cos'è architettura & co.

architettura & co. è stato pensato da paolo giardiello per mettere a disposizione di tutti, in particolare dei suoi studenti, i propri scritti, ricerche e riflessioni sull'architettura. il blog contiene testi pubblicati, versioni integrali di saggi poi ridotti per motivi editoriali, scritti inediti o anche solo riflessioni e spunti di ricerche. per questo non ha un ordine determinato, non segue un filo logico, ma rappresenta solo la sequenza temporale di occasioni in cui parlare di architettura, prima di farla "parlare", come invece dovrebbe, normalmente, essere.

17 gennaio 2012

Macchine da abitare. Architetture domestiche di Glenn Murcutt


A guardare le case progettate e realizzate da Glenn Murcutt viene in mente un’espressione spesso usata in architettura: "macchine per abitare"; dizione che, com'è noto, ha una collocazione precisa nella storia del costruire. Eppure, le abitazioni realizzate da Murcutt in Australia hanno poco a che fare con l'estetica della macchina di inizio secolo e tantomeno sono figlie dei linguaggi che tale periodo ha prodotto.
Le "macchine da abitare" evocate da tali architetture sono assimilabili piuttosto a fragili ed instabili insiemi di pezzi di diversa provenienza assemblati a formare ripari essenziali, costruiti come meccanismi capaci di seguire le esigenze dell'uomo ed i capricci del clima, ordigni all'apparenza primordiali attraverso i quali misurarsi con il contesto. "Macchine" in quanto, prima di tutto, strumenti per soddisfare i bisogni, per conseguire i risultati o i benefici sperati, mai sottomessi alla ricercata morfologia propria della tecnologia ostentata, del sistema impiantistico estrapolato e palesato in superficie. Rifugi non troppo lontani da quelle dimore improvvisate - come ad esempio vecchi pulmini privi di ruote e insabbiati nella polvere del deserto ed esautorati per sempre dal loro compito originale - che si possono trovare nelle pagine di romanzi o racconti, in quella letteratura cioè che ha cercato di tratteggiare il profilo di un paese - l'Australia - altrimenti difficile da immaginare per chi non ha avuto la possibilità di visitarlo.
E' inutile quindi negare che, per la cultura europea, le valutazioni di certi comportamenti, frutto della contaminazione tra culture indigene e popolazioni emigrate, non possono non risentire anche dell'atmosfera mitica contenuta nei resoconti di scrittori che hanno saputo far conoscere un mondo che resta pur sempre, nell'immaginario collettivo, "il paese di Quelli a Testa in Giù". Infatti, "se dall'Inghilterra si scava fino dall'altra parte della terra, si sbuca sotto i loro piedi" .
Le case di Murcutt assomigliano incredibilmente, nella sostanza, nella capacità cioè di giungere ad un risultato utile e coerente senza pregiudizi formali di partenza, alle povere realizzazioni raccontate da Chatwin, come la dimora di padre Terence che "viveva in un eremo rabberciato, fatto di lamiere ondulate e imbiancato a calce, in mezzo a gruppi di pandani su una duna di sabbia bianca fine come farina. Aveva assicurato le pareti con dei tiranti per impedire che i cicloni facessero volere via le lamiere. Sul tetto c'era una croce, due pezzi di remo rotto legati insieme" ; o la casa di Hanlon: "riparata da una fila di tamerici, c'era una baracca di lamiera non dipinta, di un grigio arrugginito, con un camino di mattoni nel mezzo" .
Tale provvisorietà dei luoghi in cui svolgere le attività quotidiane, proprie di una contaminazione tra la cultura aborigena e le tradizioni delle popolazioni immigrate , in realtà non è frutto di una incapacità costruttiva o di un rifiuto del contesto, al contrario essa è il chiaro segnale di un profondo rispetto per la propria terra - sia essa natia che adottata - che si fonda sull'attitudine delle popolazioni locali a considerare "sacro" il rapporto con la natura: "se diamo retta a loro [...] l'Australia è tutta un luogo sacro" . Tale  sacralità del territorio si è tradotta nel rapporto contemporaneo che interrcorre tra l'uomo e il suo habitat in una consapevolezza delle potenzialità della natura, che influenza necessariamente le scelte che sottendono l'atto insediativo, la costruzione cioè di un riparo in cui risiedere. "La filosofia degli aborigeni era legata alla terra. Era la terra che dava vita all'uomo; gli dava nutrimento, il linguaggio e l'intelligenza, e quando lui moriva se lo riprendeva. La “patria” di un uomo, foss'anche una desolata distesa di spinifex, era un'icona sacra che non doveva essere sfregiata. [...] Ferire la terra [...] è ferire te stesso, e se altri feriscono la terra, feriscono te. Il paese deve rimanere intatto, com'era al Tempo del Sogno, quando gli antenati con il loro canto crearono il mondo" .
