Delle mie ferie estive, trascorse in parte, come la maggioranza degli italiani, su una sdraio in una delle località della riviera adriatica, ho conservato con cura, in un angolo della memoria, un'immagine che, come prevedevo, mi sarebbe stata utile nell'introdurre queste considerazioni e che, abusando della vostra pazienza, utilizzerò come filo conduttore in questo breve "viaggio" tra i musei ed i padiglioni espositivi progettati dall'architetto norvegese Sverre Fehn.
Un ombrellone gigante, posto in prossimità del bagnasciuga, costruito con grossi travetti di legno appena sbozzati e coperto da larghe foglie di palma intrecciate, faceva bella mostra di se' nel piccolo stabilimento pescarese dove ho soggiornato, nel vano tentativo di ricreare quella certa aria "riminese" un po' trasgressiva che, nelle intenzioni del proprietario, avrebbe certamente soddisfatto gli ingenui avventori. Essendo isolata rispetto alla ripetitiva ed ordinata "schiera" degli ombrelloni in stoffa colorata tradizionali, quella piccola e grezza costruzione aveva tali capacità di connotare il suo intorno da suscitare in me alcune semplici considerazioni di carattere fenomenologico e psicologico. Per carità, nulla a che vedere con la querelle sulla "capanna primordiale" su cui si sono scontrate ben più dotte scuole di pensiero, ma semplicemente alcune osservazioni derivanti dall'esperienza diretta.
L'ombrellone infatti, non a caso, rispetto alla più nobile "capanna", non ha pareti o pavimento (che nel nostro caso è dato dall'uniforme ed indistinta distesa di sabbia), non racchiude cioè alcuno spazio, anzi il solo "palo" centrale, pur essendo l'unica struttura effettivamente portante, risulta essere talmente esile come presenza fisica rispetto alla ben più visibile copertura (articolata nella sua duplice struttura portante e portata) da essere percettivamente trascurabile. Ma, quel che più conta, ed è infatti la funzione stessa per cui è concepito, esso disegna a terra un'ombra che, sebbene non sia mai stabile (si sposta con il trascorrere delle ore e "scompare", per così dire, al primo nuvolone), definisce ugualmente con grande forza una inconfutabile area di pertinenza della struttura; come scrive Bachelard "il tetto dichiara immediatamente la propria ragion d'essere: esso mette al coperto l'uomo che teme la pioggia ed il sole".
Anzi, spingendosi oltre, è possibile affermare che, tenendo conto soprattutto del comportamento spontaneo, osservato di persona, dei suoi chiassosi, ma simpatici, frequentatori, l'ombra proiettata a terra, il cui disegno, è lapalissiano, vive della geometria e dei rapporti di altezza dal suolo della "copertura" dell'ombrellone, costituisce con questa un sistema che delimita un confine, non solo ideale ma fisico e reale, in uno spazio prima indifferenziato e in cui ora è invece possibile riconoscere una parte "privatizzata" da una di dominio pubblico. Per cui, anche in assenza di pareti reali, si può arrivare a dire che la presenza della sola ombra, sormontata dalla sua "cupola", definisce un nuovo, seppur labile, spazio, punto di riferimento e aggregazione. "Non esite intimità vera che respinga: tutti gli spazi di intimità vengono designati dall'attrazione" per cui questo spazio delimitato dall'ombra, al quale è possibile riconoscere un grado di "intimità", è assimilabile ad un vero e proprio interno. L'analisi dei comportamenti - l'accumulo delle masserizie, la disposizione delle sedie, la gerarchia degli spazi più interni (più sicuri di rimanere per più tempo in ombra) e quelli più marginali (più labili in quanto modificabili nel volgere di pochi minuti) - richiama infatti, nell'atteggiamento psicologico dei suoi fruitori, l'esistenza di modi di fare caratteristici di una spazialità privata propri di un interno. Gli stessi bambini, sempre testimoni non condizionati di tali comportamenti, ritrovano nel cerchio di ombra proiettata sulla sabbia (si noti bene, e non direttamente "sotto l'ombrellone") un luogo sicuro e chiaramente distinto dal più incerto "altro" che li circonda. Ne consegue che, a differenza delle analisi possibili su una qualsiasi capanna completa di pareti, questa "struttura" funziona esclusivamente in presenza della luce, grazie alla quale si delimita lo spazio identificato dall'ombra. Il sistema luce - diaframma - ombra, in cui concettualmente l'esile sostegno verticale si può considerare solamente una variabile aggiunta, realizza così un luogo sfruttando esclusivamente le potenzialità psicologiche del rapporto che si instaura naturalmente tra il fruitore, l'ombra portata, il diaframma e la luce circostante, a sostegno del fatto che "i valori di riparo sono talmente semplici, così profondamente radicati nell'inconscio, che li si ritrova piuttosto evocandoli che minuziosamente descrivendoli".
