Secondo un'espressione cara ai primi anni di insegnamento della disciplina, l'architettura degli interni è quel particolare momento della progettazione architettonica in cui, posto l'uomo come protagonista della fruizione dello spazio, si guarda l'architettura dall'interno, ovvero si definiscono con precisione le connotazioni materiche, dimensionali, formali e percettive degli ambienti, precisandone il loro uso e quindi la funzione deputata. A guardare l'architettura dall'interno si percepiscono la qualità e il tipo di trattamento dei margini fisici - pareti, soffitti e pavimenti - i quali contribuiscono in maniera essenziale a specificare i sensi dell'impianto formale e distributivo, fondendosi in un unico insieme significante, dove l'aspetto decorativo interviene proprio nella sua definizione superficiale.
Per procedere, è opportuno però cercare una definizione di decorazione, ed in particolare specificare da cosa va distinta dall'ornamento. A tal proposito J. Rykwert scrive: "entrambi i termini (decorazione e ornamento), si presume riguardano la superficie: ma l'ornamento è forse qualcosa di più elaborato, di più profondo, e richiede un investimento maggiore di energia e denaro. La decorazione è sovente ridotta a un affare di carta e di lampioni colorati - o di pubblicità al neon. Eppure, se si cerca in un dizionario, si scopre che decorazione ed ornamento sono quasi sinonimi. Le definizioni si incrociano, e rimandano sovente da una parola all'altra. Ciò malgrado, in riferimento all'architettura, le due etimologie sono indipendenti. In latino, ornare significava fornire, armare, procurare denaro o uomini - ma anche elogiare, e ornamentum era, in questo senso, tutto ciò che veniva offerto; mentre, per estensione, ornare poteva significare adornare, o abbellire. Decorare deriva dal più semplice decere: essere degno, conveniente, appropriato - per cui il decor era tutto ciò che corroborava queste qualità"(1).
Per cui, come fa notare nel suo testo lo stesso Rykwert(2), ornamentum può essere considerato già inglobato nel concetto più ampio di decor a dispetto di un uso corrente attuale dei due termini che vede la decorazione come qualcosa di più frivolo rispetto all'ornamento. Perciò la decorazione non può essere considerata superflua, sia per il suo contenuto di convenienza, di necessità derivante dall'interpretazione formale data da un determinato contesto sociale alla funzione, che dal punto di vista dell'ordine strutturale, dell'aspetto dei materiali e della loro disposizione. E' proprio su questo che nel tempo si è ampiamente dibattuto, ma quel che appare dalla radice etimologica del termine, cioè dal contenuto primario, è che la decorazione non è mai accessoria ed è sempre lo svelarsi in forma costruita di un percorso di sensi voluto nella costruzione dell'opera, è cioè parte integrante del concretarsi dei significati primari dell'architettura.
Gli interni pertanto, per la loro vicinanza all'uomo, per la loro tattilità, appartenenza al continuo mutare delle aspettative della società, sono i luoghi privilegiati dell'analisi dei sensi e delle necessità della decorazione.
Per introdurre questa tesi ci si può riferire a due scritti teorici. Il primo, ........, nel quale Rudolf Arnheim afferma che: "La grande sfida all'architetto deriva dalla paradossale contraddizione fra la reciproca esclusività degli spazi interni, autonomi ed indipendenti, e del mondo esterno egualmente completo; e la necessaria coerenza dei due in quanto parti dell'indivisibile ambiente umano. Ciò giustifica l'affermazione di Wolfgang Zucker(3), secondo la quale l'erezione di una parete a separazione dell'interno dall'esterno rappresenta l'atto architettonico primevo"(4). Il secondo, ......... di Gaston Bachelard, in cui l'autore dichiara che: "L'essere che ha trovato riparo sensibilizza i limiti del suo stesso rifugio, nella più interminabile delle dialettiche"(5).
