cos'è architettura & co.

architettura & co. è stato pensato da paolo giardiello per mettere a disposizione di tutti, in particolare dei suoi studenti, i propri scritti, ricerche e riflessioni sull'architettura. il blog contiene testi pubblicati, versioni integrali di saggi poi ridotti per motivi editoriali, scritti inediti o anche solo riflessioni e spunti di ricerche. per questo non ha un ordine determinato, non segue un filo logico, ma rappresenta solo la sequenza temporale di occasioni in cui parlare di architettura, prima di farla "parlare", come invece dovrebbe, normalmente, essere.

02 dicembre 2007

L’eredità del moderno

“The works of Brazil’s heroic period
of modern architecture are
condemned to everlasting newness”.

E. Andreoli, A. Forty



Difficile, se non impossibile, tratteggiare in poche battute il profilo, in campo architettonico, di un paese come il Brasile. Difficile, se non velleitario, aggregare in un unico giudizio problematiche che riguardano una nazione grande circa ventotto volte l’Italia e con differenze estreme da regione a regione, da città a città. Ancora più complesso è parlare di queste cose per chi, vivendo “dall’altra parte del mondo”, non può che riferirsi alla pubblicistica di settore. Riviste e pubblicazioni dedicate ai fenomeni urbani e architettonici troppo spesso poco attente a ciò che accade nei paesi dell’America del sud, tanto che molti critici internazionali avvertono di dover denunciare la scomparsa, parziale o totale, dell’architettura brasiliana contemporanea dai libri di grande divulgazione e persino da alcune storie dell’architettura. Adrian Forty e Elisabetta Andreoli raccontano, non senza un certo stupore, nella loro introduzione al volume Brazil’s modern architecture[1], di una recente pubblicazione di grande divulgazione dedicata all’architettura dei paesi latino-americani addirittura priva di opere brasiliane contemporanee.
Non è inoltre facile cercare di storicizzare i principali accadimenti culturali di un Paese nato, come colonia portoghese, appena cinquecento anni fa e individuare, con cognizione di causa, gli avvenimenti e le opere e che ne hanno caratterizzato il passato al fine di riuscire a relazionarli con gli eventi e le manifestazioni attuali.
Il presente volume pertanto, e la mostra ad esso collegata, vuole, anche se in minima parte, cercare di colmare tali lacune e sottoporre all’attenzione del pubblico italiano alcuni selezionati esempi della produzione architettonica brasiliana contemporanea vasta e complessa, ricca e differenziata. Esempi che, è indubbio, pur nella loro personale carica di attualità e forza innovativa finiscono per essere posti in relazione con i diretti antecedenti, con quelle opere di architettura, a tutti note, prodotte in Brasile tra gli anni ‘40 e ‘60, e cioè con alcune delle principali testimonianze di architettura moderna.
L’architettura brasiliana di quegli anni rappresenta un esempio unico di utopia costruita, utopia del moderno che forse mai come in quel Paese, ha sperimentato e realizzato in maniera organica e esaustiva - fino all’esperienza della costruzione di Brasilia degli anni ’60 - opere, manufatti e interi frammenti di città secondo i principi e il linguaggio, in una parola lo stile, della cultura urbana e architettonica promossa dal Movimento Moderno. Linguaggio funzionalista, stile internazionale, che Reyner Banham ha definito con lungimiranza sin dal 1962, riferendosi al Brasile, giocando sull’inversione dei termini, il primo stile nazionale di architettura moderna. “Banham’s perception is important because it represent a view of Brazilian architecture as a distinctive style that had developed from nothing and refined itself in a mere quarter-century, from the Ministry of Education and Public Health in the 1936 to the inauguration of Brasilia in 1960”[2].
In generale il Movimento Moderno, secondo la critica storiografica corrente, individua in architettura quel passaggio in cui avviene una svolta, un cambiamento - una rivoluzione di intenti e di modalità espressive - rispetto al clima culturale del tempo ancora legato a modalità e forme appartenenti agli stilemi del passato. Eppure il significato letterale di “rivoluzione”, di ciò che rivoluziona tempi o fenomeni, non è quello di interruzione e di rifondazione, di annullamento della memoria storica, bensì è definibile “rivoluzionaria” ogni fase di evoluzione o cambiamento che opera delle scelte rispetto alla tradizione, rispetto al passato, selezionando quanto deve essere perduto o cambiato rispetto a tutto quello che invece, rivalutato e rinvigorito nei contenuti, può divenire il punto di partenza effettivo per la fondazione del nuovo.
