presenta gli esiti di una ricerca fondata sulla
teoria del costruire nel/sul costruito al XIV Seminario di
Architettura e Cultura Urbana di Camerino (atti pubblicati in Interni
urbani 12-13/2005), nel 2007 Michele Bonino cura la pubblicazione
di un testo di Rafael Moneo dal titolo Costruire nel costruito,
nel 2008 Lotus dedica un numero alla Viral Architecture, nel
2009 Sara Marini pubblica il suo testo Architettura parassita -
Strategie di riciclaggio per la città e nel 2011 Renzo Piano,
nell'ambito di Planningcities 2011, lancia l'appello
“Costruire sul costruito” con cui avverte dei rischi di un
eccesso di cementificazione a causa della mancanza di una cultura del
riuso dell'esistente. Infine nel solo 2012 la rivista
Architettura&città dedica un numero al tema Costruire
nel costruito - Architettura a volume zero, il Festival
dell'Architettura intitola una sezione allo stesso argomento e alla
Biennale di Venezia la Germania dedica il suo padiglione al tema
Reduce Reuse Recycle. Resource Architecture
così come, estendendo i confini del tema, il MAXXI propone al grande
pubblico la mostra Re-cycle
(2011/12).
In soli quindici anni un fenomeno
intellettuale conscio dell'impossibilità di promuovere grandi
cambiamenti all'interno della città disomogenea o non progettata, e
orientato ad una rivoluzione quotidiana fatta di piccoli gesti, di
innesti mirati tesi a rivalutare l'esistente, ha dato vita ad una
prassi progettuale, ad un approccio metodologico diffuso e condiviso,
multiscalare e dagli ampi obiettivi.
Aggiunte, addizioni, superfetazioni,
parassiti, innesti, stratificazioni, aggregazioni, comunque si voglia
chiamarli, a qualunque scala - urbana, architettonica, arredativa - o
luogo - periferie, centri storici, tessuti consolidati, vuoti - si
intenda applicarli, sottendono comunque una nuova consapevolezza
progettuale desunta dal riconoscimento dei valori dell'esistente,
dalla coscienza del recupero, dalla necessità di compresenza di
antico e nuovo, del valore semantico desunto dall'aggregazione
apparentemente casuale di segni discreti.
Dal punto di vista prettamente teorico
tali interventi, con le dovute differenze, convergono su due filoni
disciplinari - “costruire nel costruito” e “costruire sul
costruito” - entrambi finalizzati a rinnovare l'esistente riusando
manufatti che hanno perso il loro valore originale, attraverso
l'innesto di parti nuove aggiunte discontinue e riconoscibili,
tuttavia capaci di aggiornare i valori spaziali delle preesistenze,
ottenendo nuovi luoghi carichi di significati affini alle richieste
di prestazioni e di sensi della contemporaneità.
L'azione di “costruire nel costruito”
interviene sullo spazio di un manufatto del passato, sul suo interno,
per rivitalizzarlo senza che le strutture siano modificate, agendo
quindi sul contenuto stesso dell’architettura e operando su
un’unità teoricamente indivisibile, concepita con una coincidenza
di sensi e di espressione. Lavorare solo su un interno privo della
sua funzione originale significa riuscire a separare lo spazio dalla
realtà fisica della struttura che lo ha conformato e assumerlo come
puro contenuto da ri-progettare, significa cioè lavorare sul
“significato” dell'architettura lasciando intatto il
“significante”.
“Costruire sul costruito”, invece,
a partire proprio dall'involucro, dal “significante” non più
capace di esprime il suo “significato”, ipotizza un approccio
metodologico basato su interventi minimi capaci di aggredire
l’esistente, di “sovrapporsi” ad esso e di suggerire nuove
potenzialità prima non previste dalla realtà costruita.
E' la teoria del “parassitismo”
desunta dall'osservazione dei fenomeni naturali, dove molti sono gli
esempi di reciproco aiuto tra esseri viventi diversi, forme di
assistenzialismo e dipendenza che in realtà costruiscono unioni
simbiotiche che realizzano un vantaggio reciproco.
L’idea del “costruito sul
costruito”, di qualcosa di autonomo e identificabile nella sua
essenza materica e formale rispetto l’esistente, vuole suggerire la
possibilità di affrontare il “caos” con nuove entità
indipendenti e autonome, capaci di innestarsi sulla realtà
oggettiva, e di restituire a questa nuove possibilità d’uso e di
fruizione, di comprensione e di lettura. Interventi non
necessariamente confrontabili con la scala del preesistente, oggetti
a scala umana, in grado però di modificare le ragioni stesse di uno
spazio o di un luogo.
Il principio di entità nuove ed
estranee aggiunte al preesistente suggerisce una modificazione in cui
le diverse fasi della stratificazione nel tempo siano tutte leggibili
e, soprattutto, in grado di conservare l’integrità dell’originale
affinché questa possa, almeno teoricamente, essere in ogni momento
recuperata, aumentando lo spessore della stratificazione della
memoria per percepire le trasformazioni attraverso segni impressi
sulla storia.
La prassi progettuale corrente ci
mostra molti esempi assimilabili ai principi descritti, in ogni parte
del mondo, con diverse tecnologie, scale e finalità anche distinte,
tutti comunque attenti alla lettura di ciò che culturalmente è in
grado di persistere, di esigere attenzione e cura per continuare a
partecipare alla vita dell'uomo. Le azioni progettuali proposte non
sono sempre rispettose dell'integrità della composizione o
morfologia originaria, ma sono la materializzazione del desiderio
collettivo di conservare e rilanciare i valori riconosciuti quali
testimonianze vive della propria cultura. Gli “innesti” diventano
lo strumento con cui dare forma al presente, non segni esaustivi
capaci di interpretare il bisogno assoluto di nuovo, ma
contrapposizioni e accostamenti tra parole che, singolarmente
sarebbero prive di senso e che, insieme, sono in grado di prospettare
un futuro da vivere, con un linguaggio non aulico e da tutti
comprensibile.