«Ecco il punto di partenza delle nostre riflessioni: ogni angolo in una casa, ogni cantone in una camera, ogni spazio ridotto in cui piace andare a rannicchiarsi, a raccogliersi su se stessi, è per l’immaginazione una solitudine, vale a dire il germe di una casa»
G. Bachelard La poetica dello spazio, Roma, 1975
Premessa
I fenomeni complessi – collegati alla costruzione dello spazio domestico – suscitano interrogativi che ruotano attorno ai rapporti tra pubblico e privato, collettivo e individuale, spettacolare e intimo; in ogni caso, non vi è alcun dubbio, che il privato sia sempre esistito. Esiste almeno, ovunque e sempre, una zona riservata, al riparo dagli sguardi indiscreti degli estranei, destinataalle attività ritenute più personali e intime, cui le frontiere della segretezza si spostano secondo i tempi e le culture: su questo dato si fonda la storia del privato e dipende la storia dello spazio domestico come luogo privilegiato in cui si svolge la vita di ciascuno.
Lo spazio domestico moderno, così come lo si intende oggi, trova le sue origini nel XVI secolo, nelle cittadine costiere dei Paesi Bassi dove si creano, prima che altrove, le condizioni socio-economiche favorevoli alla formazione di una nuova classe sociale quella borghese-commerciale e dove la mitigata disparità tra i ceti, nonché la presenza di una larga fascia di mercanti e la quasi assenza di una forte aristocrazia, favorisce la costruzione di un nuovo tipo di residenza, la casa urbana monofamiliare.
La principale differenza di questa nuova abitazione rispetto agli spazi domestici medioevali consiste nel fatto che per tutto il medioevo la casa è costituita fondamentalmente da un unico vano, più o meno ampio a seconda delle risorse economiche degli abitanti, nel quale vivono insieme, dividendo tutto, non solo i membri della famiglia ma anche i collaboratori e gli apprendisti coinvolti nell’attività commerciale o artigianale, fonte di sussistenza della famiglia stessa: gli arredi scarni e una assoluta promiscuità, insieme alla mancanza di qualsiasi privatezza tra gli abitanti costituiscono i caratteri fondamentali della casa medioevale. Nell’Olanda rinascimentale invece, la condizione di sufficiente benessere nella quale vivono i suoi cittadini consente la realizzazione di abitazioni in cui non solo l’attività lavorativa non si svolge più presso la propria dimora, ma anche gli operai e i collaboratori non abitano più presso i loro datori di lavoro.
La costruzione dello spazio privato si afferma dunque qui per la prima volta e si presenta come profonda esigenza di privacy sconosciuta al medioevo, che comincia proprio qui la sua storia, storia di una doppia privatizzazione, quella della famiglia rispetto alla società e quella, all’interno della famiglia stessa, tra i suoi membri. Non si dorme più tutti insieme, genitori, figli, collaboratori, servitù, ecc., ma ognuno comincia a possedere luoghi propri autonomi e separati, così alle decine di persone che affollavano la casa medioevale, si contrappongono le quattro o cinque costituenti il nucleo stretto della famiglia olandese. Anche il luogo del lavoro, un tempo legato all’abitazione, trova la sua sistemazione altrove, lontano dallo spazio domestico privato innescando l’inesorabile processo di divisione delle attività umane iniziato qualche secolo prima.
Ne consegue che, sin dal suo esordio, lo spazio domestico moderno si caratterizza per l’esigenza intrinseca di essere differenziato per parti al suo interno, con l’obiettivo di garantire la privacy e il confort ai suoi abitanti; ciò significa affermare che l’evoluzione della casa è in relazione diretta con l’articolazione del suo impianto spaziale, cioè con la forma che gli elementi che conformano lo spazio assumono per definire il vuoto in cui si svolge l’azione dell’uomo. Nei secoli questa evoluzione è stata caratterizzata da successive frammentazioni che hanno portato a dissolvere l’ambiente unico della casa medioevale in una molteplicità di spazi, ognuno con una propria identità funzionale, che a loro volta sono stati sottoposti ad un processo di parzializzazione che ha condotto alla costituzione di una pluralità di luoghi domestici, tipico della cultura abitativa contemporanea più avanzata.
