“Il cosiddetto comfort non è nella casa all'italiana solo nella rispondenza delle cose alle necessità, ai bisogni, ai comodi della nostra vita e alla organizzazione dei servizi. Codesto suo comfort è qualcosa di superiore, esso è nel darci con l'architettura una misura per i nostri stessi pensieri, nel darci con la sua semplicità una salute per i nostri costumi, nel darci con la sua larga accoglienza il senso della vita confidente e numerosa, ed è infine, per quel suo facile e lieto e ornato aprirsi fuori e comunicare con la natura, nell'invito che la casa all'italiana offre al nostro spirito di recarsi in riposanti visioni di pace, nel che consiste nel vero senso della bella parola italiana, il CONFORTO”[1].
Così scrive nel 1928 Gio Ponti su DOMUS prendendo le distanze dall’estetica modernista della macchina, dal mito dell’innovazione tecnologica e dalla ricerca di materiali o prodotti all’avanguardia. Ponti, nel rivendicare la specificità della casa italiana, promuove una visione del moderno volta a costruire “il senso della vita”, fondata sull’accoglienza intesa come corrispondenza di percezioni, emozioni e sensazioni proprie di un abitare misurato, confortevole perché offre “conforto” – fisico e psicologico – all’abitante.
Ponti, impegnato dal progetto urbano, all’architettura, ai dettagli, alla decorazione, al disegno di mobili e delle suppellettili, promuove la costruzione di “luoghi” – accoglienti e confortevoli –, adatti allo svolgimento della vita dell’uomo, in linea con le variazioni del gusto, la cultura del tempo, le mode e le innovazioni destinate ad avere una ricaduta sull’abitare quotidiano.
Più di novanta anni dopo tale messaggio, la contemporaneità si confronta con un uomo diverso, con una esigenza di “conforto” derivante da stili di vita fondati sulle nuove tecnologie digitali, su abitudini che hanno messo in discussione i concetti di reale e virtuale, ma anche il senso stesso di luogo. I social media, internet e la comunicazione costante e diffusa attraverso strumenti portatili, hanno modificato il senso di solitudine e partecipazione, le relazioni interpersonali, alterando la percezione del luogo in cui si è, quindi anche il rapporto tra l’uomo e l’ambiente.
Le esigenze, le aspettative sugli spazi da abitare sono sempre più ridotte a favore di una richiesta pressante di “prestazioni”, non peculiari dei luoghi ma a servizio degli strumenti, al fine di essere connessi, per raggiungere luoghi virtuali anche se a tutti gli effetti reali in quanto “vissuti”. L’ambiente dove fisicamente si risiede è paradossalmente secondario rispetto alle opportunità, sentite come primarie, di essere dentro un sistema di connessioni e relazioni mediate da apparecchiature digitali. Il confort percepito deriva dal rendimento auspicato, dal corretto funzionamento delle tecnologie capaci di fornire relazioni, informazioni e comunicazioni.
Ricevere “conforto” oggi, per l’uomo inteso nella sua inscindibile unità fisica e psicologica, corporea ed emozionale, significa percepire i luoghi misurati ai comportamenti, essere in uno spazio abitabile riconoscibile capace di unire la dimensione materiale e quella immateriale, in coerenza con la sua nuova visione del mondo.
Progettare il “conforto” comporta vedere i luoghi non confinati al solo percepibile e percorribile quanto piuttosto integrati ed estesi alle dimensioni virtuali che hanno, tuttavia, concrete e tangibili ricadute nello svolgimento della vita. Significa avere una visione in grado di ampliare i confini dello spazio fisico alle infinite potenzialità dello spazio digitale, andare oltre la domotica e immaginare una programmazione flessibile delle prestazioni come dei sensi degli ambienti, integrare gli strumenti e non ospitarli, assumendo le tecniche digitali come parte sostanziale delle qualità del luogo in cui si è. Controllare e misurare, secondo una strategia sinergica, i diversi livelli fruitivi, può permettere all’uomo di realizzare un nuovo spazio relazionale, accogliente e confortevole, in cui riconoscersi e da cui entrare in contatto con gli altri.
[1] Gio Ponti in “La casa all’italiana”, Domus, n. 1, gennaio 1928, p. 7.