Inoltre,trascurando per un istante i sistemi più complessi nei quali vengono coinvolte anche le strutture che reggono fisicamente la copertura e che implicano, oltre la loro presenza fisica e materica, anche le ombre che esse a loro volta producono, si pensi alle infinite potenzialità espressive di tutte quelle semplici variabili elementari del nostro sistema teorico di riferimento. Nuove configurazioni date, ad esempio, da interferenze o tagli realizzati nel diaframma, capaci di dividere in diversi ambiti l'ombra, oppure dal semplice accostamento di più coperture, affiancate le une alle altre ma inclinate in modo diverso rispetto i raggi del sole, potrebbero soddisfare anche funzioni più sofisticate di quella del semplice ombrellone da spiaggia, costruendo così ipotesi di spazi dell'architettura definiti, più che dall'involucro, direttamente dai propri contenuti.
Se è vero infatti che "la separazione dell'interno dall'esterno rappresenta l'atto architettonico primario" dobbiamo tuttavia ammettere che tale "atto" non debba necessariamente identificarsi con una architettura strutturata secondo stratificazioni successive storicamente e linguisticamente riconoscibili, ma che possa esprimersi anche nella semplice modificazione, o meglio manipolazione, dei fenomeni della natura, tutti, i più svariati, dei quali l'uomo è partecipe. In particolare le radici della nostra cultura architettonica si possono leggere senza problemi osservando direttamente le città in cui viviamo. I reperti romani e i borghi medioevali, i grandiosi edifici rinascimentali e gli aulici interventi dell'epoca fascista, esprimono tutti solidità e forza, durevolezza e stabilità attraverso l'uso sapiente delle "masse" murarie. Inoltre il "peso" degli elementi strutturali è sempre evidenziato nel preciso ordine costruttivo che parte dal basso, dalle fondazioni, e sale, per "strati" successivi fino alle coperture. Basamenti, architravi e cornicioni identificano il nostro fare architettonico, non come mera riproposizione linguistica degli ordini classici, ma come rispettosa successione degli elementi costruttivi tradizionali. Altre culture invece, con altri mondi e altri dei alle spalle, hanno privilegiato la costruzione dello spazio interno, del rifugio strappato con grandi difficoltà ad una natura forte ed aspra. Gli involucri, semplici, essenziali e robusti rappresentano il necessario argine alle intemperie, sviluppando le tecnologie dei materiali a portata di mano. Il mutare delle esigenze e delle aspettative della società non intacca qui l'involucro esterno (non a caso la necessità di proteggersi e delimitare rimane immutata nel tempo) modifica e sviluppa invece il rapporto tra l'uomo, il suo ambiente costruito e le forze della natura circostante.
Questi modi di intendere il rapporto tra Uomo - Natura - Architettura non sono ovviamente esclusivi, anzi sono complementari, e non a caso lo stesso Fehn così definisce la sua poetica: " nasce dall'incontro tra struttura ed i materiali. Credo che questo sia il processo da seguire, perso il quale nessuno è più in grado di comprenderti. Il nostro ruolo è estremamente delicato, noi modifichiamo, danneggiamo la natura nel momento stesso in cui camminiamo sull'erba, muoviamo col piede le pietre, così lasciamo una traccia a quelli che verranno e questo è già architettura. Quelle pietre che vivevano lì vengono rimosse per assumenre un'altra posizione. Questo costituisce un vero e proprio attacco, ma è da questa violenza che si evidenzia la natura, si delineano la separazione, il movimento, il contatto, il ritmo tra uomo e natura".
cos'è architettura & co.
architettura & co. è stato pensato da paolo giardiello per mettere a disposizione di tutti, in particolare dei suoi studenti, i propri scritti, ricerche e riflessioni sull'architettura. il blog contiene testi pubblicati, versioni integrali di saggi poi ridotti per motivi editoriali, scritti inediti o anche solo riflessioni e spunti di ricerche. per questo non ha un ordine determinato, non segue un filo logico, ma rappresenta solo la sequenza temporale di occasioni in cui parlare di architettura, prima di farla "parlare", come invece dovrebbe, normalmente, essere.