Il percorso è lungo e si sviluppa durante l’arco di quattro secoli durante i quali si assiste ad una inesorabile affermazione di indipendenza e di autonomia dell’uomo, che si riflette e si rispecchia nell’articolazione per parti autonome della sua casa. Non esiste dunque discontinuità nella storia dello spazio domestico moderno in quanto sin dai suoi esordi è chiara la direzione verso la quale si andrà sviluppando, sebbene non esista ancora oggi una storia degli interni che ne metta in luce le specificità e le tappe salienti. La cultura degli interni è infatti troppo spesso costretta a coincidere o con la storia dell’architettura, o con quella dell’arredamento, senza cogliere che la specificità dello spazio domestico si muove esattamente a cavallo tra le due storie, senza per questo coincidere con il risultato derivante dalla loro giustapposizione. Pur essendo infatti indissolubilmente legata alla storia dell’architettura - di cui sicuramente anche gli interni fanno parte - e alla storia dell’arredamento - che indaga l’evoluzione degli oggetti, della loro distribuzione e delle decorazioni presenti negli interni - l’evoluzione dello spazio interno possiede un suo carattere specifico, che consiste nel collegare le forme degli elementi che conformano gli spazi, alla vita, alle esigenze e ai desideri degli uomini per cui quegli stessi spazi sono stati pensati, prima, e realizzati, poi. Forma e vita dello spazio domestico risultano intimamente connesse, e questa connessione ne rappresenta anche la più profonda specificità; dunque non è possibile indagare il significato delle forme senza coinvolgere anche, immediatamente, l’uomo con il suo bagaglio di necessità e di emotività che lo accompagnano. Per questo motivo nel pensare al progetto di interni, sia di ristrutturazione che di nuova edificazione, non si può prescindere dal considerare i futuri abitanti come parte integrante del processo progettuale. In ciò risiede anche il contributo più significativo di questa breve trattazione, che tende a mettere in evidenza la necessità imprescindibile di dover considerare gli abitanti e tutti i caratteri soggettivi di cui sono portatori come il fulcro essenziale intorno a cui prende forma il progetto domestico, al punto tale da imporre anche ai frammenti di spazio più piccoli, riflesso della più minuta quotidianità, la capacità di esprimere indelebilmente l’animo dei loro fruitori.
L’impianto spaziale
Quando si interviene sul patrimonio edilizio esistente, con lo scopo di adattare in maniera più opportuna lo spazio costruito alle esigenze dei suoi abitanti, esigenza che si è visto essere fondamentale, può capitare che l’intervento di ristrutturazione non si limiti a lavori che interessino le sole superfici interne dell’alloggio, modificandone le qualità tattili e percettive (consulta paragrafo su “I margini”), o ancor più semplicemente, non si limiti alla dislocazione dell’arredo all’interno del perimetro dell’abitazione (consulta paragrafo su “L’arredo”). Avviene, talvolta, che la ristrutturazione sia più radicale e preveda, ove il caso lo consente, la completa trasformazione della sua forma interna, ossia dei suoi spazi. Questo tipo di lavori comporta la parziale – e più spesso totale - demolizione degli elementi non strutturali che conformano l’abitazione, cioè di quegli elementi che non collaborano a tenere in piedi l’edificio di cui l’alloggio è parte, e la loro conseguente ri-costruzione secondo le indicazioni contenute nei grafici di progetto elaborati dal tecnico a cui sono affidati i lavori. Il progetto è infatti lo strumento indispensabile a trasformare le necessità e i bisogni degli abitanti in luoghi adeguati al loro assolvimento.
