cos'è architettura & co.

architettura & co. è stato pensato da paolo giardiello per mettere a disposizione di tutti, in particolare dei suoi studenti, i propri scritti, ricerche e riflessioni sull'architettura. il blog contiene testi pubblicati, versioni integrali di saggi poi ridotti per motivi editoriali, scritti inediti o anche solo riflessioni e spunti di ricerche. per questo non ha un ordine determinato, non segue un filo logico, ma rappresenta solo la sequenza temporale di occasioni in cui parlare di architettura, prima di farla "parlare", come invece dovrebbe, normalmente, essere.

22 ottobre 2005

Arti figurative e architettura degli interni

Il tema proposto invita ad analizzare le relazioni che intercorrono tra l’architettura, ed in particolare le discipline afferenti all’architettura degli interni, e le arti figurative, relazioni tanto evidenti da essere date addirittura, a volte, per scontate. Per tale ragione, evitando di ripercorrere pedantemente fasi storiche in cui le arti figurative, e le cosiddette avanguardie artistiche in particolare, hanno influenzato il linguaggio architettonico, si è creduto opportuno cercare di capire in che modo e con quali esiti (come e dove) la pittura, la scultura o anche la grafica sia in grado intervenire sulla realizzazione del progetto di architettura, dell’oggetto di arredo, della scenografia.
Occorre pertanto fare un passo indietro e capire cosa accomuna o distingue l’architettura dalle arti figurative, a partire proprio dalla definizione di architettura.

L’architettura è L’ARTE DI COSTRUIRE SPAZI PER L’UOMO, EMOZIONANDOLO. Essa è cioè la costruzione “sensibile” degli spazi dove si svolge la vita dell’uomo e dove questa – la vita – prende forma, si pone in essere.
Tale definizione parte dal principio che l’architettura è l’arte del costruire o, se vogliamo, il costruire con arte, essa è cioè la sintesi del sapere umanistico e tecnico/scientifico (arte e costruzione) finalizzata alla realizzazione di spazi per l’uomo, di luoghi dove l’essere umano possa svolgere le sue attività e soddisfare i suoi bisogni fisici e psicologici e che in tali spazi il fruitore possa provare emozioni, possa cioè ritrovare contenuti e sensi in grado di commuoverlo. Lo stesso Le Corbusier, infatti, diceva che “significato dell’architettura è commuovere”.

Ora questi due concetti – il costruire lo spazio e l’emozionare l’uomo – sono rispettivamente quello che distingue l’architettura dalle altre arti e quello che invece fa sì che essa venga annoverata tra esse. L’architettura ha come specificità rispetto alle arti visuali e plastiche quella di essere dotata di una propria spazialità interna, di racchiudere ambiti fruibili, mentre ha invece in comune con esse e con tutte le manifestazioni artistiche, il fine di raggiungere la sfera emotiva e psicologica dell’uomo, cioè di emozionarlo e di commuoverlo.
Se è vero che “le case sono fatte per viverci non per essere guardate” (Francesco Bacone) è pur vero che “l’uomo è circondato da un mondo pieno di meraviglie […] un’armonia […] che mantiene il suo spirito insoddisfatto in uno stato di continua tensione” per cui “egli evoca come per incanto quella irraggiungibile perfezione” costruendosi “un mondo in miniatura” concluso e perfetto (G. Semper).

Se le arti sono quindi accomunate dalla capacità di “portare a compimento in se’ stesse un sommovimento emozionale” (G. Ottolini) è pur evidente che esse sono in grado di raggiungere tale scopo attraverso le loro specifiche “forme materiali”, attraverso cioè il medium con il quale esse comunicano all’uomo i propri contenuti: i contenuti posso infatti essere anche gli stessi per tutte le arti, mentre il modo con cui essi si manifestano e i materiali con cui sono posti in essere appartengono in maniera univoca ad ognuna di esse.

Sono pertanto tali “contenuti”, in grado di provocare reazioni ed emozioni nell’uomo, che possono trasmigrare da una forma d’arte all’altra e da queste all’architettura, mentre le “forme materiali”, il modo di concretarsi, devono di volta in volta adeguarsi a regole, strumenti e modalità specifici, così come anche il grado di coinvolgimento dell’uomo, i sensi messi in gioco e la durata di tali emozioni può variare da una forma espressiva ad un’altra, da un’arte all’altra.
La materia quindi che sostanzia l’architettura è, come abbiamo detto, il suo spazio interno; ma tale spazio non può esistere, non può essere raccontato, conosciuto, se non attraverso la struttura che lo delimita, attraverso cioè il contenitore di tale spazio.
L’architettura quindi utilizza, come medium verso l’uomo, lo spazio nella sua dimensione fisica e l’involucro che lo contiene, con le sue connotazioni geometriche, materiche e espressive e, l’insieme inscindibile di spazio e struttura è cio che si fa portatore dei contenuti da comunicare, del racconto da trasmettere.
Spazio e margini, non ci si può esimere, richiamano alla memoria la teoria semiologica applicata all’architettura di Renato De Fusco che vede il segno architettonico composto da un significante e da un significato che coincidono, appunto, con lo spazio interno e l’involucro. Tale teoria, che pure nel tempo ha mostrato in parte i suoi limiti, ha avuto comunque l’indubbio merito di considerare significato dell’architettura il suo spazio interno e di individuare nelle figure che caratterizzano i margini interni dell’involucro architettonico, le componenti che specificano il significato, cioè il senso stesso dello spazio.
Possiamo quindi dire che l’esperienza architettonica si fonda sull’emozione prodotta dalla conformazione dello spazio unitamente a quella suggerita dal trattamento del margine interno dell’involucro che lo racchiude.