Queste due citazioni introducono gli aspetti principali del rapporto tra spazio interno e apparato decorativo dei margini che lo definiscono. La prima ci riporta infatti al senso più arcaico dell'architettura, quello di rapire un frammento di natura delimitandolo, innescando per sempre una relazione di dentro e di fuori in un ambiente che, prima del suo intervento era indifferenziato. Rimarca cioé l'importanza del gesto di perimetrazione, di inclusione di una natura all'interno di una scatola muraria definita. La frattura creata dall'uomo in uno spazio illimitato costruisce la dialettica tra l'interno e l'esterno, tra l'aspirazione a definire una nuova entità spaziale e la sofferenza per la perdita dell'esterno una volta entrati tra le mura della costruzione.
L'altra affermazione ritorna su tale argomento e guarda oramai l'architettura dall'interno, ne valuta i suoi limiti, i margini e scopre in essi la potenzialità a contenere tutte le aspirazioni perdute, a riconnettere almeno idealmente il fuori al dentro, portando su di sé la rappresentazione dei propri desideri inconsci. La "sensibilizzazione" dei limiti del rifugio primordiale sta a indicare l'involucro dell'architettura come luogo deputato a contenere tutte le ipotesi di costruzione dello spazio che la materia ed i limiti percettivi non consentono di realizzare altrimenti. Poiché, come lo stesso Arnheim suggerisce: "Nessun problema spaziale caratterizza l'opera dell'architetto più dell'esigenza di vedere l'esterno e l'interno in reciproca relazione - vale a dire sinotticamente, come elementi della stessa concezione"(6).
La necessità di una relazione tra l'interno e l'esterno ovviamente modifica grandemente la forma e la strutturazione stessa dell'involucro spaziale che, a seconda della cultura degli uomini e delle possibilità tecnologiche a loro disposizione, porta su di sé le scelte progettuali, alterando la sua natura di mera struttura portante, assumendo cioè conformazioni significanti del modo di relazionarsi degli spazi.
Alle possibilità offerte da una continuità spaziale diretta e reale, ottenuta cioè con l'apertura o la trasparenza del margine murario, si aggiunge l'opportunità data dalla definizione materica, formale e figurativa dei margini stessi, che possono suggerire, attraverso le tecniche più disparate, ipotesi di spazi non reali, rimandare cioè ad uno spazio virtuale necessario alla definizione ed alla comprensione di quello effettivamente fruibile. In quanto "i valori di riparo sono talmente semplici, così profondamente radicati nell'inconscio, che li si ritrova piuttosto evocandoli che minuziosamente descrivendoli. [...] Il pittoresco eccessivo di una dimora può celare la sua intimità"(7).
E la capacità evocativa del trattamento superficiale dei margini dell'architettura sta a significare una proposizione di sensi mediati, non diretti ma accuratamente strutturati in modo da costituire ogni volta uno stimolo nuovo per il fruitore.
La ricerca dell'esterno, o meglio l'aspirazione ad una continuità di sensi tra la costruzione di una natura artificiale mite e perfettamente calzante all'uomo e la natura reale esterna carica di miti e poteri incontrollabili, è più marcata lì dove la condizione al contorno, ad esempio quella urbana rispetto a quella rurale, rende irraggiungibile tale ricongiungimento. La città, e quindi la casa, sono la costruzione di tutti i desideri inconsci dell'uomo eppure, nel suo concretarsi, esclude necessariamente il legame con la natura naturale.