“Una rivoluzione assoluta non è mai avvenuta nella storia, [...] va sottolineato il rischio di straniamento collettivo cui darebbe luogo un processo di radicale mutamento socioculturale che tagliasse i ponti col passato a tutti i livelli [...] ciò equivarrebbe ad una sorta di morte culturale. Anzi le tradizioni rappresentano le uniche fonti di autoriconoscimento collettivo”[3].
Una rivoluzione, quindi, è tale solo se opera delle "scelte", se seleziona, all'interno della stratificazione culturale rappresentata dal portato della tradizione, i fondamenti su cui sostanziarsi, riconoscendo un rapporto di continuità tra le aspirazioni di un processo in via di sviluppo e l'interpretazione critica della propria memoria storica. I contenuti della tradizione, le modalità espressive e i relativi significati, infatti non sono oggettivamente interpretabili: se gli esiti formali diventano talvolta semplici schemi ripetitivi a cui affidarsi con la certezza di un consenso generale, i significati invece sono di volta in volta soggetti alla capacità interpretativa di chi ne opera la trasposizione temporale, la rivitalizzazione.
Il legame con la storia e la tradizione non è un tema avulso all’architettura moderna brasiliana, anche se l’adesione a stilemi e ideologie proprie del moderno, di quel “sentimento” del moderno diffuso grazie alle opere e alle idee dei maestri di inizio secolo, appare repentina e totalizzante. A tal proposito Lucio Costa, uno dei principali attori di tale svolta culturale, dichiara la continuità tra le espressioni del moderno e la storia nazionale, affermando che le opere di quegli anni debbano essere lette come un tentativo di semplificazione, una sorta di astrazione in chiave moderna, della disadorna sobrietà delle costruzioni tradizionali rurali[4]. In altre parole egli afferma che il contributo della sua generazione di architetti alla definizione di un linguaggio moderno, altro non sia che la “declinazione” in termini tradizionali locali dei principi e dei contenuti dell’ideologia del Movimento Moderno.
La riproposizione di dettagli e elementi costitutivi dell’architettura tradizionale quali persiane e frangisole, la rilettura di contenuti tipologici come il patio o la veranda ed infine la volontà di adeguare la “durezza” stereometrica di alcune soluzioni stilistiche, proprie dei principali riferimenti razionalisti europei, in una morfologia più “morbida” e flessuosa, adeguata alla rilettura espressiva della natura del luogo, sono solo alcune delle possibili indicazioni di una appropriazione e specificazione delle indicazioni proprie del linguaggio “internazionale”.
“This was then the initial concept of local regionalism adopted when the modernism was first introduced in Brazil: the adaptation of modern precepts to tropical conditions trough the use of elements borrowed from the local building tradition, such as trellises, tiled panels, water mirrors, and tropical gardens”[5].
Queste considerazioni circa la continuità tra tradizione e modernità, circa la contaminazione di modalità comunicative internazionali con specificità regionali, introducono un ulteriore tema, quello legato ai fenomeni migratori che naturalmente comportano una trasmigrazione di linguaggi e capacità costruttive, di memorie e di consuetudini abitative da un paese all’altro. E’ noto che alcuni linguaggi architettonici che in Europa si affermano attraverso rari e preziosi casi realizzati e che si consumano velocemente in pochi anni trovano, invece, nel lavoro incessante delle popolazioni emigrate, nella loro ricerca e sperimentazione, una larga diffusione nei nuovi paesi che li accolgono. In paesi come l’Argentina e l’Uruguay ad esempio, si affermano linguaggi, definiti genericamente modernisti, derivanti dalla conoscenza e dalla suggestione delle esperienze dell’Art Decò o dalla rilettura delle forme proprie del Neoplasticismo fino a diventare, al pari delle più generiche forme dell’Eclettismo di fine secolo, un vocabolario capace di dare un volto del tutto inedito alla nascente architettura delle città.
Anche il Brasile come tutte le nazioni risultanti da molteplici e diverse migrazioni propone un nuovo che, più che moderno, sia davvero capace di rappresentare i cambiamenti e l’adattamento, l’abitudine al nuovo, unitamente all’importazione di valori stabili e al desiderio di acculturazione, divengono alcune delle condizioni quotidiane di sopravvivenza. In questo contesto l’architettura non può che essere ibrida, sintesi meticcia di diverse suggestioni e, da questo punto di vista, più che di autenticità o di originalità si può parlare di ricerca di una personale e autonoma appropriatezza. L’architettura di questi grandi Paesi in fondo, qualunque essa sia, persegue la volontà di essere adeguata al contesto, propria nel senso di originale e adatta a rappresentare i nuovi contenuti politici e sociali[6].