Si insiste su queste definizioni in quanto, se vogliamo circoscrivere i luoghi dove rintracciare – sotto altra forma e con altre modalità – contenuti e sensi, significati e messaggi trasmigrati dall’arte all’architettura, dobbiamo guardare alla forma dello spazio e al trattamento morfologico e materico dei margini. L’architettura infatti prima di tutto mutua dalle arti figurative – che di per se’ hanno la possibilità di sperimentare prima e più semplicemente la volontà di esprimersi dell’artista – contenuti che essa trasferisce nel linguaggio che le è proprio, a dire il vero a volte anche con modalità espressive direttamente prese a prestito, attraverso cioè suggestioni spaziali e conformazione dei luoghi da abitare, oltre che forma e figure dell’involucro.

Facciamo un esempio: la decorazione parietale, il disegno di pavimenti o soffitti, la morfologia dei terminali architettonici, fino agli oggetti di arredo fissi e mobili possono riproporre forme, colori, proporzioni, rapporti, accostamenti tra materiali che provengono da modalità espressive proprie della pittura o della scultura, contemporaneamente principi come l’equilibrio, la velocità, la riduzione, che sono alla base di movimenti artistici come l’astrattismo, il futurismo, l’arte povera, hanno la possibilità di modificare la forma stessa dello spazio, la sua morfologia, i rapporti tra percezione e uso, da suggerire all’uomo comportamenti, movimenti, percorsi e stili di vita del tutto originali.
Non a caso l’esperienza fruitiva dello spazio architettonico è data da un momento contemplativo e da uno partecipativo. Uno che costruisce una emozione cognitiva attraverso la lettura del racconto espresso dalla decorazione, dai materiali, dalle texture, dalle grane; l’altra che invita al movimento o alla staticità, alla comprensione fisica e tattile dello spazio che così assorbe e guida, trattiene o respinge.

Va comunque distinto nella prassi progettuale un atteggiamento che veicola direttamente – e a volte acriticamente - le strutture formali di una modalità artistica, da un altro che invece ne reinterpreta e ne adegua i significati. In tutti i tempi esiste sempre questa duplice possibilità: casi in cui l’architettura degli interni preleva ad esempio dalle arti figurative colori e pattern geometrici che divengono la base per decorazioni o per disegni di stoffe e tappeti, altri casi invece in cui la volontà per esempio di ridurre ad astrazione pura, eliminando riferimenti naturalistici o matrici, porta a reinventare sistemi strutturali basati sulla semplice giustapposizione di pattern geometrici elementari ed essenziali come nel caso di de stijl. Lo stesso futurismo in architettura a fronte di grandi suggestioni che rimettono in discussione la concezione stessa dello spazio interno, il rapporto tra interno ed esterno espresso dal margine, l’uso di tecnologie che offrono tensioni e rapporti tra le strutture del tutto innovativi, offre un panorama parallelo dove sono solo i pattern decorativi ad ammiccare al nuovo linguaggio artistico. In questo tipo di distinzione va detto che normalmente l’atteggiamento meno critico lascia lo spazio inteso in senso tradizionale intatto e gioca solo sulle figure dei margini, mentre modalità di operare più critiche coinvolgono la forma e il senso stesso dello spazio unitamente ai sistemi decorativi fino al disegno e alla logica costitutiva dei sistemi di arredo. Il già citato movimento de stijl, ad esempio, rilegge dall’esperienza pittorica di Mondrian e degli artisti del tempo, non solo il segno astratto e l’uso del colore che va a modificare la natura degli apparati decorativi, ma ne intuisce la rivoluzione della composizione e dell’equilibrio delle parti che si tramuta in realtà tridimensionali vivibili e fruibili, compresi gli oggetti d’arredo – non a caso la sedia è lo spazio minimo che può ospitare l’uomo – e i dettagli più piccoli che definiscono l’involucro architettonico.