Insediarsi invece, secondo la tradizione costruttiva dei paesi dell'area mediterranea, comporta necessariamente una modificazione del territorio: per tali culture il gesto primitivo che identifica il rapporto tra l'uomo e la natura si può far risalire al tracciato delle fondazioni, al solco che, come una ferita inferta alla terra, accoglie la massa muraria, il cui perimetro definisce, indelebilmente, un nuovo luogo che prima non esisteva, individuando, per sempre, un qui da un lì, un dentro da un fuori. Per la cultura aborigena, al contrario, non è necessario costruire una frattura insanabile nella continuità della natura, il rifugio di cui necessita l'uomo deve essere il più lieve possibile, strutture atte all'uso richiesto appena appoggiate al suolo, per non creare discontinuità nella terra e, soprattutto, per non separare la propria vita dal ritmo della natura.
La provvisorietà delle prime costruzioni spontanee , come dei successivi luoghi dove svolgere il proprio lavoro , diventa poi la cultura di una "leggerezza insediativa" dove l'uomo, cercando di non prevaricare la "sacralità" della terra, individua archetipi formali, che poco si lasciano influenzare da stili o mode importati , che si basano invece sul rapporto tra necessità e possibilità costruttive. Tali manufatti, all'apparenza instabili e non definitivi, non intaccano la continuità tra l'uomo e la natura, anzi sono il risultato della consapevolezza, maturata con l'esperienza, che certi comportamenti estremi del clima non sono governabili. Le temperature, i venti o le piogge non possono essere sottomessi e pertanto è più logico assecondarli adattando i propri ritmi di vita. Le capanne o i depositi non si oppongono alla forza dei venti, ma piuttosto si lasciano attraversare, si piegano e trovano la loro forma in armonia con tali eventi naturali.
La "tenda" è quindi l'archetipo primitivo di riferimento, essa, dietro un'apparente fragilità, nasconde, in realtà, una logica insediativa basata su valori e contenuti molto forti capaci però di non alterare il contesto, anzi di entrare con esso in un rapporto di simbiosi e scambio.
O. M. Ungers ha ben descritto tale atteggiamento insediativo, opposto a quello della forza e della solidità incarnato dal "muro" e dal recinto, affermando che "l'architettura conosce due tipologie fondamentali: la caverna e la capanna. La prima simboleggia il durevole, la costante, è persistente e legata a un luogo. La seconda è mobile, ha un che di temporaneo ed effimero, e può cambiare continuamente luogo. Nella caverna prende corpo la stabilità, nella capanna la mobilità" .
La duplice dialettica, stabilità/mobilità e persistente/temporaneo può diventare la chiave di lettura per approcciare l'architettura australiana e l'opera di Murcutt in particolare. Tali principi comportano un rapporto tra l'uomo e la terra fatto di grande rispetto e profonda conoscenza che si riassume in un atteggiamento, tipico delle popolazioni australiane, impostato sulla leggerezza : "il progetto è “un gioco di scacchi”, sostiene Glenn Murcutt. La serenità della leggerezza è il fine di ogni partita" .
La leggerezza, all'opposto della pesantezza - la cultura della "grotta" che ha prodotto architetture basate su principi di stabilità e solidità, luoghi circoscritti e protetti dall'esterno, tecnologie che riprendono le ragioni della pietra traducendole in armonie complesse - può essere quindi considerata il mezzo attraverso il quale raggiungere i principi di mobilità e temporaneità che sembrano essere all'origine della logica insediativa propria di quelle terre.
Eppure la leggerezza e la pesantezza non sono valori o principi alternativi, anzi è proprio dal loro confronto che si possono notare le rispettive specificità. Per questo l'uno non esclude totalmente le ragioni dell'altro, cercando di affermare la propria identità attraverso una dialettica costruttiva.