Il risultato del progetto è, di solito, una nuova abitazione che, pur condividendo alcuni elementi con quella da cui ha preso origine, presenta un impianto spaziale - la forma del vuoto in cui si muovono e vivono gli abitanti - completamente diversa, tanto da rendere spesso impossibile mettere in relazione le due abitazioni. La continuità tra il prima e il dopo si limita ad alcuni elementi che non possono essere alterati dal corso dei lavori, come ad esempio il perimetro che separa l’alloggio su cui si interviene dall’esterno o anche, più semplicemente, da quello vicino; oppure dalle bucature che stabiliscono un contatto diretto tra esterno e interno assicurando aria e luce all’abitazione; e così anche da alcuni terminali tecnologici, quali ad esempio la colonna fecale. Nel caso specifico delle ristrutturazioni edilizie, il progetto si deve confrontare dialetticamente anche con queste permanenze, assimilandole al suo interno al punto tale da non rendere più riconoscibilel’autonomia e l’indipendenza di ogni parte, anche se già presente nell’abitazione prima dell’inizio dei lavori e assolutamente inalterabile per misura e posizione. Questo risultato deriva dalla specifica capacità del tecnico di saper sfruttare al massimo la realtà costruita con la quale è costretto a confrontarsi, trasformando vincoli e impedimenti in occasioni di ulteriore approfondimento critico del progetto oltre che di stimolo alla ricerca di soluzioni fuori da ogni schematica consuetudine; aspetto, questo, che costituisce anche lo specifico disciplinare e che distingue un’occasione progettuale generica da un intervento di ristrutturazione.
Prima dei lavori, l’abitazione si presenta solitamente come una teoria di stanze, prive generalmente di qualsiasi particolare connotazione, collegate da corridoi, alle quali vengono fatte corrispondere singole attività, ciascuna legata a precise fasce orarie di utilizzo – come avviene ad esempio per la camera da letto, il soggiorno, il bagno, la cucina, ecc.-, anche se prima di essere abitate queste stanze appaiono tutte uguali. Fanno eccezione i bagni e la cucina, in cui l’alta specificità funzionale richiesta da queste attività rende impossibile qualsiasi ipotesi di flessibilità banale. Le altre stanze appaiono, invece, come contenitori dalla forma parallelepipeda, dotati sempre di una porta e, spesso, anche di una finestra, provvisti di impianti elettrico e di riscaldamento per consentirvi lo svolgimento di qualsiasi tipo di attività. Forse solo la loro collocazione rispetto all’accesso all’abitazione e la loro posizione reciproca ne fornisce una larvata indicazione sulle possibili vocazioni funzionali, per cui la stanza più vicina alla cucina ospita solitamente il tavolo da pranzo, mentre quelle in prossimità dei bagni sono destinate ad ospitare i letti, secondo un criterio distributivo estremamente ovvio.
La genericità funzionale degli appartamenti condominiali, e più in generale dell’edilizia residenziale realizzata senza riferimenti a precisi fruitori, è la diretta conseguenza proprio della mancanza di una committenza specifica con precise esigenze, che elimini la disponibilità indiscriminata delle soluzioni confezionate per soddisfare tutti, cioè nessuno. Si considerano infatti di solito, in questo genere di interventi, alcuni gruppi sociali quale possibili target di utenti cui si rivolge il prodotto edilizio, per cui, ad un maggior grado di astrazione, corrisponde una più ampia fascia di potenziali destinatari, secondo un principio che fa del funzionalismo banale e della flessibilità indiscriminata i criteri informatori della corrente pratica edilizia. Ne consegue che alla determinazione di alcuni bisogni e di attività fondamentali (come mangiare, dormire, cucinare, ecc.) che devono essere soddisfatte dal progetto, corrispondono molto spesso impianti spaziali poveri, privi di qualsiasi significato, il cui unico pregio risiede nella capacità di poter accogliere un’ampia fascia di utenti trasformando la flessibilità – talvolta auspicabile – in assoluta mancanza di carattere. Questo è il motivo principale che spinge, o costringe, le persone o le famiglie che acquistano un immobile con lo scopo di andarci ad abitare, a fare lavori di ristrutturazione spesso assai onerosicon l’esigenza di “personalizzare” gli spazi della casa, al fine di avvicinarli il più possibile, fino a farli coincidere, ai propri bisogni.
