Le decorazioni pompeiane, i cosiddetti quattro stili, vengono normalmente riconosciuti, dagli storici e dai critici d'arte, essere di derivazione architettonica. Si riscontra cioè, dalle origini e fino alle deformazioni degli ultimi apparati decorativi, un’ipotesi mimetica dei partiti architettonici primari: allineamenti orizzontali dal basso verso l'alto in cui sono riscontrabili gli elementi primitivi della costruzione - basamento, parete, coronamento - e suddivisioni verticali date dalla scansione ritmica di elementi assimilabili a strutture portanti, all'alternanza di vuoti e pieni. Per quanto sia innegabile l'uso di componenti appartenenti alla realtà architettonica, il significato di tali composizioni non si esaurisce in una mera volontà mimetica: il trattamento dei margini dello spazio interno fruibile non sono infatti solo un omaggio ad una realtà architettonica sognata, in quanto, come afferma Gombrich, prima ancora di una percezione sensibile del significato di un dato fenomeno esiste la percezione dell'ordine la quale è insita nell'uomo ed esula dalle sue capacità coscienti. «Una delle manifestazioni più elementari del senso dell'ordine è il senso dell'equilibrio, che ci dice cosa si trovi in alto e cosa in basso in rapporto alla forza di gravità, e pertanto in rapporto al nostro ambiente percepito»[1]. Questo primigenio senso di un ordine dettato dall'equilibrio è alla radice della scelta di ripartire per strati successivi orizzontali l'impianto decorativo, che implica, al di là di qualsiasi affinità con le regole della costruzione, che la percezione dei pesi "ottici" prevale, istintivamente, nell'uomo rispetto alla più elaborata nozione, derivante dall'esperienza e dalla conoscenza, di una similitudine strutturale. Inoltre Gombrich specifica con chiarezza che: «l'organismo deve esplorare l'ambiente e deve, per così dire, posizionare il messaggio che riceve sullo sfondo di quella elementare attesa di regolarità che sottende a quanto io chiamo senso dell'ordine»[2]. E’ proprio su questa attesa di regolarità, sul controllo cioè elementare dello spazio, che si basa principalmente il pattern costruttivo delle decorazioni parietali: l'uomo esercita il suo desiderio di comprensione delle parti costruendo, o contemplando, composizioni semplici, senza compiere, in una prima istanza, alcun riferimento diretto al mondo che lo circonda[3]. La continuità quindi con elementi direttamente riferiti ai partiti compositivi architettonici sottolineano tale atteggiamento, ma non sono certamente il punto di partenza.
Invece la strutturazione architettonica è sicuramente funzionale ad altri comportamenti primitivi della percezione, fattori psicologici cioè che normalmente entrano in gioco durante la visione, come la dialettica tra limite ed campo, tra primo piano e sfondo, tra equilibrio e instabilità, fino alla dualità tra caos e monotonia, tra ordine e disordine[4].
«La creazione di ordini si fonda sulle leggi della geometria; la percezione di essi deve recare in gioco altri fattori. La struttura geometrica non potrà mai, di per sé, consentirci di predire l'effetto che eserciterà sull'osservatore. Sotto un certo aspetto la cosa è ovvia: la struttura è indipendente dalla scala, mentre la percezione non lo è. Il puro ingrandimento o rimpicciolimento del pattern può cambiare drammaticamente l'effetto. [...] Il colore, come la scala, può influenzare l'effetto di qualsiasi ordine rendendo gli elementi più o meno visibili mediante il contrasto e la luminosità. Una struttura poco familiare appare diversa da una che si possa leggere agevolmente»[5]. Quindi le leggi della geometria si limitano a sottolineare l'ordine realizzato, mentre la pienezza della percezione porta in gioco altri valori che rientrano, come detto da Gombrich, nella sfera delle conoscenze già acquisite, sono cioè "familiari", sono in grado di evocare una catena di rimandi attraverso affinità e contrapposizioni, attraverso negazioni o conferme di quanto già noto. Tutto questo giustifica quindi la scelta di utilizzare elementi comuni, quali quelli architettonici, che sono più direttamente in continuità con le ipotesi di completamento dei significati dello spazio interno. Lì dove, ad esempio, il desiderio di “esternità” implica una dilatazione dello spazio, la strutturazione architettonica consente la proposizione di tali sensi secondo apparati familiari che, grazie al portato psicologico della forma, dei colori e delle proporzioni, spingono il fruitore in un mondo ideale altrimenti inesistente. Quindi non è la finzione che conta, non è l'inganno dei sensi del fruitore, ma è l'apertura a nuovi contenuti ottenuti attraverso l'utilizzo di parole o frammenti di racconti già noti.