A proposito di tale dualità tra la leggerezza ed il suo opposto è esemplare l'insegnamento di Italo Calvino che, nelle sue "Lezioni americane", invita a riflettere sul mito della Medusa e di Perseo: "In certi momenti mi sembrava che il mondo stesse diventando tutto di pietra: una lenta pietrificazione più o meno avanzata a seconda delle persone e dei luoghi, ma che non risparmiava nessun aspetto della vita. Era come se nessuno potesse sfuggire allo sguardo inesorabile della Medusa. [...] L'unico eroe capace di tagliare la testa alla Medusa è Perseo che vola con i sandali alati [...].Per tagliare la testa di Medusa senza lasciarsi pietrificare, Perseo si sostiene su ciò che vi è di più leggero, i venti e le nuvole; e spinge il suo sguardo [...] in un'immagine catturata da uno specchio. Il rapporto tra Perseo e la Gorgone è complesso: non finisce con la decapitazione del mostro. Dal sangue della Medusa nasce un cavallo alato, Pegaso; la pesantezza della pietra può essere rovesciata nel suo contrario [...]" .
Calvino quindi suggerisce l'ipotesi secondo la quale ognuno dei due atteggiamenti contiene in realtà anche il suo contrario. "Nei momenti in cui il regno dell'umano mi sembra condannato alla pesantezza, penso che dovrei volare come Perseo in un altro spazio. Non sto parlando di fughe nel sogno o nell'irrazionale. Voglio dire che devo cambiare il mio approccio, devo guardare il mondo con un'altra ottica, un'altra logica, altri metodi di conoscenza e di verifica" .
Si può, in tal senso, affermare che quello attuato da Murcutt è "semplicemente" un rovesciamento dell'approccio nei confronti della definizione dello spazio. Questo prende forma tenendo conto di molteplici suggestioni contemporaneamente che fanno capo alla cultura architettonica o semplicemente all'osservazione delle tradizioni, senza perdere però di vista il fine della lievità inteso come caratteristica essenziale dell'essere. Egli infatti è capace di travasare nella sua architettura, come già notato perfettamente dai critici che hanno letto la sua opera, tutte le suggestioni della grande tradizione dell'architettura moderna, da Mies van de Rohe a Chareau, dall'architettura finlandese alle influenze della figura di Utzon a Sydney, senza tuttavia rinunciare a tradurre tali radici in un originale linguaggio compositivo, secondo l'ideale lecorbusierano , per il quale soltanto l'architetto può stabilire un equilibrio tra l'uomo e l'ambiente.
Le architetture di Murcutt quindi non si pongono come "monumenti" del nostro tempo, non cercano cioè di dare risposte certe e definitive. La loro ragion d'essere risiede prevalentemente nel consentire - come una macchina utile appunto - all'uomo di svolgere le proprie attività attraverso un soddisfacimento dei bisogni non solo fisici e materiali ma soprattutto afferenti alla sua sfera interiore. Gli spazi conseguentemente sono disegnati a partire dall'uomo, dalle parti a lui più vicine, e l'interno diviene la ragione stessa della forma architettonica. In Murcutt infatti è possibile parlare di "interiorità" dell'architettura e non solamente di "internità", termine che in realtà definisce semplicemente un luogo, un'aspetto dell'architettura. "Interiorità" invece sottende tutto quanto è pertinente all'interno di un ambito spazialmente, o anche solo idealmente, circoscritto con diretto riferimento allo spirito e alla conoscenza del singolo individuo.
Sotto le coperture delle abitazioni progettate dall'architetto australiano, leggere come tende gonfiate dal vento, lo spazio è tagliato solitamente tra un margine pieno, un muro memoria di un recinto, ed uno più trasparente, nel rispetto certo dell'orientamento, ma anche secondo il principio della compresenza di un segno più forte che separa l'interno dall'esterno ed uno che, anche se solo sul piano visivo, riporta la natura dentro il perimetro della casa. La copertura - il tetto - gioca un ruolo fondamentale in quanto elemento che riesce a definire un luogo con un proprio carattere nella continuità dello spazio naturale. "Il tetto dichiara immediatamente la propria ragion d'essere: esso mette al coperto l'uomo che teme la pioggia ed il sole" . Esso ispira un senso di protezione in modo così netto che il territorio al di sotto risulta distinto dall'intorno anche se non direttamente perimetrato: "i valori di riparo sono talmente semplici, così profondamente radicati nell'inconscio, che li si ritrova piuttosto evocandoli che minuziosamente descrivendoli" .