In questi casi il primo lavoro del tecnico a cui sono affidati i lavori consiste nel prendere nota delle necessità dei futuri abitanti e nel registrare, in maniera puntuale, tutte le attività che i proprietari desiderano svolgervi per trasformare, interpretandole, queste esigenze in luoghi domestici, cercando una nuova forma agli elementi che conformano lo spazio abitato. Spesso però i committenti, non coscienti delle trasformazioni radicali a cui può essere sottoposta la loro casa, riducono, nella propria immaginazione, l’intervento di recupero alla semplice ri-organizzazione delle singole stanze, senza riuscire a intuire la possibilità di realizzare modifiche strutturali, anche piccole, che però consentono di affrontare e risolvere i problemi connessi alla stesura del progetto, secondo una prospettiva completamente diversa. Talvolta è sufficiente cambiare il punto si vista su di un problema o rimuovere tabù connessi ad una sua soluzione precostituita, perché un ventaglio nuovo e ampio di alternative si dischiuda. Si tratta solitamente di intervenire su e con elementi murari, senza per questo escludere le possibilità offerte dall’utilizzo di arredi fissi o più in generale quella di usufruire del vasto repertorio di materiali offerti dal mercato. Un elemento divisorio può essere realizzato in muratura, ma anche in legno, vetro, ferro, o in altri materiali, cercando ogni progetto gli strumenti più opportuni attraverso cui realizzare le scelte contenute nelle proprie premesse. Ma nel disegnare inizialmentel’impianto spaziale della nuova abitazione non entrano necessariamente subito in gioco i materiali, con tutte le loro specificità, dovendosi sforzare di considerare l’alloggio come una entità tridimensionale vuota per interessarsi esclusivamente dapprima alla forma delle sue diverse parti, ed in un secondo momento, alla loro relazione reciproca.
Si è così giunti al nodo centrale del problema, ossia quello di stabilire la forma dei margini indispensabili a individuare i diversi luoghi della casa che da stanze debbono trasformarsi in ambienti; dove la parola “stanza” definisce infatti uno spazio dalla forma geometrica semplice in cui si svolge solitamente un’unica attività, mentre al contrario la parola “ambiente” si riferisce sempre ad una realtà spaziale complessa in cui una molteplicità di attività trova posto in una forma geometrica più disarticolata, senza però per questo perdere di coesione interna e di unità. Ne consegue che il concetto di ambiente introduce la possibilità di pensare a luoghi domestici pluri-funzionali, a più centri quindi, in cui nessuna attività prende il sopravvento sulle altre, ma dove tutte traggono significato dalla reciproca vicinanza. L’alloggio si trasforma, seguendo questa logica, da asettica ed indifferenziata giustapposizione di stanze in luogo articolato in più ambienti che a loro volta si suddividono in frammenti più piccoli atti ad accogliere le attività connesse alla più minuta quotidianità.
Si consideri la possibilità, ad esempio, offerta dal riconsiderare una attività semplice come quella del riposare, che solitamente viene soddisfatta dalla collocazione di una attrezzatura specifica, il letto, in una stanza. Riposare può invece coinvolgere, volendone indagare nel profondo le necessità, altre e più diverse azioni quali vestirsi, leggere, ascoltare musica, vedere la televisione, parlare al telefono, incontrare amici, mangiare, ecc., e si potrebbe ancora continuare perché l’elenco è virtualmente illimitato. Si evince dall’esempio come qualsiasi attività, e conseguentemente lo spazio predisposto per il suo assolvimento, si possa trasformare in una catena di gesti e di azioni che deve trovare corrispondenza in un ambiente capace, con la sua forma, di ospitarle tutte e favorirne il più comodo svolgimento
Disegnando l’impianto spaziale dell’abitazione, può essere opportuno evitare soluzioni che prediligono forme di aggregazione lineare tra i diversi ambienti in modo da escludere la formazione di inutili e inadeguati “corridoi”, percorsi lineari spesso senza alcuna capacità di generare luoghi domestici significativi; anche l’elemento di comunicazione più piccolo deve essere trasformato in accadimento spaziale, arricchendosi di una complessità formale, funzione diretta delle attività che in esso sono state individuate come necessarie. La geometria è lo strumento che più di altri permette al progetto di governare l’articolazione dell’alloggio in più ambienti e questi in più luoghi; anche l’ambiente più piccolo - quello coincidente con la stanza - deve essere oggetto di una attenta indagine che si sviluppa in rapporto stretto con le esigenze e le necessità dei suoi abitanti, per consentire