Le architetture dipinte divengono quindi spazi improbabili carichi però di significati innovativi, motivi pittorici e scultorei della tradizione greca divengono protagonisti di tali apparati decorativi non per la bellezza dell'oggetto in sé ma per il rimando "mitico" ad una sognata purezza "classica" importata direttamente dal mondo greco. «In questa nuova concezione dell'architettura e la decorazione di tutti gli ambienti rappresentativi della villa furono posti al servizio di un'idea unitaria, al di là delle loro funzioni pratiche e rappresentative: essi dovevano richiamare alla mente nelle forme più svariate la Grecia con la sua cultura esemplare, trasponendola simbolicamente nel presente come una sorta di mondo superiore. Ciò veniva realizzato mediante una gran quantità di effetti ottici e di atmosfera. [...] Il modo di abitare divenne quindi una nuova forma di reminiscenza culturale»[6]. Il valore figurativo perde quindi di importanza rispetto alla conformazione del pattern e all'identificazione di alcuni valori simbolici. Non a caso la differenza tra una decorazione ed un affresco consiste proprio in questo, nel fine che si vuole ottenere con la caratterizzazione del margine dello spazio, «la pittura, come la parola, esige implicitamente attenzione, la riceva poi o meno. La decorazione non può avanzare questa pretesa, naturalmente dipende, per il proprio effetto, dall'attenzione fluttuante che siamo in grado di risparmiare mentre scandiamo l'intorno»[7].
Il pattern soggiacente alle decorazioni non può essere avulso dalle relazioni che legano decorazione, illusione e coerenza funzionale. Già August Pugin[8], pur lodando l'inserimento di motivi decorativi o illusionistici, ammoniva affinché questi non entrassero mai in contraddizione con la ragione d'essere e la finalità d'uso dello spazio o dell'oggetto decorato. La ricerca di una stringente coerenza tra apparati decorativi e conformazione spaziale differenzia quei periodi in cui i segni vengono ripetuti senza alcuna comprensione dei significati dai momenti di pienezza espressiva.
Riflettendo così sull'uso, sulla funzione svolta all'interno degli ambienti, si possono capire maggiormente alcune ragioni del pattern decorativo. La tripartizione orizzontale che vede quasi sempre in basso un basamento su cui si imposta la composizione decorativa, è motivata, oltre che dalla già citata analogia strutturale, anche dall'uso degli oggetti di arredo presenti nell'ambiente. «La casa romana, invece, era un centro di comunicazione sociale e di autorappresentazione dimostrativa. Essa si trovava al centro della città: Già la sua facciata e il suo ingresso rivelavano lo status del proprietario. [...] Il criterio fondamentale di organizzazione dello spazio era la chiara distinzione tra le parti rappresentative della casa, destinate alla frequentazione sociale, e gli ambienti puramente funzionali dell'infrastruttura (dalla cucina alle stanze del personale). [...] I confini tra i due ambiti normalmente non erano rigidi, ma venivano contrassegnati chiaramente mediante segnali ottici e simbolici. Così ad esempio ogni ospite poteva facilmente riconoscere il passaggio alla zona della servitù grazie all'improvvisa cessazione di decorazioni sontuose. [...] Vi erano meno mobili che da noi, ed erano più facilmente spostabili. Gli stessi letti per i banchetti potevano essere comodamente portati da una stanza all'altra secondo le necessità. Soprattutto mancava quella grande quantità di armadi e scaffali di ogni tipo che è il simbolo del bisogno di accumulare e conservare così caratteristico del modo di abitare moderno. Si poteva quindi valorizzare molto di più le stanze in quanto tali, decorandole per