Gli ambienti disposti sotto le coperture da Murcutt, ordinati in sequenza longitudinale tra un pieno ed un vuoto, e separati, come notato dalla Fromonot , in spazi serviti e serventi, trovano la loro specificità nel non essere statici bensì dinamici. Le case dell'architetto australiano infatti non suggeriscono la stasi, non individuano un luogo privilegiato ragione ultima dello spazio interno (vedi ad esempio il focolare nelle praire houses secondo lo spirito wrightiano), bensì definiscono un camminamento idealmente senza soluzione di continuità tra l'interno e l'esterno. Il percorso servente di Murcutt infatti non è semplicemente un disimpegno svolto nel senso longitudinale della casa, esso all'inizio e alla fine è pressoché sempre messo in relazione con l'esterno, è realmente l'ideale prosecuzione di un viaggio che viene da lontano e che non termina nello spazio domestico predisposto dall'architetto. L'importanza di tale sistema distributivo, certamente più rituale che effettivamente funzionale, è rimarcata dal fatto che esso non coincide quasi mai con il punto di accesso alla casa. Secondo una tradizione abitativa consolidata in Australia, prima con le abitazioni primordiali aborigene e poi con l'introduzione del modello della casa coloniale inglese, anche nelle residenze di Murcutt, l'ingresso avviene prevalentemente dal lato lungo della casa, in maniera brusca, direttamente nel cuore dell'abitazione. Il lungo corridoio quindi, ortogonale a tale direzione di accesso, nel distribuire ordinatamente le funzioni disposte in sequenza lineare, ha il ruolo di riprodurre nel microcosmo domestico costruito dall'uomo, la sua abitudine a conoscere il territorio percorrendolo. L'idea che l'uomo cerchi di riproporre con il suo spazio domestico le regole ed i sensi del mondo che lo circonda così come egli lo percepisce e secondo il grado di conoscenza che ha saputo raggiungere è descritto da G. Semper che scrive: "L'uomo è circondato da un mondo pieno di meraviglie e di forze la cui legge egli intuisce senza riuscire a decifrarla del tutto. Un'armonia di cui gli giungono solo accordi staccati e che mantiene il suo spirito insoddisfatto in uno stato di continua tensione. Allora, egli evoca come per incanto quella irraggiungibile perfezione, si costruisce un mondo in miniatura in cui manifesta la legge cosmica, un mondo che, sia pur nella sua estrema piccolezza, è in sé concluso e in tal senso perfetto. In questo gioco l'uomo soddisfa il suo istinto cosmogonico" .
Così la casa non è un luogo definitivo, che è poi un altro attributo della leggerezza insediativa, ma è un momento, un episodio della vita dell'uomo.
Da questo punto di vista la struttura spaziale della casa non può essere assimilata a nessun altro esempio rintracciabile nell'architettura occidentale. Sia la tradizione abitativa mediterranea, che quella nord europea, che quella nord americana, affermano con la casa il principio della vita domestica - costruiscono cioè un luogo che è altro dalla natura esterna - le dimore realizzate da Murcutt invece, divengono la materializzazione di un sogno arcaico in cui la consapevolezza del singolo essere nasce dalla conoscenza e dalla consonanza con tutto l'ambiente.
Le case di Murcutt quindi non possono essere lette secondo uno schema logico - dall'accesso ai luoghi per accogliere e raccogliersi - che vede, nell'abbandono progressivo dell'esterno verso una serie di luoghi interni più privati, la logica distribuzione degli spazi, ma piuttosto esse appaiono la conseguenza di un principio di fluidità tra gli ambienti che prevedono tutti sia un opportuno grado di coinvolgimento con l'esterno che di privacy. Il diagramma alle quali può essere assimilata la fruizione dell'organizzazione spaziale di tali residenze è quello di un movimento che, guidato dall'esterno verso un luogo di mediazione - la veranda -, consente di accedere all'interno attraverso un diaframma leggero e semi trasparente, per essere condotti lungo un margine più denso e opaco contro il quale si scivola verso i diversi luoghi della casa da ognuno dei quali, però, si torna ad essere in rapporto diretto, o anche solo percettivo, con l'esterno da cui si è giunti. Questo movimento ad "onda" sfrutta la direzionalità del percorso esterno da cui si arriva - spesso segnato sulla natura - e la capacità distributiva del corridoio longitudinale di servizio agli ambienti, ma soprattutto coinvolge un luogo centrale dell'abitazione che rappresenta forse la nota più caratteristica delle case di Murcutt. Questo ambiente è composto da diversi ambiti caratteristici indipendenti - la veranda, il soggiorno, la zona camino, il pranzo - è a cavallo tra l'interno e l'esterno, a ridosso della cucina e di un nucleo di servizi, tangente solitamente al percorso longitudinale; esso individua, per così dire, l'ambiente giorno distinto dalla zona notte e da eventuali luoghi diversi come il garage o lo studio, e non ha mai una disposizione fissa e ripetuta. Tale insieme di ambiti spaziali, cioè, non corrisponde formalmente ad una tipologia ricorrente ma rappresenta piuttosto un luogo significante che conforma, a seconda delle occasioni, le case che si adattano alle esigenze del sito, del clima e alle richieste dei committenti.
