Lettera (e non solo) ad uno studente di architettura
di Grazia Fioretti
Come si intuisce dal titolo “Lettera (e non solo) ad uno studente di architettura” è un libro scritto e pensato avendo come interlocutore uno studente di architettura. Paolo Giardiello, docente di architettura di interni presso il Dipartimento di Architettura della Fede- rico II di Napoli, racconta frammenti, appunti di lettere, il cui principale obiettivo è quello di conversare liberamente di architettura con chi ha scelto il difficile mestiere dell’architetto.
Sono racconti collegati tra loro in un crescendo che porta chi legge ad appassionarsi, innamorarsi dell’architettura; a capire cosa essa sia, cosa significhi “farla” e quale possa essere il modo più appropriato di approcciarsi a essa. Singolare la scelta stessa dei titoli dati ai paragrafi; solo per citarne alcuni: “Wilma dammi la clava”; “Salviamo l’ornitorinco”; “Perché una lavatrice non è una poltrona”; titoli che a una prima lettura non lasciano comprendere quale sia il tema trattato, ma che, al momento della lettura, appariranno come la più chiara e diretta sintesi di quanto lo scrittore vuole tramandare.
Il libro nasce successivamente a una lettera scritta dopo una lezione e revisione avuta in uno dei suoi corsi, rendendosi conto di parlare un altro linguaggio rispetto agli studenti.
Se il ruolo di uno studente è quello di “applicarsi con il fine di comprendere”, in discipline come l’architettura ”applicarsi” è più complicato perché non basta svolgere l’esercizio assegnato, occorre che la conoscenza delle materie apprese possa fondersi in una capacità espressiva e propositiva; c’è bisogno di volontà e passione, sentimenti che non si possono insegnare, al più “contagiare”.
Ed è questo che l’autore cerca di fare: “contagiare” chi legge, “contagiare” la passione che da studente, da architetto e poi da professore lo ha sempre spinto a informarsi e a “fare” architettura, avendo come obiettivo quello di riuscire a emozionare chi la utilizza... l’uomo. Ciò che andiamo progettando dovrà essere una rappresentazione spaziale a cui poter attribuire valori e contenuti e non un “vuoto a perdere”, un corpo sterile e fine a sé stesso, ma un elemento capace di determinare un habitat in cui l’uomo possa riconoscersi e vivere; luoghi di “interiorità” nei quali poter mettere in scena la propria vita.
Nell’ultimo capitolo, alla domanda che preoccupa la maggioranza degli studenti sul cosa sarà di loro come progettisti, Paolo Giardiello risponde: “sarà, quello che voi sarete”, ai traguardi raggiunti dovrete arrivarci con la convinzione di essere stati architetti fino in fondo; magari non maturi, ma con lo spirito giusto di coloro che sanno quello che vogliono ottenere
Per questo “Lettera (e non solo) ad uno studente di architettura” è, a giudizio di chi scrive, un libro non solo dedicato agli studenti, ma anche a chi lo è stato, in ricordo di quanto provato durante quegli anni che, anche se ricchi di paure e contraddizioni, resteranno sempre gli anni più belli della nostra vita... e non solo perché più giovani.
Il libro nasce successivamente a una lettera scritta dopo una lezione e revisione avuta in uno dei suoi corsi, rendendosi conto di parlare un altro linguaggio rispetto agli studenti.
Se il ruolo di uno studente è quello di “applicarsi con il fine di comprendere”, in discipline come l’architettura ”applicarsi” è più complicato perché non basta svolgere l’esercizio assegnato, occorre che la conoscenza delle materie apprese possa fondersi in una capacità espressiva e propositiva; c’è bisogno di volontà e passione, sentimenti che non si possono insegnare, al più “contagiare”.
Ed è questo che l’autore cerca di fare: “contagiare” chi legge, “contagiare” la passione che da studente, da architetto e poi da professore lo ha sempre spinto a informarsi e a “fare” architettura, avendo come obiettivo quello di riuscire a emozionare chi la utilizza... l’uomo. Ciò che andiamo progettando dovrà essere una rappresentazione spaziale a cui poter attribuire valori e contenuti e non un “vuoto a perdere”, un corpo sterile e fine a sé stesso, ma un elemento capace di determinare un habitat in cui l’uomo possa riconoscersi e vivere; luoghi di “interiorità” nei quali poter mettere in scena la propria vita.
Nell’ultimo capitolo, alla domanda che preoccupa la maggioranza degli studenti sul cosa sarà di loro come progettisti, Paolo Giardiello risponde: “sarà, quello che voi sarete”, ai traguardi raggiunti dovrete arrivarci con la convinzione di essere stati architetti fino in fondo; magari non maturi, ma con lo spirito giusto di coloro che sanno quello che vogliono ottenere
Per questo “Lettera (e non solo) ad uno studente di architettura” è, a giudizio di chi scrive, un libro non solo dedicato agli studenti, ma anche a chi lo è stato, in ricordo di quanto provato durante quegli anni che, anche se ricchi di paure e contraddizioni, resteranno sempre gli anni più belli della nostra vita... e non solo perché più giovani.
Rassegna aniai 2/2014