l’individuazione di sezioni e frammenti di spazio con precise identità formali e funzionali tali da renderne immediatamente riconoscibile la presenza. A questi luoghi particolari della casa è stato dato un nome ben definito, si chiamano ambiti che, secondo il dizionario della lingua italiana, è una parola che si riferisce ad uno «spazio delimitato e generalmente concepito come spettante a determinate manifestazioni o attività”»(Devoto, Oli, Dizionario della lingua italiana, Milano, 1980); pur dalla definizione sintetica del dizionarioemerge il carattere principale di questo luogo che si può definire estremamente funzionale, espressione di una funzionalità minuta e precisa, quasi a-dimensionale. L’ambito risulta infatti indipendente dai dati dimensionali appartenendo più alla sfera psicologica che a quella fisica anche se senza piccoli accorgimenti sulla forma dei limiti che conformano e delimitano lo spazio domestico, non sarebbe possibile rintracciarne l’esistenza. Realtà fisica e psichica allo stesso tempo, l’ambito è ciò che consente di trasformare lo spazio indifferenziato e disorientante della stanza in luogo domestico. E’ sufficiente infatti la leggera curvatura di una parete, il semplice ribassamento di una parte del soffitto o una sua sagomatura particolare, oppure l’attenta collocazione di un pilastro, di un setto o di un elemento divisorio, un salto di quota di pochi gradini nel pavimento, l’utilizzo di una profondità muraria trovata o realizzata opportunamente, l’articolazione sapiente e il movimento degli elementi di circoscrizione spaziale nei diversi ambienti (le pareti), per dar vita ad un ambito specifico. Naturalmente anche le scelte dimensionali e proporzionali tra le diverse parti e tra i diversi elementi del progetto sono in grado di individuare luoghi particolari che sottraendosi allo spazio indifferenziato dell’ambiente di cui fanno parte riescono a generare degli ambiti significativi. Luce artificiale e luce naturale infine contribuiscono in misura altrettanto determinante e fisicamente percepibile a definirne l’esistenza..
Non esistono dunque risposte preconfezionate, per cui non è possibile redigere un volume in cui trascrivere soluzioni planimetriche o formali esemplari in relazione a problemi ricorrenti da utilizzare “sic et simpliciter”. Non è possibile generalizzare le problematiche connesse alla stesura del programma progettuale per le ristrutturazioni edilizie, essendo come più volte ribadito connesse indissolubilmente alle esigenze e alle necessità delle specifiche persone che quegli spazi abiteranno, fatto da cui consegue una impossibilità a fornire soluzioni tipiche. Ciò non impedisce però di affermare l’esigenza di una manualistica metodologica capace di suggerire una via al progettuale che sia garanzia del raggiungimento di obbiettivi soddisfacenti. Un metodo che nel caso specifico consiste principalmente nell’analisi attenta e dettagliata dei bisogni degli abitanti della loro interpretazione critica, che deve essere condotta dal tecnico a cui è affidato il progetto, con la consulenza dei suoi destinatari, cioè i futuri abitanti dell’abitazione trasformata, i quali devono caratterizzare con le loro specifiche esigenze tutte le parti della casa, consentendo l’adozione di soluzioni che rifiutano l’adesione vuota a consuetudini o abitudini dettate da mode o tendenze. La ricerca delle forme più adeguate a risolvere i problemi posti dal committente deve essere affrontata cercando ogni volta la risposta esemplare al problema specifico con il quale ci si confronta, ricordando che nessuna attività può essere svolta in maniera e in misura soddisfacente se non è messa in relazione alla molteplicità delle altre attività, ma anche dei semplici gesti, che la precedono, la seguono o che possono essere svolti contemporaneamente. E’ compito dell’architetto cercare le forme più adeguate affinché ogni singolo gesto, anche il più piccolo, trovi il suo specifico luogo. Qualsiasi funzionalismo banale, ottuso o riduttivo deve essere bandito, e l’attenzione si deve dirigere verso la sfera esistenziale e emozionale soggettiva (dell’abitante); il progetto di ristrutturazione si trasforma così in ricerca vera, in cui gli unici dati noti sono quelli di partenza, forniti dal committente anche con l’aiuto dell’architetto, mentre non è assolutamente noto il punto di arrivo . Più la ricerca e l’indagine sono genuine e poco propense a farsi influenzare da elementi esterni al progetto (mode, stili, tendenze, abitudini), tanto più l’impianto finale dello spazio si avvicina, fino a coincidere, allo spirito, alle esigenze, all’indole, dei suoi abitatori, trasformando il loro programma di vita in forma costruita.