Il linguaggio razionalista, al pari di quello modernista, assume in Sudamerica, come già detto precedentemente, i caratteri di uno stile nazionale, il cui debito con i modelli originari si stempera nella ricaduta e nell’accettazione generalizzata di tali proposte nella società del tempo. E’ in questo senso che è possibile parlare di “utopia realizzata” e non più di avanguardia, in quanto è ben differente la valutazione di un fenomeno culturale quando questo, da proposta isolata e elitaria, diviene linguaggio comune, quando cioè trova un definitivo consenso, nella cultura e nelle espressioni quotidiane del sociale.
La capacità della cultura brasiliana di adottare il linguaggio del moderno deriva, come affermano, nel già citato saggio, Adrian Forty e Elisabetta Andreoli da una vocazione storica del Brasile in quanto “nuovo paese”, abituato cioè a guardare verso il futuro piuttosto che al passato, alla costante ricerca di una nuova identità espressiva che lo possa affrancare dalla dipendenza e dalla soggezione nei confronti della cultura che originariamente ha fondato il paese.
E’ quindi su questo particolare trasmigrare delle culture e delle ideologie – più che degli uomini - tra l’Europa e l’America Latina che va fatta una riflessione conclusiva. In quanto, se è pur vero che i Paesi di nuova fondazione rappresentano in prima istanza la sommatoria delle tradizioni e delle esperienze dei popoli che li hanno originati, che quindi inizialmente sono il prodotto di sollecitazioni diverse sradicate dai luoghi di origine e riproposte “in vitro” nelle nuove società nascenti, è altresi indubbio che ogni nazione, ogni popolazione insediata nel “nuovo continente” non solo ha saputo guardare ai luoghi e a quanto già questi fossero in grado di raccontare, ma ha perseguito, con tenacia, la ricerca di una propria identità, al fine di costruire e di inventare una propria storia nazionale. Tale ricerca di identità, frutto di ibridazioni e trasferimenti di riferimenti culturali, rappresenta, a tutti gli effetti, il momento di costruzione e fondazione, di una simbiosi tra diversità che si disvela nel nuovo.
In seguito, tali migrazioni di sapere e di memorie, tali influenze hanno avuto, una volta trovata la propria autonomia, anche un “viaggio di ritorno”, tornando a raccontare la loro storia ai paesi che le hanno generate[7]. Ciò ha necessariamente comportato una verifica, su ampia scala, di quello che ideologie e proposte d’avanguardia sono in grado di generare. L’analisi basata sul realizzato delle concezioni urbanistiche, dei principi spaziali e insediativi, delle modalità di vita e di uso della natura e degli interni ha innescato una revisione critica generale, una comparazione tra premesse e esiti. Ciò ha agevolato il progresso tecnico e culturale dei fenomeni inerenti la costruzione dell’habitat destinato all’uomo e ha innescato nuove vie di sperimentazione e di proposizione dell’architettura, del suo spazio interiore oltre che della città e del territorio.
Oggi tali processi sono decisamente più veloci, l’impressionante rapidità con cui si diffondono le informazioni, le possibilità offerte dalla tecnica e dai mezzi di comunicazione di essere ovunque e in ogni momento, praticamente in tempo reale, nonchè di potere sperimentare attraverso sistemi di simulazione della realtà le ricadute del pensiero progettuale, ha fatto sì che si debba assistere ad una sorta di assuefazione a fenomeni globalizzanti e quindi ad una sorta di omologazione culturale e linguistica. Parlare di identità, di singole memorie appare un esercizio quasi del tutto astratto. Il linguaggio internazionale odierno è forse la somma dei linguaggi che si intersecano e che si influenzano a vicenda. La solidità culturale di una società si misura solo con la capacità critica di stare al “gioco” senza subirlo.
Da questo punto di vista il panorama dell’architettura contemporanea brasiliana che si evince dalla mostra se da un lato si inserisce in questo dibattito sovranazionale è tuttavia espressione concreta dello spirito del proprio tempo coniugata alle aspettative del proprio Paese. Generata da quella cultura del moderno che ha saputo con grande sapienza e sobrietà proporsi come immagine delle aspirazioni di modernizzazione e di grande fiducia nelle capacità di costruire un futuro, l’architettura “brasiliana” sta dimostrando di sapere accogliere, con serietà, la delicata eredità del Movimento Moderno.

[1] E. Andreoli, A. Forty, Brazil’s modern architecture, ed. Phaidon, London 2004.
[2] Cfr G. Wisnik, Doomed to modernity, in E. Andreoli, A. Forty, Brazil’s modern architecture, ed. Phaidon, London 2004, p. 25.
[3] Cfr. C. Prandi, Tradizioni, in Enciclopedia, vol. XIV, p. 414 e segg., Torino 1981.
[4] Cfr G. Wisnik, op. Cit., p. 26.
[5] G. Wisnik, op. Cit., p. 29.
[6] Cfr. R. Verde Zein, Brasile, testo pubblicato sul sito web della Facoltà di Architettura Civile del Politecnico di Milano.
[7] E. Andreoli, A. Forty, op. cit., p. 14 e sgg.