"Si ha il godimento della natura quando la fantasia crea nell'uomo queste immagini, dischiudendo ai suoi occhi scenari naturali, ampliandoli e adattandoli al suo stato d'animo, così che egli crede di percepire in un singolo aspetto l'armonia del tutto e, grazie a questa illusione, per qualche attimo si sottrae alla realtà"(8). Con queste parole G. Semper evidenzia un altro parametro che è quello che interessa il rapporto tra realtà virtuale e realtà percettiva. Infatti, se la realtà può essere percepita e decodificata dal fruitore secondo vari livelli di conoscenza, ovvero può anche lasciare indifferente l'osservatore non attento, altresì la realtà virtuale, cristallizzando solo alcuni aspetti della natura, puntando cioè su alcuni significati primari da comunicare, realizza un più diretto contatto con l'uomo, stimolando la sua "fantasia" e creando così il "godimento" della natura. In altri termini la realtà manipolata dall'uomo, pur secondo approssimazioni e astrazioni successive, risulta più facilmente decodificabile e comprensibile perché già filtrata dall'analisi critica dell'operatore, dell'artista o dell'architetto, che propone, distinti, alcuni significati piuttosto che altri ma che, in un gioco di rimandi e di memorie, riconduce ad un senso globale che è quello che desidera comunicare.
La percezione di realtà suggerite dalle decorazioni appartengono maggiormente alla sfera della contemplazione, attraverso il solo senso della vista implica comprensione ed elaborazione mentale, ed è quindi legata alla conoscenza, alla cultura e alle aspettative interiori del fruitore; invece lo spazio reale è fisicamente fruibile e comporta quindi una partecipazione di tutti i sensi, un coinvolgimento globale dell'essere che solo successivamente viene elaborato razionalmente.
Ma, come dice Arnheim: "la differenza fra esigenze fisiche e mentali è meno ovvia di quanto non sembri. Tutte le richieste fisiche dell'uomo si esprimono come esigenze mentali. Lo stesso desiderio di sopravvivere, di estinguere la fame e la sete, è una domanda mentale sviluppatasi nel corso dell'evoluzione per garantire la continuazione della specie. [...] Così, i bisogni che un architetto soddisfa sono esclusivamente mentali. Gli abitanti di un edificio troverebbero difficile tracciare una ragionevole distinzione fra la protezione dalla pioggia, una illuminazione sufficiente a leggere il giornale, verticali ed orizzontali che bastino a soddisfare il senso dell'equilibrio, e pareti e pavimenti ricoperti di colori e forme indispensabili per trasmettere, per il tramite degli occhi, la gioia di un'esistenza piena. In effetti il criterio tradizionale di funzionalità si riferisce non alla soddisfazione delle esigenze "fisiche" del committente, ma più semplicemente agli elementi necessari a creare e a sostenere la struttura fisica della costruzione"(9).
Così la globalità delle esperienze legate ai sensi sono in conclusione principalmente riferibili al loro portato, ai contenuti in grado di evocare, più che alla soddisfazione corretta dei bisogni primari. Ne consegue che non esiste gerarchia tra la percezione di una realtà virtuale rispetto a quella materiale, purché entrambe contribuiscano alla costruzione di un senso comunicabile dell'opera. Decorazione e spazio si completano, anche se è possibile, ovviamente, riconoscerne modalità specifiche.
1- Cfr. J. Rykwert, L'architettura e le altre arti, Milano 1993, pp. 12 - 13.
2- Idem, p. 14.
3- Cfr. W. Zucker, Inside and outside in architecture: a symposium, in Journal of Aesthetics and Criticism, autunno 1966, vol. 25, p. 58.
5- Cfr. R. Arnheim, The dynamics of architectural form, 1977 by the Regents of the University of California, trad. it. La dinamica della forma architettonica, Milano 1981, p. 109.
6- Cfr. G. Bachelard, La poétique de l'espace, 1957, trad. it. La poetica dello spazio, Bari 1975, p. 33.
7- Cfr. R. Arnheim, The dymanics ... cit., trad. it. p. 108.
8- Cfr. G. Bachelard, La poétique ... cit., trad. it. p. 40.
9- Cfr. G. Semper, Der Stil ... cit., trad. it. p. 19.
10- Cfr. R. Arnheim, The dynamics ... cit., trad. it. pp. 275-276.
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