intero»[9]. Questa citazione di Paul Zanker introduce quindi due nozioni importanti dal punto di vista funzionale, la prima è che apparati decorativi complessi erano possibile grazie all’assenza di arredi ingombranti e stabili all'interno dello spazio, la seconda è che, visto che gli unici oggetti d'uso sempre presenti, ma mai in un luogo fisso e preordinato, erano quelli come il letto, gli sgabelli, i tripodi e una sorta di cassapanca dalla duplice funzione di contenitore e di panca per sedersi, la fascia corrispondente alla loro altezza, quella basamentale appunto, rappresentava il luogo deputato al loro posizionamento senza alterare o arrecare danno, alla percezione della decorazione nel suo insieme. La coerenza tra uso e percezione consente agli oggetti necessari alla vita quotidiana di non interferire con il racconto predisposto sulle pareti. Non deve tuttavia sfuggire il dato che, vista l'assenza di terminali intermedi significativi, il rapporto tra uomo ed architettura costruita viene ad essere diretto. Questo motiva la necessità di attribuire un ruolo predominante alle pareti, quello cioé di assecondare le aspettative spaziali del fruitore.
Anche le ipotesi prospettiche multiple, relative cioè ad ogni singola parete e non costruite rispetto ad un asse preferenziale di funzione, sottolineano questa varietà, e non fissità d'uso degli ambienti. Non avendo lo spazio una disposizione funzionale prefissata, sarebbe stato controproducente e senza significato rimarcare alcuni assi piuttosto che altri, l'indipendenza delle visioni di ogni parete rendeva più facile le variazioni di gestione dello spazio. Ciò è avvalorato dal fatto che invece, lì dove in rari ambienti maggiormente rappresentativi il rapporto tra forma dello spazio, percorso e uso era più definitivo, sia il pattern decorativo delle pareti, che il disegno dei pavimenti e dei soffitti, in stretta relazione di sensi tra loro, mostrano una precisa volontà organizzativa.
«In un'analisi statistica Andrew Wallace - Hadrill ha mostrato che la presenza della pittura parietale delle case pompeiane è in diretto rapporto con la grandezza ed il numero degli abitanti. [...] Con le sole pareti dipinte il proprietario di una casa concretizzava per così dire il minimo indispensabile del gusto abitativo. Wallace - Hadrill osserva giustamente che queste pitture rozze e spesso di scarsa qualità sono una espressione di appartenenza sociale piuttosto che una esibizione di lusso e ricchezza. [...] "Appartenenza" vuol dire di più: il processo di diffusione del nuovo stile abitativo e del suo adattamento a condizioni modeste era anche un processo di appropriazione e interiorizzazione da parte di chi non poteva permettersi né il lusso né una cultura elevata; era un processo di astrazione, se si vuole, addirittura di sublimazione, e ne possiamo agevolmente osservare lo sviluppo nelle stesse pitture murali»[10].
Decodificare i diversi significati delle decorazioni parietali implica necessariamente la comprensione del rapporto tra l'uomo e la società, tra le scelte del singolo e le aspirazioni della massa. Il termine appartenenza usato da Paul Zanker sta proprio a sottolineare come tali fenomeni diventino nel tempo parte integrante degli usi, delle abitudini e delle aspettative di un certo tipo di mondo, talvolta addirittura entrando in contraddizione con i valori che, in principio, li avevano prodotti.
[2]Idem p. 7.
[4]A proposito di queste argomentazioni si veda: Ernst H. Gombrich, The sense of order ... cit., pp. 209-210.
[6]Cfr. P. Zanker, Pompei, società, immagini urbane e forme dell'abitare, Torino 1993, pp. 21-22.
[7]Idem, pag. 193.
[10] Idem, pag. 198.
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