E' finalmente in stampa il mio ultimo libricino, Pensar hacer, imaginar. Tres lecciones de interiorismo, per i tipi della casa editrice della Universidad Autonoma de Aguascalientes. Si tratta di un libro in spagnolo e italiano dove ho raccolto tre lezioni (scritte in spagnolo per il publico messicano) sul tema dell'interno architettonico e tenute presso tale università nel 2013.
Un piccolo lavoro che mi ha costretto ad un grande sforzo di sintesi sullo "stato dell'arte" della nostra disciplina per raccontare a colleghi lontani chi siamo stati, chi siamo e forse anche cosa saremo.
Di seguito, per stuzzicare la vostra curiosità, riporto - in anteprima - la prefazione al libro.
PG
PREFAZIONE
Non
ho mai scritto una lezione, cioè non l'avevo mai fatto fin'ora.
Certo le preparo, con cura, in maniera quasi maniacale, raccolgo
citazioni e riferimenti, predispongo immagini e filmati, compongo
insomma la struttura di sostegno e i contenuti di un momento che,
tuttavia, ritengo debba sempre essere “in diretta”, “dal vivo”,
che non si possa cioè leggere. Soprattutto che il linguaggio di una
lezione non può essere quello di un testo o di un saggio e che
scrivere con lo stesso tono con cui si parla è decisamente
difficile. Dirò di più, non sopporto chi legge le lezioni, chi
legge una conferenza come se fosse un telegiornale. Ritengo che
comunicare ad un pubblico sia un lavoro difficile, e che bisogna
saperlo fare, che non si può quindi “aggirare” con stratagemmi
come quello di leggere un testo scritto precedentemente. Bisogna
“sentire” la sala, percepire l'umore e il grado di attenzione
dell'uditorio, riferirsi all'intervento che, magari, ti precede o ti
segue. Malgrado questo rimanga fermamente il mio modo di intendere
una “lezione”, quando sono stato invitato a tenere un breve corso
di due lezioni ai docenti delle discipline degli interni
dell'Universidad Autonoma di Aguascalientes, e una lezione
“magistrale” all'intero corpo docente dell'ateneo in occasione
del X° Taller de Interiorismo, ho avuto la netta percezione che
avrei dovuto compiere una scelta importante: o tenere una lezione
senza l'ausilio di un testo scritto, come mio costume, ma solo con
una scaletta di argomenti su cui basarmi, ma nella mia lingua, in
italiano, oppure di aiutarmi con un testo scritto e tradotto in
spagnolo per poter comunicare più direttamente, in prima persona e
senza traduzioni, attraverso il mio traballante “castellano”.
L'invito
è giunto prima dell'estate, estate che ho passato a raccogliere le
idee, a scrivere appunti, a rintracciare frammenti dei miei scritti
con cui rispondere ai temi - difficili - che mi erano stati
assegnati. Scrivendo, le due lezioni per il seminario dedicato ai
docenti e la lezione magistrale cominciarono a comporre un unico
percorso logico, un “trittico” di lezioni, un ragionamento
continuo unito da un filo conduttore: lo stato dell'arte della
ricerca del progetto di interni, il contributo della ricerca alla
professione, il futuro della disciplina, del suo insegnamento, della
ricerca applicata agli interni in architettura; in sintesi: pensare,
fare, immaginare. Più cercavo di rispondere alle richieste poste,
più i frammenti slegati e sciolti di idee e ragionamenti si legavano
tra loro, si componevano in un sistema coerente e logico che andava
oltre il semplice sistema di appunti, prendendo la forma di un testo,
di un testo che nasceva per essere comunicato a voce.
Così
ho letto le mie prime lezioni, senza l'ausilio della parte scritta
non mi sarei mai sentito sicuro di comunicare ad una platea in
Messico nella loro lingua, lingua che parlo a livello elementare ma
che amo e che vorrei conoscere sempre più.
Non
si tratta di traduzioni eleganti, di contenuti riportati con sapienza
da una lingua ad un'altra, ma di un passaggio da un idioma ad un
altro finalizzato alla comprensione immediata, alla comunicazione
verbale, senza pretese e di cui chiedo scusa anticipatamente. A
differenza delle lezioni “normali” questa volta infatti mi è
rimasto però molto materiale: i testi in italiano, le traduzioni in
spagnolo, le immagini. Materiale che non ha certo l'immediatezza
della lezione, che non racconta gli scivoloni di pronuncia, la gola
secca, le risate del pubblico e gli applausi, di rito, finali, ma che
racconta comunque, anche oltre i contenuti, il rispetto e la
responsabilità nei confronti del “mestiere”di docente. Il libro
è quindi un atto dovuto, verso coloro che mi hanno invitato a
celebrare con loro dieci anni di un importante seminario
internazionale di architettura degli interni, nei confronti della
scuola da cui provengo, verso gli studenti che ogni anno, sempre
nuovi, sempre diversi, aspettano di essere da noi guidati nella loro
formazione di architetti.
PG