In tempi lontani, nell’architettura residenziale antica, e in tempi più recenti, nell’architettura vernacolare, la conoscenza delle modalità di intervento per rendere la forma a servizio dell’uomo e dei suoi bisogni, era patrimonio comune e faceva parte del bagaglio di conoscenze necessarie e indispensabili all’uomo per insediarsi in un luogo. In quei casi l’abitante-costruttore era perfettamente a conoscenza delle regole da rispettare per ottenere spazi alla propria dimensione, senza dover per questo utilizzare alcun intervento esterno. Ciò dimostra l’esistenza di un modo di vivere e di abitare capace di imprimere il proprio carattere alla forma della casa attraverso la determinazione di un impianto spaziale patrimonio di molti. L’uomo contemporaneo ha perso questa capacità e per riconoscere i propri bisogni e, più ancora, per trovare un’adeguata risposta formale necessita dell’aiuto di un tecnico consapevole, l’architetto d’interni appunto, al quale affidare come primo compito quello di riuscire a far emergere ad un livello di coscienza i desideri e le esigenze più profonde e nascoste dei committenti per passare, solo in un secondo momento, alla ricerca di trovare le forme più appropriate per una loro soddisfacente realizzazione.
Nella breve raccolta di esempi presentata di seguito, sono stati selezionati alcuni ambienti che rappresentano soluzioni esemplari poiché mettono in evidenza la capacità dei diversi architetti di saper indagare in maniera puntuale l’attività o le attività principali destinate a svolgersi in quegli stessi luoghi coniugandole con le esigenze specifiche dei loro abitanti. La preferenza del singolo ambiente, a discapito dell’intero alloggio, deriva dalla volontà di far emergere in maniera chiara il modo in cui l’interpretazione dei bisogni si trasforma, nella matita dell’architetto, nella individuazione di una molteplicità di luoghi domestici ai quali è stato dato il nome di ambiti. Inoltre la minore dimensione e l’obbligo a doversi confrontare con un unico tema consente di mettere anche più facilmente in luce il complesso processo di genesi da cui prende forma l’ambito e la dinamica relazione che lega quest’ultimo sia all’ambiente di cui fa parte, sia agli altri ambiti presenti nello stesso ambiente. Peraltro, soffermare l’indagine su un frammento di abitazione sembra essere anche più fedele alla condizione del lavoro professionale dove, sempre più spesso, le occasioni progettuali interessano solo la modificazione e la trasformazione di alcune parti dell’abitazione, se non di singole stanze, con l’obbiettivo di ricavarne un loro migliore sfruttamento. Atteggiamento che consente di poter introdurre l’idea di “economia del benessere”, per cui si determina la tensione a voler ricavare il massimo beneficio in termini di confort – senza fare distinzioni tra benessere fisico e psicologico – dalla realtà costruita con la quale ci si confronta e che si vuole trasformare, avendo come obbiettivo quello di minimizzare gli sforzi economici e fisici. Massimo rendimento, riducendo al minimo gli investimenti: è un principio di economia che può, a giusto titolo, essere utilizzato anche fuori del campo del mercato del lavoro o del mondo fisico, e ben si sposa con i bisogni di fondo di benessere di cui ciascun uomo sente la necessità quando organizza i luoghi nei quali vivere ed abitare.
Nicola Flora, Paolo Giardiello, Gennaro Postiglione