Elementi fondamentali di tale ambiente sono la veranda, l'accesso e il camino: è infatti il modo di disporre questi tre particolari eventi dello spazio che distingue una casa da un altra. La veranda entra nella tradizione abitativa australiana attraverso "modelli domestici che non sono stati modificati in profondità per adattarsi ai rigori particolari degli antipodi, ma acclimatati sommariamente con aggiunte di pensiline e verande sulle facciate: le case australiane del secolo scorso non differiscono fondamentalmente dai cottage americani della Virginia che risalgono alla stessa epoca. Elemento coloniale universale, favorito dagli inglesi dopo la loro conquista delle Indie, la veranda non è tipica dell'Australia, ma si è generalmente diffusa per necessità sotto diverse forme" . A differenza però della casa coloniale, nelle case di Murcutt essa non coincide sempre anche con l'ingresso, anzi spesso l'accesso è diametralmente opposto a tale spazio di relazione con l'esterno che, a seconda dei casi, diviene ora un vero e proprio patio, ora una terrazza verso il panorama, ora un soggiorno a cielo aperto. Analogamente il camino, pur essendo un elemento fondamentale, non assume quel ruolo dominante dello spazio giorno e diviene elemento di separazione e di aggregazione. Ora è tangente al percorso, ora separa dalla zona pranzo, ora si inserisce nel margine che perimetra la casa.
Lo spazio è allestito in modo semplice ed essenziale. Gli oggetti destinati ad entrare in diretto contatto con l'uomo sono ispirati, al pari di tutto il manufatto architettonico, ad un principio di indispensabilità e omogeneità. Arredare infatti non è un'operazione di semplice attrezzaggio della casa, svolgere tale attività significa dotare di cose utili e necessarie  gli ambienti che altrimenti sarebbero esautorati dal loro compito principale. Gli arredi predisposti dall'architetto australiano pertanto svolgono perfettamente questo compito, non perseguono ragioni diverse da quelle che soggiaccione all'intera opera architettonica, ponendosi come parti integranti ed integrate al senso della dimora.
Come detto quindi tali ambienti non vanno considerati singolarmente ma nel rapporto muto che instaurano tra loro. Tali differenti conformazioni però non contraddicono uno spirito comune che è quello di distinguere, nel movimento e nel dinamismo generale un luogo di sosta, un piccolo riparo in cui fermarsi, capace però di racchiudere in sé tutte le problematiche del rapporto più complesso con la natura. Tali spazi si predispongono ad un momento di calma ma non spezzano e non alterano il sentimento di partecipazione con l'intorno. Anzi dall'interno si possono percepire frammenti dell'esterno che non sono più semplicemente "naturali" ma sono piuttosto la lettura che l'architetto predispone di tali luoghi. La lettura "filtrata" della natura rappresenta la consapevolezza dell'uomo contemporaneo che tale rapporto con la propria terra non è più semplicemente istintiva ma è anche frutto della cultura sedimentata nel tempo, della tradizione propria di una popolazione.
Ecco quindi che le case di Murcutt sono infine "macchine" anche da questo punto di vista, strumenti sofisticati per leggere il movimento del sole e delle stelle, meccanismi che rappresentano il grado di consapevolezza dell'uomo dei fenomeni naturali. Esse non sono più costruite con parti della natura come le capanne aborigene, ma come quelle raccontano la capacità dell'uomo di confrontarsi, in maniera cosciente, con la propria abilità a modificare e trasformare i luoghi in cui passa, dando pertanto un senso alle tracce che, necessariamente, egli lascia nel suo cammino, testimonianze del suo essere nel mondo.