Altre volte invece, un tipo di letteratura diversa, rende evidente la trama, palesa con chiarezza ogni artificio linguistico o narrativo per predisporre, con maggiore efficacia, il lettore all’evento che sta per saggiare. In questi casi colui che legge è avvertito del fatto che ciò che è narrato è altro dalla realtà, non si tratta di travolgerlo con situazioni capaci di fargli sembrare “vero” ciò che invece è solo il frutto della fantasia dello scrittore, quanto piuttosto di suscitare in lui emozioni e reazioni, del tutto reali, sebbene provocate dalla finzione dell’arte del narrare.
Addirittura scrittori come Calvino, Kundera o Cortàzar “entrano” nel romanzo, interrompono la trama del fatto narrato, la intersecano con la realtà del narratore e dialogano con il lettore in prima persona.
In questi casi la struttura è evidente, è dichiarata, i “trucchi del mestiere” vengono svelati, eppure l’abilità dello scrittore, al pari dell’arte di un prestigiatore che spiega il trucco prima di effettuarlo, riesce ugualmente a portare il lettore da una dimensione verosimile ad una del tutto immaginaria in grado, però, di comunicare sensazioni e sentimenti del tutto reali.
È questa, in definitiva, una riflessione sulla potenzialità dell’arte in qualunque delle sue espressioni. Essa è in grado di “commuovere o emozionare” non in quanto riproduzione fedele di eventi della realtà a loro volta capaci di suscitare commozione o emozione: l’arte ha la possibilità di costruire suggestioni o suscitare reazioni e riflessioni del tutto vere e calate nella vita dei fruitori attraverso “rappresentazioni” della realtà, per mezzo cioè della manipolazione e re-invenzione del mondo, astraendo segni e simboli, icone sintesi dei contenuti e dei sensi propri dell’esistenza.
In architettura la trama si può assimilare alla struttura compositiva del manufatto, all’organizzazione delle parti e degli spazi, all’uso di linguaggi e parole appartenenti al lessico consolidato del costruire. Sia architetture classiche che barocche, razionali o espressioniste, con modalità e soluzioni lessicali diverse, hanno fatto della regola e dell’ordine della composizione i sistemi attraverso i quali comunicare al fruitore le azioni da svolgere, il movimento da effettuare, cosa guardare, il ritmo da tenere durante l’attraversamento degli ambienti. L’architettura moderna non ha mai derogato a tale arte del comporre e strutturare lo spazio. La trama, regola percepibile solo in trasparenza, si è adeguata tuttavia ai linguaggi, alle potenzialità espressive che talvolta hanno preso il sopravvento sulla semplice comprensione della struttura spaziale e sullo svolgimento di attività e funzioni.
L’opera di Miralles Tagliabue, invece, appare ispirata, sin dagli esordi, a una volontà quasi ossessiva di sottolineare e rendere palese la struttura ordinatrice del progetto. Linee, tensioni, geometrie e rapporti tra le parti, che normalmente appartengono alla fase ideativa del progetto, nelle opere dello studio EMBT diventano materia, si mostrano e si liberano nello spazio, superano le necessità strutturali e giungono a dialogare, avvolgendoli e indirizzandoli, direttamente con i fruitori.
Linee che scompongono e dividono la massa dei volumi e che, nel contempo, si materializzano e si dispongono, all’interno quanto all’esterno, di quella definita comunemente “scatola muraria” che, in questo caso, di scatola non possiede più nessuna peculiarità. Ogni elemento della costruzione è distinto dagli altri, è esaltato dalla distanza che intercorre tra le parti e le rende autonomamente leggibili, è assimilato a “segno” che diviene riferimento e guida per coloro che vivranno tali manufatti. È un racconto denso e ricco, a volte barocco nella sua accezione di “qualcosa capace di stupire al fine di educare”, ma è sempre finalizzato all’uomo, dimensionato e proporzionato alle sue capacità fisiche e emozionali.