Oltre questa ideale simbiosi di sensi e contenuti tra le varie forme d’arte e l’architettura, scambio intenso e proficuo che normalmente si verifica a seguito di momenti di grande rivoluzione culturale che coinvolgono aspettative radicate della società – basta ricordare il travaso di contenuti da movimenti artistici all’architettura nel liberty, nell’art decò, dall’astrattismo al razionalismo, nel futurismo, nell’espressionismo, in de stijl – le influenze delle arti figurative nell’architettura possono essere anche non così dirette e non per questo meno importanti e diffuse. Infatti oltre alla rilettura dei sensi e alla traduzione di un linguaggio formale e materiale proprio di un’arte ad un altro a volte l’architettura preleva dal mondo delle arti visive suggestioni puramente formali, prive del contenuto originario che vengono ad assumere significati nuovi proprie dell’altra disciplina. Basta pensare a quanto l’architettura ha saputo rileggere nella pittura e nella scultura del passato, ma a volte anche nella grafica e nelle espressioni della moda e, più recentemente, dalla pubblicità, dai sistemi di comunicazione, dal cinema, dal mondo dell’arte informatica. Strutture formali, ipotesi d’uso dello spazio, potenzialità della materia che, assolutamente non appartenenti al modello originale, trovano a volte anche a distanza di molto tempo, la possibilità di dare forma a contenuti nuovi e contemporanei. Si tratta non più di capire il contenuto originario ma di valutare potenzialità di cui l’opera d’arte è comunque veicolo: dalle modalità tecniche ai soggetti rappresentati, dal modo di rappresentare o di negare il legame con la realtà.

Si può ricordare un esempio molto diffuso in ambito didattico che esprime al meglio il concetto di rintracciare contenuti sopiti in opere d’arte non appartenenti alla contemporaneità: il San Girolano di Antonello da Messina che a distanza di anni diventa in tempi recenti l’icona di un modo di pensare all’oggetto di arredamento come struttura capace di qualificare in se’ lo spazio architettonico (macroggetto), ricerca ancora attuale ma che trova il suo apice nelle esperienze degli anni ’60. O anche alle espressioni pittoriche di Giotto che mostrano pale e altari visti dal di dietro che, nella loro nuda capacità materia, divengono fondamento per una cultura costruttiva e espressiva essenziale, priva di orpelli e linguaggi sovrapposti, quasi dei prodomi della cultura dell’espressività della tecnologia. Oppure a tutta la cultura visiva dei luoghi attrezzati intorno alla finestra che diventa la suggestione per ripensare a tale componente non più come un mero apparato tecnologico bensì come luogo dove raccogliersi, terminale dell’architettura polifunzionale. O più recentemente come una certa cultura metafisica che ha pervaso l’opera di pittori italiani come De Chrico abbia suggerito un nuovo linguaggio dell’architettura e fin’anche della forma della città.

Non va poi dimenticato quanto dell’arte sia divenuto semplicemente matrice formale, icona priva di contenuto, supporto geometrico per nuove decorazioni o forme simboliche, suggestione costruita intorno al salto di scala e all’alterazione dei materiali costitutivi originali. Spesso manifestazioni artistiche di popoli lontani vengono recepite per il solo valore espressivo e liberate da qualsiasi implicazione propria della cultura che le ha prodotte. Basta fare l’esempio di come l’arte e la cultura centroamericana sia diventata nell’opera di Wright altro rispetto al modello originale, supporto formale di decorazioni e base morfologica per geometrie su cui comporre spazi per l’uomo e sistemi di arredi integrati.

Infine va almeno accennato a come le influenze tra l’architettura e l’opera d’arte siano reciproche, o come addirittura l’architettura, ed in particolare il suo spazio interiore, sia in grado di partire da contenuti e modalità delle arti figurative fino a trasformarsi esso stesso in nuovo contenuto simbolico, in espressione artistica di un preciso significato, in simbolo sintetico di una cultura e di una società. Valga l’esempio del padiglione di Barcellona di Mies, dove i riferimenti da lui espressi nella composizione planimetrica e volumetrica dell’opera discendono dalla cultura artistica espressa dal movimento neoplastico, ma dove lo spazio interno e l’integrazione di questo con gli oggetti, le finiture e non ultimo l’uomo, realizzano una composizione stringente intorno ai contenuti simbolici, propri di un padiglione che nasce per rappresentare la cultura di un paese fino a diventarne esso stesso icona e simbolo.

Ovviamente tale gioco di rimandi e influenze reciproche non è così direttamente applicabile ad una prassi progettuale qualsiasi né tantomeno ad una banale libera espressività artistica. La differenza tra la citazione e la copia, tra l’adeguamento dei contenuti e il tradimento dei principi costitutivi informatori dell’opera d’arte può essere paragonata, come scrive K. Kraus, alla distanza che c’è tra un’urna e un vaso da notte, poiché è proprio in questa differenza che la civiltà e la cultura dell’uomo trova il suo spazio.