L’uomo è spesso presente nell’opera di Miralles Tagliabue, sia come forma – basti prendere come esempio i bay-windows degli uffici del Parlamento Scozzese a Edimburgo conformati, all’interno, intorno alle posture della figura umana e che, all’esterno, diventano una sorta di “segno” ripetuto sulla facciata di un’ala dell’edificio – che come capacità di percezione e lettura delle trame, dei colori, delle texture dei materiali – come nel Campus Universitario di Vigo dove l’architettura sembra volersi “spostare” per lasciare ai fruitori l’opportunità per muoversi tra spazi e percorsi caratterizzati da materiali e finiture che si “lasciano leggere e toccare”.
“L’architettura si cammina”, scriveva Le Corbusier, e l’architettura dello studio EMBT sembra voler indicare costantemente dove andare e cosa fare a chi la attraversa e la percorre, ovvero, come nei racconti di Cortàzar dove l’autore avverte che i capitoli possono essere letti nell’ordine che uno preferisce, realizza episodi significanti tra i quali poter scegliere liberamente infiniti itinerari possibili.
La struttura evidente, la trama ormai svelata, non cessa di stupire i visitatori: in equilibrio precario tra necessità e superfluità, risulta sempre indispensabile alla costruzione effettiva del racconto e del suo significato anche nella sua capacità di legare tra loro parti apparentemente slegate o indipendenti tra loro.
Altra caratteristica, o se vogliamo stratagemma, della trama di un racconto letterario è che spesso avvenimenti, personaggi o cose del tutto estranei entrano improvvisamente in contatto tra loro e si giustificano e si completano grazie all’intervento di un ulteriore evento del tutto distinto ma capace di rendere tra loro coerenti e necessari parti, solo apparentemente, separate. Grandi narratori come Borges o Saramago riescono, spesso solo in una fase avanzata del racconto, a spiegare la ragion d’essere di fatti disgiunti che, grazie a personaggi o eventi inattesi, si intrecciano invece indelebilmente.
Ebbene questa appare un’altra delle caratteristiche delle “trame evidenti” usate da Miralles Tagliabue. Spesso ragnatele di strutture apparentemente superflue diventano la spiegazione attraverso le quali parti autonome o distinte riescono a dialogare coerentemente tra loro. Questo sia in progetti di recupero di spazi urbani stratificati e complessi che in progetti ex novo dove la complessità diviene l’incipit del racconto. Coperture che avvolgono, ragnatele che allacciano, fili che legano, verde o acqua che collegano, sono tutti sofisticati espedienti attraverso i quali i progettisti sono in grado di assorbire i caratteri esclusivi, moderare le diversità, esprimere i caratteri singoli ma in una armonica sinfonia di infinite voci soliste.
Per terminare queste brevi note sull’opera di Miralles Tagliabue EMBT, semplici considerazioni che vogliono rappresentare un attestato di stima e di grande rispetto per uno degli studi più interessanti dell’attuale panorama architettonico, proponendo ancora una volta un parallelo con la letteratura, è forse il caso di ricordare come il premio nobel per la letteratura José Saramago abbia più volte sottolineato che, nella vita come nell’arte, nell’amore come nello studio, valga più il viaggio che la meta, conti cioè più quello che accade durante il cammino che l’effettivo raggiungimento di un punto d’arrivo.
Analogamente possiamo concludere affermando che, per le opere dello studio EMBT, malgrado l’architettura sia sempre compromessa con le funzioni a cui è destinata e quindi con il fine di utilità per il quale è costruita, valga di più il piacere di percorrerle, di attraversarle, di lasciarsi sedurre dagli infiniti segnali ed eventi che propongono durante il “viaggio” che semplicemente il sentirsi appagati dall’aver potuto svolgere determinate attività al loro interno.
Con Enric Miralles e Benedetta Tagliabue l’architettura ha recuperato, finalmente, la sua peculiarità poetica di stupire emozionando, di materializzare i sogni e i desideri dell’uomo.